Rassegna 17/03/2025
Mimmo Porcaro: Donald Trump e la forza del destino
Donald Trump e la forza del destino
di Mimmo Porcaro
Servi dei padroni
Al giorno d’oggi essere servi è diventata una cosa pesante quanto mai prima. Uno si trova un padrone, lo riverisce, gli “spiccia casa”, per così dire, e soprattutto, gli evita di fare il lavoro pesante, il lavoro sporco, perché se lo accolla tutto lui. Si aspetterebbe quindi, se non fiumi di denaro e di elogi, almeno un contentino, una pacca sulla spalla. Macché: oggi ti prosciugano e poi ti licenziano come si faceva ai tempi di Mozart, ossia con un bel calcio nel chitarrino. E ti chiedono anche indietro i soldi. Guardate il povero Zelensky e soprattutto il suo sventurato popolo. Uno può dire di tutto al Manifesto, ma non può accusarlo di sbagliare le prime pagine: “Usa e getta” è il titolo perfetto, data la situazione.
E che dire dei servi di casa nostra? Guardate il nostro ineffabile presidente del consiglio, inciampato nella transizione dal padrone vecchio a quello nuovo. Se prima berciava “Kiev fino alla fine!” ora dovrà sibilare a denti stretti “E’ la fine di Kiev!”, e fare anche finta di non averlo detto. E guardate il suo vice, il Capitano (!) che guida la Lega e la cordata del Ponte e che più Trump parla di dazi, più lo elogia: poi se la vedrà lui con quel “Nord produttivo” che dovrebbe essergli tanto caro.
Sto buttandola troppo sul ridere? Forse sì: ma troppo scoperta è qui la natura intima del nazionalismo della destra italiana, che, come fece il fascismo, deve immediatamente gettarsi nelle braccia di un padrone ben più forte e feroce, perché ciancia di “ruolo decisivo” e di “grandi opportunità” senza aver prima costruito (e anzi dopo aver reso impossibile) il compromesso sociale e la conseguente base produttiva capaci di dare effettiva sostanza alla declamata sovranità.
Ci sono poi gli altri servi, quelli che litigano (per ora) col nuovo capo solo perché hanno nostalgia di quello vecchio. Prigionieri di se stessi e della retorica che hanno sciorinato per giustificare l’autolesionistica “operazione Ucraina” la sedicente sinistra e i sedicenti gruppi dirigenti europei devono addirittura ostacolare il possibile (ma tutt’altro che prossimo) accordo di pace e parlare di scontro a oltranza.
Paola Boffo: ReArm Europe, Il Parlamento europeo e il Nemico esterno
ReArm Europe, Il Parlamento europeo e il Nemico esterno
di Paola Boffo
Lo scenario globale è cambiato precipitosamente e radicalmente con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Questo ha provocato una successione di incontri, riunioni, dichiarazioni, decisioni in Europa, in svariati formati interni, parziali o esterni all’Unione Europea, fino alla curiosa idea di farsi rappresentare verso gli USA dal premier UK Keir Starmer, in barba alla Brexit.
Nel contesto più istituzionale UE, in occasione del Consiglio straordinario del 6 marzo scorso dove i leader dell’UE hanno discusso dell’Ucraina e della difesa europea, anche su impulso delle discussioni nelle sedi più sopra menzionate, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha presentato una lettera sull’argomento della difesa europea.
Il Consiglio ha approvato la proposta della Commissione, come si legge nelle Conclusioni della sessione, e ha invitato la Commissione “a proporre fonti di finanziamento supplementari per la difesa a livello dell’UE, anche attraverso ulteriori possibilità e incentivi offerti a tutti gli Stati membri, sulla base dei principi di obiettività, non discriminazione e parità di trattamento degli Stati membri, nell’uso delle loro dotazioni attuali a titolo dei pertinenti programmi di finanziamento dell’UE, e a presentare rapidamente proposte in tal senso”.
