Avviso ai naviganti 156 – 14 aprile 2025
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Nell’80° anniversario della vittoria della Resistenza contro il nazifascismo
diffondi, stampa e affiggi la locandina e l’adesivo del (nuovo)PCI (scarica qui e qui)
Fuori i sionisti e i guerrafondai dai cortei e dalle celebrazioni dell’80° anniversario della vittoria della Resistenza partigiana!
Coalizzare le forze operaie e popolari e fare del prossimo 25 Aprile una giornata di lotta e di liberazione: dalla NATO, dai sionisti, dai partiti e organismi fautori del riarmo dell’UE, dal governo Meloni!
Avanziamo nella lotta per costituire un governo d’emergenza popolare e nella rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato!
Per un nuovo 25 Aprile che liberi il nostro paese dal protettorato USA-NATO, dalla complicità con i sionisti di Israele, dalla gabbia dell’UE!
(estratto da La Voce n. 79 – marzo 2025)
L’80° anniversario della vittoria della Resistenza contro il nazifascismo cade in una situazione di grandi sconvolgimenti del sistema di potere della borghesia imperialista nei singoli paesi e del suo “ordine mondiale”. Siamo in una situazione di guerra e rivoluzione per tanti versi analoga a quella della prima metà del secolo scorso. Il dominio del mondo che la borghesia imperialista ha ripreso in mano dopo la dissoluzione dell’URSS e del campo socialista è sfociato nella Terza guerra mondiale a pezzi. Per preservare a ogni costo nel mondo intero il suo traballante dominio in campo politico, economico, commerciale, monetario e finanziario, la borghesia imperialista non può che allargarla: la guerra è un parto necessario del capitalismo in crisi e non è possibile porvi fine definitivamente senza rovesciare il sistema capitalista almeno in alcuni dei maggiori paesi imperialisti, cioè senza un salto della rivoluzione socialista. In ogni paese imperialista si contrappongono più apertamente due vie: lo sviluppo accelerato della rivoluzione socialista o lo sviluppo della mobilitazione reazionaria e della guerra e l’avanzamento della rivoluzione nel contesto da esse creato.
Fare leva sull’opposizione alla guerra diffusa tra le masse popolari per portarle a partecipare alla rivoluzione socialista (la guerra popolare rivoluzionaria che noi comunisti promuoviamo e dirigiamo) è la sintesi generale dei nostri compiti.
A questo proposito la Resistenza contro il nazifascismo è ricca di insegnamenti a cui attingere per combattere con successo le battaglie di oggi. Contro la rassegnazione, la sfiducia in noi stessi e nelle nostre forze, la sfiducia nelle masse, la Resistenza insegna che i comunisti o prevengono la mobilitazione reazionaria oppure fanno avanzare la rivoluzione socialista trasformando la mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria. Il fascismo si era affermato mobilitando a proprio favore una parte importante delle masse popolari con la promessa di eliminare gli effetti delle misure antipopolari dei “normali” governi borghesi e anche di impedire l’invadenza dei gruppi imperialisti degli altri paesi. Ma centinaia di migliaia di operai e contadini si sono rivoltati contro chi li aveva nutriti di promesse e di prediche anticomuniste, allontanati dalle loro case, armati e mandati a combattere (persino contro il primo paese in cui gli operai e i contadini avevano preso in mano il potere!), ma non permetteva loro di “riempirsi lo stomaco”.
Su spinta dell’Internazionale Comunista e dell’URSS, il PCI attuò importanti mosse tattiche e campagne di medio periodo che contribuirono alla prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria: la partecipazione alla Guerra di Spagna del 1936-1939 e, in particolare, la Resistenza contro il nazifascismo del 1943-1945 e la “svolta di Salerno” del 1944. Queste ultime due sono per noi oggi molto istruttive, a patto che separiamo il grano dal loglio.
