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Un paese a sovranità limitata: liberarci dalla Nato è un imperativo, coordinare le forze una necessità

Coordinamento Nazionale No NATO – 14/04/2025

Un paese a sovranità limitata: liberarci dalla Nato è un imperativo, coordinare le forze una necessità – Coordinamento Nazionale No NATO

 

Il nostro paese è un paese a sovranità limitata

L’occupazione di suolo italiano da parte della NATO attesta o certifica la nostra posizione di paese a sovranità limitata
Fin dal 1945 gli imperialisti USA si installano in Italia con proprie forze e il dopoguerra fu caratterizzato dalle infiltrazioni degli USA nella vita economica, politica e sociale del nostro paese. Tale contesto preparò il terreno per l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico (4 aprile 1949) che spianò la via alla sottomissione del nostro paese agli imperialisti USA e a rendere l’Italia uno dei principali avamposti della NATO nel mondo. Questo fu possibile tramite una serie di trattati fra cui l’Accordo tra gli Stati membri del Trattato Nord Atlantico sullo status delle Forze Armate (Londra, 19 giugno 1951 – cosiddetto NATO SOFA), normante la presenza di personale di uno o più paesi Nato sul territorio di un altro Paese dell’Alleanza, oppure l’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture (BIA) tra gli Stati Uniti d’America e l’Italia, firmato il 20 ottobre 1954, che garantiva la disponibilità del territorio italiano per l’installazione di basi militari USA e NATO. Emerge chiaramente che gli USA hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo della cosiddetta “Prima Repubblica”, inquinandone i processi democratici di partecipazione collettiva e facendo dell’Italia un loro retroterra strategico in Europa e indirizzando la politica del nostro paese in maniera anticostituzionale fin dai primi anni del secondo dopoguerra.

L’attività della NATO stride con uno dei principi fondamentali della Costituzione, l’articolo 11, nella misura in cui esso statuisce che “l’Italia ripudia la guerra come strumento d’offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La portata precettiva ha un ambito applicativo esteso alla forma di guerra offensiva, ammettendo, in linea di principio, solo una guerra in chiave di risposta difensiva. Invece, l’azione della Nato è connotata storicamente da una portata offensiva: essa si è espressa a partire dal 1949 tramite operazioni di intelligence di destabilizzazione e sovversione, e poi, esplicitamente, col “nuovo concetto strategico”, risalente al vertice di Washington del 1999, che ammette “operazioni di risposta alle crisi non previste dall’Articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza”. Questo è il terreno in cui si inserisce la partecipazione attiva dell’Italia, a partire dall’aggressione della NATO all’ex Jugoslavia nel 1999, alle operazioni di guerra offensiva promosse dalla NATO, in piena violazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana. Inoltre, l’articolo così seguita: “l’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” ovvero prevede la reciprocità nelle limitazioni di sovranità territoriale come sono, ad esempio, le basi militari straniere. È normata, dunque, la reciprocità nell’installazione di basi: a ogni base militare USA sul suolo italiano ne deve seguire una italiana su suolo statunitense: ciò non è mai successo e questa è un’ulteriore violazione costituzionale.

Infine, l’occupazione militare del nostro paese da parte degli imperialisti USA-NATO viola esplicitamente il principio costituzionale della rinuncia alla sovranità territoriale esclusivamente in funzione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, dal momento che il documento Guida alla Pianificazione della Difesa per anni fiscali 1992-1999 proveniente dal Pentagono, la cosiddetta “Dottrina Wolfowitz”, chiarisce che per esercitare la loro leadership globale, gli USA devono impedire che altre potenze, compresi i vecchi e nuovi alleati, possano diventare competitive nei loro confronti. Citando il documento in questione, il Pentagono afferma che “il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale”. Questo prova che l’attività della Nato non assicura pace e giustizia fra le Nazioni ma persegue l’obiettivo dichiarato degli Usa di conservare la loro egemonia in Europa, il che rende l’attività della Nato incompatibile con ogni parte dell’articolo 11 della Costituzione, e quindi, in definitiva, incompatibile con i valori della nostra Costituzione.