Sulla proposta torneremo, sulla base dell’effettivo documento che sarà presentato al Consiglio, nel quale saranno chiariti gli obiettivi, i profili economici e l’effettiva capacità che l’UE potrebbe mettere in campo. Oggi restiamo sul piano politico e istituzionale, rendendo conto di quanto accade in queste ore al Parlamento Europeo. È stato scritto da più parti che il ricorso all’articolo 122, per l’approvazione di ReArm Europe è un grave nocumento alla democrazia, poiché esclude la discussione in Parlamento e il suo ruolo nel processo legislativo. Pare opportuno, in ogni caso, segnalare che l’attuale Parlamento è scarsamente rappresentativo, come ha ricordato Pasqualina Napoletano nell’incontro La nostra Europa promosso da Transform. Non è certo, insomma, che l’intervento del Parlamento avrebbe migliorato le cose, e infatti…
Gianmarco Pisa: Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Ucraina: il velo di Maya si squarcia
Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Ucraina: il velo di Maya si squarcia
di Gianmarco Pisa
“Istanze di colloqui di pace aumentano e una finestra di opportunità per la pace si va aprendo – dichiara il Ministro degli Esteri della Repubblica popolare cinese; sebbene le parti abbiano posizioni diverse e sia difficile trovare soluzioni semplici a questioni complesse, il dialogo è sempre meglio dello scontro e i colloqui di pace sono sempre meglio della contrapposizione. […] La Cina sostiene tutti gli sforzi tesi alla pace, incluso il recente consenso raggiunto tra Stati Uniti e Russia”.
E così si squarcia il velo di Maya: l’incontro di Riad tra il segretario di Stato Usa Marco Rubio e il ministro degli Esteri della Federazione russa Sergej Lavrov (18 febbraio), i cui esiti sono stati successivamente valutati in termini positivi dallo stesso presidente russo, Vladimir Putin; i successivi incontri di Trump con Emmanuel Macron (24 febbraio) e con Keir Starmer (27 febbraio), nei quali erano emerse, rispettivamente, l’insofferenza verso i costi a carico degli Stati Uniti per sostenere l’Ucraina e l’indisponibilità degli Stati Uniti a impegnare propri contingenti direttamente in territorio ucraino (al di là della presenza militare statunitense già operativa sul campo, con funzioni tecniche, di supporto e addestramento); infine, il clamoroso incontro-scontro consumato tra Trump e Zelensky il 28 febbraio, hanno l’effetto di delineare due immagini simmetriche.
La prima, la contraddizione che si viene aprendo nel campo atlantico, segnata dal cambio di strategia degli Stati Uniti e dalla clamorosa inadeguatezza delle classi dirigenti europee nel sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda della nuova fase. La seconda, l’apertura di una finestra di opportunità per la diplomazia, con uno spazio, difficilmente immaginabile fino a tre mesi fa, per un nuovo dialogo tra Stati Uniti e Federazione russa e una nuova opportunità di definire condizioni per un possibile cessate-il-fuoco e, in prospettiva, per la pace.
Davide Malacaria: Ucraina. La proposta di tregua: piccolo passo, ma simbolico
Ucraina. La proposta di tregua: piccolo passo, ma simbolico
di Davide Malacaria
In attesa della risposta di Putin, che dovrebbe aderire motivando il sì come gesto di buona volontà, resta che per la prima volta si parla davvero di un cessate il fuoco. Zelensky non era presente all’incontro
Così da Jeddah arriva la notizia che l’Ucraina ha accettato una tregua di 30 giorni, durante i quali si dovrebbe procedere a uno scambio di prigionieri e ad altre iniziative umanitarie. Zelensky “è stato messo al suo posto”, esulta la Casa Bianca per bocca della portavoce Caroline Leavitt.
La determinazione di Trump e le sconfitte ucraine
Un indubbio successo, infatti, per Trump, che ha rintuzzato la sfida del presidente ucraino e dei Paesi europei alla sua spinta per raggiungere la pace nel conflitto che dilania l’Ucraina, opponendo alla sua pressione le ragioni della guerra perpetua.
E, in effetti, si tratta di una svolta, precaria e minimale quanto si vuole, ma pur sempre di alto valore simbolico, dal momento che per la prima volta dall’inizio del conflitto la parola pace non riecheggia come un ignominioso insulto. Tanto che l’Europa si è subito accodata al carro, lodando l’intesa tra Kiev e Washington, anche perché Kiev ha rappresentato le istanze del Vecchio Continente.