Pur con ruoli e in misura diversa, alla Resistenza hanno partecipato tutte le classi delle masse popolari, tra di esse il ruolo dirigente lo ha svolto la classe operaia organizzata nel PCI, nelle brigate partigiane, nelle milizie popolari dei Gruppi di Azione Partigiana (GAP) e delle Squadre di Azione Patriottica (SAP), negli organismi di massa dei giovani e delle donne (il Fronte della Gioventù Comunista e i Gruppi di Difesa della Donna), negli organismi di fabbrica (i Comitati Segreti di Agitazione). Preparati dall’azione dei nuclei clandestini di operai comunisti, gli scioperi del marzo 1943 nelle fabbriche del nord Italia hanno segnato l’inizio del disfacimento del regime fascista: “dovunque nei tram, nei caffè, nei teatri, nei cinematografi, nei rifugi, nei treni si critica, si inveisce contro il regime e si denigra non più questo o quel gerarca, ma addirittura il duce” scriverà il gerarca fascista Farinacci. Lo sciopero generale del marzo 1944, sotto l’occupazione tedesca, segnò l’inizio della mobilitazione generale per il sabotaggio della produzione bellica nelle fabbriche. Sono le masse popolari mobilitate dalla classe operaia guidata dal suo partito comunista che costruiscono il sistema del nuovo potere che soppianta quello della borghesia.
Il 9 settembre 1943, all’indomani della vergognosa fuga della Corte dei Savoia, del suo governo e dello Stato Maggiore, per iniziativa del PCI venne costituito a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che – come da tempo aveva indicato l’Internazionale Comunista (linea dei fronti popolari antifascisti) – univa tutte le forze democratiche e antifasciste per farla finita con il fascismo: oltre al PCI, il PSIUP (che poi diventerà PSI), il Partito d’Azione, la Democrazia Cristiana, i liberali e i repubblicani. La formazione del CLN centrale fu seguita dalla nascita di CLN in ogni zona del paese (il più importante per il ruolo avuto fu il CLNAI, il CLN dell’Alta Italia) e a ogni livello (fabbrica, scuola, villaggio, rione, ecc.), che diventano i centri dell’attività dei partiti promotori della mobilitazione popolare nella Resistenza. Ciò che caratterizzava il CLN era l’obiettivo di mettere fine all’occupazione nazista e di eliminare il fascismo a ogni costo, cioè mobilitando le masse popolari a sviluppare “senza tregua” e su scala crescente tutte le attività e iniziative di cui erano capaci fino alla vittoria. Da questo punto di vista, era un governo a pieno titolo, la cui forza poggiava sulle masse popolari che i partiti antifascisti (egemonizzati dal PCI) mobilitavano sul piano militare e nella creazione delle strutture della vita civile. Il partito comunista costruisce e dirige, direttamente o indirettamente, dal di fuori dei rapporti politici borghesi (quindi il partito è per forza di cose clandestino) il fronte più ampio possibile di classi e di forze politiche per realizzare gli obiettivi di ogni fase, promuovendo la massima organizzazione delle masse in organismi pubblici e clandestini, legali e illegali, pacifici e combattenti.
Nel 1944 il PCI adottò la linea (“svolta di Salerno”) di costituire un governo popolare e antifascista e concentrare gli sforzi per vincere la guerra e uscire dalla situazione in cui era il paese, mettendo momentaneamente dal parte la pregiudiziale antimonarchica e le divergenze con il Vaticano. È la linea che portò alla formazione dei governi del CLN tra il 1944 e il 1947. La borghesia e il Vaticano, che avevano dovuto rinunciare al fascismo per non essere travolti dalla sua fine, dovettero ingoiare governi che non era quelli loro propri. Il PCI, giustamente consigliato dall’Internazionale Comunista guidata da Stalin e Dimitrov (sciolta formalmente nel 1943 ma di fatto ancora operante), portò il PSI e il Partito d’Azione a “stare al gioco” e ad entrare in governi di compromesso. Il partito comunista deve approfittare delle situazioni in cui, a causa dell’aggravarsi della crisi e della mobilitazione delle masse popolari, la classe dominante non è in grado di mantenere la continuità del suo sistema politico ed è costretta a cedere, adottando la soluzione governativa che le è possibile.