Ma è bene inquadrare anche storicamente il ruolo della NATO nel nostro paese non solo per quanto riguarda l’occupazione territoriale e l’ingerenza nella politica estera, ma anche per quanto riguarda le politiche antipopolari e le iniziative di repressione dei movimenti di lotta del nostro paese.

L’ultima inchiesta sulla strage fascista di Brescia del 28 maggio 1974 ha condotto gli inquirenti sulla soglia d’ingresso di Palazzo Carli a Verona, sede del comando NATOfino al 1997. Li ha portati lì un testimone all’epoca interno agli ambienti di Ordine Nuovo, il gruppo fondato da Pino Rauti responsabile dell’eccidio di Piazza Fontana come di quello a Piazza della Loggia. Dal 1968 al 1980 il fenomeno dello stragismo in Italia, fu opera non solo dei cosiddetti “servizi deviati” e dei gruppi fascisti in funzione anti operaia e antipopolare, ma anche dei centri di potere legati alla Nato, quindi generali, comandi, ecc. a loro volta legati agli ambienti della politica istituzionale (in particolare MSI e DC). Non poteva che essere altrimenti: le stragi di stato come piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974), la Stazione di Bologna (2 agosto 1980) e altre erano tutte figlie della lotta al “blocco sovietico” di cui la Nato si faceva promotrice. E non è un caso che nei decenni che hanno visto il lento procedere dei processi per le «stragi di Stato» sono emersi molti elementi di connessione tra gruppi neofascisti e ufficiali della Nato. L’inchiesta del giudice Guido Salvini su Piazza Fontana, infatti, ha mostrato come i dirigenti di Ordine Nuovo, Carlo Digilio, Sergio Minetto e Giovanni Bandoli fossero legati al capitano del comando Nato di Verona David Carret. I rapporti dei capi ordinovisti con i servizi segreti -agli atti della commissione parlamentare stragi- configurano Ordine Nuovo come gruppo inquadrato nei cosiddetti «Stati Maggiori Allargati» ovvero un ambito operativo anticomunista «misto» militari-civili delineato nel convegno dell’Istituto Pollio di Roma nel 1965 (finanziato dal ministero della Difesa) in cui venne teorizzata la strategia stragista. Vertici delle forze armate sono stati condannati per fatti relativi alle stragi: Gianadelio Maletti, capo del controspionaggio del SID, per favoreggiamento di Marco Pozzan e Guido Giannettini per la strage di Piazza Fontana.

Insomma, la NATO in combutta con una parte della classe dominante di questo paese, fascisti ed esponenti dei servizi segreti e degli apparati militari ha avuto un ruolo decisivo in quello che è stato il periodo delle stragi di Stato in risposta alla mobilitazione popolare che in quella fase era incarnata dal movimento studentesco, dal movimento dei consigli di fabbrica e da decine di migliaia di esperienze di lotta che ci hanno permesso di ottenere quelle conquiste sociali che oggi pezzo dopo pezzo voglio strapparci per sacrificarle sull’altare della Terza guerra mondiale: diritti dei lavoratori, sanità pubblica, istruzione pubblica, beni comuni, benessere ambientale e servizi sociali. Ma non solo, il ruolo di gruppi fascisti e nazisti al soldo della Nato è evidente da oltre 10 anni in Ucraina: il battaglione Azov, Pravy Sector e altri gruppi simili nel loro compito dapprima di repressione popolare, come la strage presso la casa dei lavoratori di Odessa nel 2014 e poi intruppati nell’esercito Ucraino al comando di ufficiali USA: almeno 2 furono i “formalmente” ex ufficiali USA arrestati dopo la presa da parte dell’esercito russo delle acciaierie Azovstal (il generale canadese Trevor Kadier in forza alla NATO e il tenente generale dell’esercito USA Roger L. Cloutier). Ma non solo: nell’ottobre 2024 la Federazione Russa ha diffuso la lista di organizzazioni neofasciste e neonaziste che sono impegnate nel reclutamento di mercenari per il regime di Kiev. Queste sono: Partito Nazionaldemocratico di Germania, Falange spagnola, Combattenti cechi in Ucraina, Aiuto all’Ucraina in Gran Bretagna, Forza Nuova e CasaPound, Fratellanza Ariana, Portugal Hammerskins, Fronte Nazionale, Resistenza Nazionale e Nuovo Ordine Sociale.