Giuseppe Masala: Finis Americae: si sgonfia la bolla di Wall Street
Finis Americae: si sgonfia la bolla di Wall Street
di Giuseppe Masala
Siamo di fronte per gli USA a un vero e proprio cambio di paradigma con relativa fine della globalizzazione
Da sempre sosteniamo – certamente non da soli – la tesi che uno dei cardini fondamentali della superpotenza americana è la borsa di Wall Street. Gli enormi squilibri commerciali in essere a partire dal 1971 vengono “sanati” grazie alle immissioni di dollari fatte dai paesi che nei rapporti commerciali con gli Stati Uniti presentano un avanzo strutturale. Questo sistema sostanzialmente nacque con l’istituzione del meccanismo instaurato da Stati Uniti e Arabia Saudita e noto con il nome di Petrodollaro che si sostanzia nell’obbligo da parte di Ryad di vendere il proprio petrolio in dollari e di reinvestire il surplus di valuta americana nella stessa Wall Street; in cambio Washington si impegnava a garantire protezione diplomatica e militare al trono della famiglia Saud.
Il meccanismo si è rivelato talmente efficace che piano piano è stato allargato a tutto il mondo, così da spingere grandi economisti (Marcello De Cecco in primis) a definire gli Stati Uniti come i “compratori di ultima istanza”, nel senso che, alla fine, tutto il surplus di merci prodotte veniva, in qualche modo, assorbita dal mercato americano; naturalmente alla tacita condizione che i paesi venditori reinvestissero i dollari in surplus ottenuti dagli USA nella stessa Wall Street. Insomma, si passò dal sistema del petrodollaro a quello dell’ Every Things Dollars, ogni cosa in dollari.
Roberto Fineschi: Modus ponendo ponens
Modus ponendo ponens
di Roberto Fineschi
1) Se l’EU rappresenta democrazia, pace, lavoro, allora sostenendo l’EU sostengo democrazia, pace, lavoro.
2) L’EU rappresenta democrazia, pace, lavoro.
Ergo: sostengo democrazia, pace, lavoro.
Il ragionamento è formalmente corretto, ma la verità della conclusione non dipende dalla correttezza del ragionamento formale, ma dalla verità delle proposizioni. Solo se esse sono vere, cioè corrispondono a stati di fatto della realtà esterna al ragionamento, è vera la conclusione.
Ovviamente sono “vere”: per sostenere la pace, l’EU partecipa a delle guerre e si riarma; per sostenere la democrazia è basata su una banca centrale svincolata da qualsiasi controllo e da un Parlamento che non conta niente, da una Commissione che fa gli interessi del grande capitale di alcuni dei suoi paesi a discapito di altri; per sostenere la solidarietà e il lavoro permette concorrenza sleale tra paesi membri grazie a disparità del sistema fiscale, fa arricchire alcuni a discapito di altri con PIL a zero, incrementi salariali minimi o addirittura negativi, deindustrializzazione, azzeramento progressivo dello stato sociale.
Queste lungimiranti politiche adesso presentano il conto di una debolezza strutturale rimarchevole di fronte a chi invece è forte davvero. Alla fine hanno perso tutti e l’EU, per come è nata, strutturata e coerentemente gestita, è un irriformabile conclamato fallimento… per sostenere il quale è necessario scendere in piazza!
Michelangelo Severgnini: “Il crollo”, il paradosso della tolleranza e i cavalieri senza testa del 15 marzo
“Il crollo”, il paradosso della tolleranza e i cavalieri senza testa del 15 marzo
di Michelangelo Severgnini
Una leggenda che affonda nelle saghe nordiche, poi ripresa da altri autori in seguito, narra di un cavaliere senza testa che nel bel mezzo della battaglia si ritrova, di solito a cavallo, a continuare il combattimento sia pur privo della parte pensante del corpo. In questo modo semina il terrore tra i nemici ma pure lo sgomento tra i compagni di battaglia.
Le élite europee in queste settimane sono come il cavaliere senza testa della leggenda, continuano il combattimento prive di una parte essenziale, seminando terrore e sgomento tra le fila di compagni e avversari.