Ognuna di queste mosse e campagne è segnata però da una “macchia”, porta con sé un aspetto negativo. Il PCI promosse su vasta scala l’organizzazione degli operai e del resto delle masse popolari, orientò e animò l’azione di tali organizzazioni, diede ad esse una direzione in gran parte unificata, ma i CLN furono strutturati sui partiti e non su queste organizzazioni. Nel 1944 il PCI stesso riconobbe che “il CLN non ha sempre saputo riconoscere nelle nuove organizzazioni di massa unitarie (sindacali, giovanili, femminili, professionistiche) gli strumenti straordinari dell’inquadramento del popolo italiano nella vita pubblica”. Non li concepì e non ne fece la struttura (non straordinaria, ma costitutiva, come il partito di Lenin fece con i soviet) del potere politico attraverso cui il proletariato avrebbe esercitato la sua dittatura. Dopo la Liberazione, perfino nelle fabbriche in cui i CLN comandavano, il PCI si preoccupava di riprendere la produzione che la fabbrica faceva prima, anziché accogliere tutti i disoccupati disposti a lavorare, fare della fabbrica, oltre che l’organismo per la produzione che si faceva anche prima, un centro di organizzazione e di formazione della massa dei lavoratori della zona, un centro di organizzazione in tutto il territorio circostante dei lavori necessari alla ricostruzione che non erano già compiuti da altri e un centro di promozione per ogni altro aspetto della vita sociale. Quando nel 1944-1947, insieme agli altri partiti progressisti aderenti al CLN, entrò nel governo e in altri modi partecipò alla gestione dello Stato, non si giovò del risultato per conquistare ulteriori posizioni di potere e adottare le misure politiche, finanziarie, economiche e sociali (trasformare ed epurare la struttura statale, fare la riforma monetaria, ecc.) adeguate alla trasformazione generale del paese: non è che non ci riuscì, non se lo propose neanche, come non si propose di prendere in mano e realizzare la ricostruzione del sistema economico.
Perché queste “macchie”? Perché il PCI non aveva un piano per guidare le masse popolari a farla finita non solo con i fascisti e i nazisti, ma anche con i grandi industriali, gli agrari e gli alti prelati che si erano affidati al fascismo, e instaurare il socialismo. Non è che mancassero le spinte in tal senso, al contrario: persino il Manifesto di Ventotene del 1941, che non fu redatto da dirigenti comunisti, indica che è “attraverso la dittatura del partito rivoluzionario (che) si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia”. Negli scritti e nei discorsi del PCI il socialismo è l’orizzonte che viene proclamato, ma i passi da fare per arrivare all’orizzonte non sono indicati, non c’è l’idea di un percorso che si fonda sulle condizioni presenti e traccia anche solo a grandi linee il percorso da compiere per arrivare a instaurare il socialismo. Il PCI non si era dato i mezzi per continuare dopo la vittoria della Resistenza. Nella Resistenza stessa si gettò spinto dall’URSS, dal movimento comunista internazionale e dalle circostanze. La Resistenza non fu una guerra che il PCI aveva ideato (benché sapesse e dicesse che il fascismo non era eterno), di cui aveva costruito le premesse, a cui si era preparato e che aveva concepito e scatenato come passaggio a una fase superiore. Il PCI fu sorpreso dagli eventi dell’8 settembre 1943 e si gettò nella Resistenza senza avere un’idea di dove avrebbe portato, di cosa fare dopo per svilupparne i risultati. Non aveva chiaro che anche il clero e la borghesia vi avrebbero partecipato per avere voce in capitolo nell’assetto del paese nel dopoguerra, quindi il PCI doveva e poteva approfittare della loro partecipazione e prepararsi a regolare i conti. L’eroismo di decine di migliaia di militanti non bastò a colmare questa lacuna. Al contrario le classi dominanti e in particolare il clero cattolico (il Vaticano, la