Fuor di leggenda, le élite europee si sono ritrovate d’improvviso senza quel punto di riferimento che per decenni le ha coltivate e nutrite, che ha guidato i loro passi e ha sorretto ogni loro gesto.
D’improvviso, come il cavaliere senza testa, si ritrovano ora a dover continuare la battaglia alla cieca, senza mai venir meno alla missione pre-stabilita.
Però alla cieca, senza una guida.
Emanuel Macron potrebbe rappresentare un braccio del cavaliere, Keir Starmer l’altro braccio, Ursula Von der Leyen una spalla, l’altra spalla Mark Rutte e via via gli altri. Sono parti importanti del corpo di un cavaliere, ma non sono la testa.
La testa è saltata. Il Presidente degli Stati Uniti, che ha sempre rappresentato la testa di questo schema, non è più al suo posto. E’ saltata e sta seguendo una sua orbita lontana dal corpo.
Emanuele Maggio: USA e Russia devono fare la pace, Europa e Russia devono fare la guerra
USA e Russia devono fare la pace, Europa e Russia devono fare la guerra
di Emanuele Maggio
Circa dalla caduta del Muro, nel mondo occidentale i governi di “sinistra” sono un’emanazione diretta del Deep State atlantico, cioè di quell’insieme di poteri opachi (cioè non pubblici) dotati della massima disponibilità materiale e capaci di programmazione sul lungo periodo al riparo dai processi elettorali, e che dunque possono contare stabilmente su apparati amministrativi, militari, finanziari, mediatici per ottenere i loro scopi. Insomma: quelli che sono al potere anche quando non sono al governo.
I governi di “destra”, invece, intrattengono con questi apparati un rapporto conflittuale, almeno all’apparenza. Questa conflittualità, sebbene abbia un fondo di verità, non deve nascondere la sostanziale convergenza, data anche da una convivenza forzata ai vertici delle istituzioni e dalla crisi generale delle democrazie, per cui qualsiasi formazione in origine antielitaria, finisce oggi per essere cooptata all’interno di un sistema che sa elargire lauti premi ed efficacissime punizioni.
Si noti che non stiamo parlando davvero di destra e sinistra nel significato di una volta. Sono, queste, semplici bandierine ornamentali, non più reali dei filtri di Instagram. Ogni potere organizzato della storia deve creare un Nemico dal quale il popolo viene protetto.
Paolo Di Marco: Trump e la struttura del potere
Trump e la struttura del potere
di Paolo Di Marco
Nat Cohn, Generoso Pope, Frank Costello, Bonanno, Gambino…una infanzia interessante
Premessa
C’è un vecchio film di Rossellini ‘La presa del potere di Luigi XIV’ che è assai istruttivo: ci mostra come la corte di Versailles, lo sfarzo e i suoi eccessi, tutte le manfrine di balli e intrighi non fossero semplici decadenza e corruzione ma strumenti di un disegno preciso: costringere i veri detentori del potere, i nobili e proprietari terrieri, che generavano e controllavano ricchezze e soldati, a venire a corte per ottenere i ‘favori’ del re e nel contempo dissanguarsi a suo favore, travasandogli ricchezze e creando una reale centralità di potere.
Anche nel caso di Trump non conviene fermarsi alle apparenze buffonesche del personaggio. La presa del potere di Donald II è altrettanto abile e decisa.
1- le elezioni
Anche se il margine di vantaggio di Trump nel voto popolare è stato relativamente piccolo (come si consolano gli opinionisti dem) di fatto è la continuazione di una tendenza in atto da tempo (come avevano avvertito i sondaggisti più attenti) che ha portato i Maga-repubblicani a conquistare percentuali sempre maggiori degli immigrati latini di seconda generazione e anche ad aumentare la quota di neri e asiatici; che hanno votato anche in modo apparentemente paradossale per il blocco delle nuove immigrazioni.
La ragione è semplice: queste nuove generazioni hanno tutte un interesse principale, ed è il denaro; sono diventati americani completi, dove tutte le complessità culturali e di sangue vanno in secondo piano rispetto alla motivazione dominante: avere successo/soldi.
Ed è questo grande corpo con un solo parametro di controllo, quindi facilmente influenzabile e controllabile, che ha portato Trump alla vittoria, e ce lo lascerà a lungo.
Salvatore D’Acunto: Lo Stato del potere
Lo Stato del potere
di Salvatore D’Acunto
Oltre il Neoliberismo. Considerazioni in margine a un libro sulle recenti mutazioni del ruolo dello Stato
1. Sebbene il dibattito sulle torsioni subite dalla forma di Stato nell’ultimo quarantennio nei Paesi a capitalismo maturo sia stato intenso, non si può dire che abbia fatto ancora chiarezza circa la configurazione dei poteri emersa all’esito di queste trasformazioni. Resistono, infatti, nella letteratura scientifica così come nell’opinione pubblica, un certo numero di luoghi comuni sul tema duri da sradicare. Pertanto, fa molto piacere trovare in libreria un volume come Lo Stato del potere. Politica e diritto ai tempi della post-libertà di Carlo Iannello,[1] in cui si cerca con pazienza di tracciare un filo conduttore tra i fatti che hanno segnato questo processo di trasformazione, di rendere quindi analiticamente trattabile la magmatica materia di cui questa storia è composta, e infine di fare i conti con le questioni interpretative ancora aperte nel dibattito.
Per comodità espositiva, conviene preliminarmente riassumere la tesi proposta nel libro in poche proposizioni chiave: (1) Nell’esperienza dello Stato sociale, incardinata nello schema del costituzionalismo novecentesco, si è incarnata l’aspirazione della società a mettere sotto controllo il capitale, a limitarne le potenzialità eversive dell’ordine economico e sociale manifestate nella prima metà del secolo e a orientarne la straordinaria capacità di generazione di ricchezza materiale verso obiettivi e modelli di allocazione delle risorse democraticamente scelti dai cittadini; (2) Questa esperienza si interrompe grosso modo all’inizio degli anni 80 del secolo scorso, quando il capitale reagisce all’erosione della profittabilità, egemonizza il dibattito pubblico con una lettura della crisi del decennio precedente che mette il focus sull’inflazione delle aspettative redistributive della classe lavoratrice, e capovolge il ruolo dello Stato, funzionalizzandolo a un progetto di sottomissione dell’intera società alla logica mercantile.
di Kritik de la valeur-dissociation, repenser la théorie Kritik du capitalism: Astrazione Reale e Dominio senza soggetto sotto il Capitalismo
Astrazione Reale e Dominio senza soggetto sotto il Capitalismo
di Kritik de la valeur-dissociation, repenser la théorie kritik du capitalisme
In risposta ad alcune domande e, talvolta, a qualche fraintendimento su alcuni concetti della “Critica della Dissociazione del Valore” e della “Teoria Critica”, quella che segue è una presentazione dei diversi termini di “Astrazione Reale” e “Dominio Senza Soggetto” (come dice Marx); concetti questi, che di solito usiamo nella Nuova Critica Anticapitalistica. Quella che segue è quindi una semplice esposizione dei concetti di “Astrazione Reale” e di “Dominio senza Soggetto” (sempre per dirla con Marx) che abitualmente utilizziamo. Questa esposizione si articola brevemente intorno alla questione dell’individuo e della classe, e alla necessaria Critica del “materialismo storico”, in quanto esso appare legato al pensiero borghese, e in contrasto con il modo in cui i concetti di cui sopra vengono di solito affrontati nel sotto-pensiero marxista tradizionale.
* * * *
Il materialismo storico non può essere applicato in quanto tale, dal momento che esso ignora il meccanismo fondamentale costitutivo delle società umane fino a oggi. Nel capitalismo, la produzione materiale, il lavoro e il consumo di merci – vale a dire, “l’economico” – non coincidono con quelle che sono le possibilità che corrispondono a un processo metabolico dell’essere umano con la natura. Detto in altri termini, il capitalismo non ha come obiettivo la soddisfazione dei bisogni umani concreti, come la casa o il cibo.