Corte Pontificia) e i gruppi imperialisti americani avevano un pensiero strategico per quanto la loro natura lo consente: mentre ancora “fischiava il vento” della Resistenza, pezzo dopo pezzo restaurarono il loro sistema di relazioni sociali innovandolo quanto necessario per adattarlo alla situazione. Nel dopoguerra, benché con la resistenza clandestina al fascismo (1927-1943) fosse diventato l’avanguardia della classe operaia e con la Resistenza al nazifascismo (1943-1945) il suo effettivo Stato Maggiore, il PCI si avviò alla costruzione di un grande partito popolare e di massa portavoce di lotte e rivendicazioni delle masse popolari, ma si avviò nello stesso tempo alla costruzione di un partito integrato nel nuovo sistema di potere del paese (combinazione tra Vaticano, imperialisti USA, associazioni padronali e organizzazioni criminali) rinunciando di fatto a continuare la guerra contro la borghesia avviata con la Resistenza. Questo ha portato il PCI via via alla dissoluzione e le masse popolari alla situazione attuale: il ruolo determinante del partito comunista è dimostrato sia dai risultati positivi delle lotte delle masse quando la sua direzione è giusta, sia dagli esiti limitati o negativi delle stesse quando la direzione del partito manca o è sbagliata.
Il (nuovo)PCI ha fatto tesoro di questa lezione. Per questo abbiamo elaborato una strategia per instaurare il socialismo, la guerra popolare rivoluzionaria. Per questo abbiamo una tattica che parte dallo stato presente delle cose: la linea della costituzione del Governo di Blocco Popolare, che aprirà una fase superiore della guerra popolare rivoluzionaria. Per questo il (nuovo)PCI è clandestino, cioè è organizzato in modo da adempiere ai propri compiti quali che siano gli sforzi della borghesia per soffocarlo e per soffocare la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato. Vive in mezzo alla classe operaia e alle masse popolari con i suoi Comitati di Partito clandestini, promuove la crescita dell’organizzazione e della coscienza delle masse popolari autonome dalla borghesia, sostiene e promuove ogni movimento di resistenza e ogni organizzazione pubblica delle masse popolari in lotta contro la borghesia imperialista, fa confluire le mille iniziative di lotta e di resistenza, di difesa e di attacco nella comune lotta per costituire un governo di emergenza popolare e da lì avanzare fino a instaurare il socialismo, contribuendo così alla nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. Recluta e organizza nelle sue fila gli esponenti più avanzati e più generosi di ogni classe delle masse popolari, aspira a unire nelle sue file il grosso degli operai avanzati e diventare in questo modo l’effettivo Stato Maggiore della classe operaia che lotta per instaurare il socialismo e mobilita a contribuire a questo compito le altre classi delle masse popolari.
Le forze del (nuovo)PCI sono ancora poca cosa rispetto ai compiti che deve adempiere. La debolezza della rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato si traduce nella debolezza del Partito. Noi oggi per tanti versi siamo come i primi nuclei partigiani che nel 1943 diedero vita alla Resistenza. Miglioreremo imparando a fare meglio il nostro lavoro e nuove forze affluiranno nelle nostre file. Questa è l’opera a cui noi chiamiamo oggi, nell’80° anniversario della vittoria della Resistenza contro il nazifascismo, la parte migliore, più avanzata e più generosa degli operai, degli altri lavoratori e del resto delle masse popolari. La lotta sarà dura, perché grande è l’opera che dobbiamo compiere. Ma la vittoria è sicura. L’instaurazione del socialismo è la via necessaria e possibile attraverso la quale le masse popolari del nostro paese porranno fine al disastro attuale e daranno inizio a una nuova fase della loro vita, insieme al resto dei popoli che in ogni paese resistono e lottano.