Fulvio Grimaldi: Eurodemocrazia, da culla a tomba a passo dell’oca — Bruxelles-Bucarest, vicolo cieco
Eurodemocrazia, da culla a tomba a passo dell’oca — Bruxelles-Bucarest, vicolo cieco
di Fulvio Grimaldi
La democrazia muore a Bucarest
“Il ringhio del bassotto”: Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
Video integrale (su Odysee): La democrazia muore a Bucarest
I vampiri, dal grande Christopher Lee e prima e poi, venivano innocuizzati col paletto piantato nel cuore. Roba di Transilvania oscura. Roba di Romania nera nera. Solo che il vampiro ha rovesciato le cose e il paletto l’ha piantato lui nel cuore. Di Calin Georgescu. Cioè della Romania, della democrazia. Delle libertà fondamentali. Sulle cui ossa, già ben sgranocchiate dal nazifascismo e indi giustapposte a Ventotene, si sono piantate le fondamenta dell’Unione Europa, più rimasugli ammuffiti di Impero Britannico.
Grandiosa rivincita. Assistita e coadiuvata da una bella banda della Magliana, più Falange Armata, più Banda dell’Uno Bianca, più tutti i servizi segreti con succursali private: pali, autisti, spioni, fornitori delle armi, logistici, giureconsulti alla Nordio per assicurare ai picciotti prescrizioni lunghe due vite. Insomma Ursula von der Leyen, Starmer, Macron, Costa, Merz, Tusk, tutti questi che sul bavero hanno il logo banderista e Zelensky con al collo la Croce di Ferro di Primo Grado.
Col paletto nel cuore, la Romania, cioè le sue istituzioni democratiche, si sono giocate un probabilissimo presidente ultradestro, cospiratore fascista, nazionalista e sovranista (orrore!), all’orecchio di Putin che, con Tic Toc, ha martellato le sinapsi di milioni di rumeni fino a convincerli a votare il mostro estremista putiniano che non voleva far fare alla Romania la fine dell’Ucraina, gloria dei popoli, altare della democrazia, monumento alla libertà.
Elena Basile: Il tradimento (di oggi) dei chierici
Il tradimento (di oggi) dei chierici
di Elena Basile
Nel 1927 Julien Benda scrisse Il tradimento dei chierici, cioè degli intellettuali, che fu poi ripubblicato e portato a maggiore visibilità nel 1946. Lo scrittore nel saggio stigmatizzava l’intellighenzia del suo tempo che aveva rinunciato alla ricerca della verità e della bellezza, abbracciando le ideologie nazionaliste oppure comuniste, scegliendo di divenire funzionali a una parte, a una politica partigiana sulla base di presupposti aprioristici.
Leggo le dichiarazioni degli intellettuali del centrosinistra, di coloro i cui libri invadono le librerie Feltrinelli e sono pubblicizzati, a prescindere dal contenuto e dal vero valore letterario o saggistico, in modo esagerato a svantaggio di tanti altri autori. Come non pensare a Julien Benda? Gli intellettuali scendono in campo per una visione intrisa di suprematismo bianco, in base alla quale l’Europa sarebbe democratica e avrebbe una civiltà superiore rispetto a quella di tanti altri Paesi, Cina, Russia, l’intero Sud globale. L’America di Trump viene demonizzata come se essa non fosse un prodotto e per molti versi la continuazione dei quella di Biden.
Pasolini affermava: “Io sono un intellettuale, quindi so”. Anche lui credeva che la funzione primaria dell’intellighenzia fosse andare oltre le apparenze e il linguaggio del potere. Cercare la verità intesa come l’interpretazione più vicina alla realtà. È terrificante osservare come gli uomini di cultura ripetano parole vuote di significato.
Andrea Zhok: Sragionare fino alla catastrofe: il collasso dell’intelligenza collettiva
Sragionare fino alla catastrofe: il collasso dell’intelligenza collettiva
di Andrea Zhok
L’opinione pubblica occidentale, proprio come alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, sembra estensivamente preda di decadimento cognitivo. Il déjà-vu di una retorica tanto razionalmente vuota, quanto esplosiva
Esiste un detto latino che recita: “Quos vult Iupiter perdere, dementat prius” (“Giove fa prima perdere il senno a quelli che vuol mandare in rovina.”)
Ecco, io non so se ci abbiano messo lo zampino Giove, Odino, Jahvé, Ahura Mazda o altri sùperi.
Mi astengo da un’analisi delle probabili cause, anche se credo che molto ci sarebbe da dire sui processi tecnologici e sociali di annichilimento mentale che hanno avuto luogo negli ultimi decenni.
Sia come sia, oggi l’opinione pubblica occidentale, proprio come alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, mi sembra estensivamente preda di decadimento cognitivo.
Se andate a rileggere i toni e gli argomenti sui giornali degli anni 1900-1914, trovate elzeviri infiammati da una retorica tanto razionalmente vuota, quanto esplosiva. Al tempo intellettuali critici come Karl Kraus dalle pagine della “Fackel” cercarono di far ragionare, con sagacia e sarcasmo, la borghesia colta (la maggior parte della popolazione rimaneva esclusa dalla fruizione intellettuale).
Ma fu tutto inutile.
Alessio Mannino: Caro Nove, sbagli: di intellettuali c’è bisogno più che mai. Disorganici, però
Caro Nove, sbagli: di intellettuali c’è bisogno più che mai. Disorganici, però
di Alessio Mannino
“Che nessuno parli mai più di intellettuali’, gli schifosi amplificatori delle più allucinanti propagande, funzionali a se stessi perché schiavi del Potere che sostengono caricandolo a parole inique e violentissime. Che nessuno parli mai più di ‘intellettuali’”. Così lo scrittore Aldo Nove martedì 11 marzo, sulla sua bacheca Facebook – ah, i social: causa e soluzione di tanti, anche se non tutti i problemi, giusto per citare Homer Simpson, che però parlava di birra. Nove si riferisce ad Antonio Scurati, novello esteta della guerra, lo Jünger da scrivania. Noi ci aggiungeremmo Michele Serra, mobilitatore di piazze europeiste per supportare il restyling di Repubblica (puramente grafico, visto che il prodotto addirittura peggiora: sempre più bellicista, sempre più conformista, sempre più fariseo). Ma ha ragione, Nove? No, non ha ragione.
Gli intellettuali possono avere ancora un ruolo fecondo, finché esisteranno nicchie di ostinati che daranno al pensiero un valore e non soltanto un prezzo. A patto di rispettare tre caratteristiche 1) L’intellettuale deve essere impegnato. È la pre-condizione, necessaria anche se non sufficiente. Data per scontata la distinzione scolastica con i lavori manuali (via via sempre più ridotti dall’avanzare della tecnologia, e per altro destinati a ridursi ancora con la cosiddetta intelligenza artificiale), un intellettuale nel senso moderno del termine nasce più o meno a fine Ottocento, con il celebre “J’accuse” di Émila Zola sull’affare Dreyfus.
Davide Malacaria: I negoziati di Jeddah e il bombardamento di Mosca
I negoziati di Jeddah e il bombardamento di Mosca
di Davide Malacaria
Prima dell’incontro tra americani e ucraini in Arabia Saudita, l’attacco a Mosca – Il piano di pace franco-britannico: un escamotage per far proseguire la guerra
Iniziano i negoziati a Jeddah tra americani e ucraini. Ieri è arrivato anche Zelensky, dopo aver inviato una missiva di scuse formali a Trump. Poche le possibilità che si arrivi a un compromesso, questo primo summit può rappresentare al massimo un primo approccio alla questione. A segnalare le scarse possibilità, a meno di positivi imprevisti, due fattori.
Attacco a Mosca
Anzitutto, l’arrivo di Zelensky è coinciso con il più massivo attacco di droni contro Mosca. Diversi i velivoli intercettati, poche le vittime, ma l’attacco non aveva altro scopo se non quello di far dilagare la paura nella capitale russa, costringendo Putin a ordinare un contrattacco massivo. Una strage di civili ucraini da ostentare alla pubblica opinione mondiale renderebbe più improbo all’amministrazione Trump far digerire un accordo.
In questo, c’è il precedente di Bucha, quando la messinscena dei civili ucraini brutalmente uccisi dai russi inflisse un vulnus alle trattative in corso a Istanbul, vanificate del tutto quando, pochi giorni dopo la propalazione delle asserite atrocità russe, Boris Johnson costrinse Zelensky a far saltare il tavolo.