Chissà infine cosa ha da dire in merito il PD, che a chiacchiere si professa antifascista mentre sostiene con piena complicità e responsabilità le politiche criminali della NATO: non ci si può dichiarare antifascisti e sostenere la NATO.

Venendo ad oggi, inoltre, la presenza della NATO aggrava in modo sempre più evidente gli effetti nel nostro paese della guerra esterna e interna, attraverso:

  • Il coinvolgimento negli scenari di guerra: dal 1991 l’Italia ha partecipato ad almeno 38 operazioni militari promosse dalla Nato che interessano vaste aree come il Medio Oriente, i Balcani, l’Africa e l’Asia. I governi italiani sono stati complici dei bombardamenti di Belgrado durante l’aggressione all’ex Jugoslavia, hanno condotto l’operazione Antica Babilonia in Iraq, hanno contribuito con interventi dell’aeronautica militare durante l’invasione della Libia, per citare alcune fra le maggiori responsabilità dell’Italia in guerre offensive condotte dall’Alleanza. Le basi militari Usa-Nato nel nostro paese costituiscono un retroterra tattico per numerose operazioni di sostegno a conflitti Nato: dalla base siciliana di Sigonella sono partiti droni che fungono da ricognitori e guida per i missili Atacms utilizzati nell’ambito degli attacchi delle forze armate di Kiev contro obiettivi militari e civili russi oppure mezzi dell’aviazione statunitense, destinati al trasferimento di sistemi d’arma, munizioni, equipaggiamento in supporto allo Stato sionista di Israele.
  • L’aumento di risorse pubbliche destinate all’industria bellica: dal 2019 a oggi sono stati investiti dal Ministero della Difesa circa 140 miliardi di euro e la cifra è in costante aumento. A queste cifre vanno aggiunti i finanziamenti privati proveniente da soggetti terzi: è eclatante il caso della banca Intesa Sanpaolo che dal 2016 a oggi ha destinato al settore degli armamenti più di 2 miliardi di dollari. Emerge che l’Italia rimane impegnata a muoversi verso i parametri definiti dall’Alleanza Atlantica, secondo i quali ogni paese deve investire almeno il 2% del PIL in spesa militare mentre il sistema pubblico è devastato e necessita di urgenti finanziamenti che negli anni non solo non aumentano ma diminuiscono.
  • L’inquinamento ambientale: Uranio impoverito, torio 232, arsenico, trizio, sono solo alcuni dei metalli pesanti utilizzati all’interno dei sempre più sofisticati e potenti armamenti in dotazione agli eserciti NATO. Questi armamenti sono prima testati nei poligoni militari a uso NATO su suolo italiano (Poligono Interforze di Salto di Quirra – PISQ, Capo Teulada, Capo Frasca in Sardegna; il Dandolo in Friuli Venezia Giulia; Monte Romano nel Lazio) e successivamente utilizzati nelle operazioni di guerra e saccheggio in cui gli eserciti NATO sono coinvolti, con lo strascico di patologie tumorali e inquinamento ambientale provocato ai danni di civili italiani che vivono nei pressi dei poligoni, dei civili stranieri che subiscono i bombardamenti, dei militari di truppa e sottufficiali che li adoperano. L’inquinamento bellico, come dimostrano i territori della Sardegna, della ex Jugoslavia, dell’Iraq e altri, va ben oltre i bombardamenti: i metalli pesanti restano nel terreno, nell’aria e nelle falde acquifere nei casi minori per diversi decenni, addirittura centinaia di anni. A ciò è connessa la produzione bellica: una produzione energivora e che si basa in gran parte sull’estrattivismo selvaggio (metalli e altri minerali, combustibili fossili, ecc.) con buona pace della propaganda dei partiti guerrafondai sull’economia green!
  • La militarizzazione della società: le scuole e le università stanno sempre più diventando terreno di conquista di una ideologia bellicista e di controllo securitario che si fa spazio attraverso l’intervento diretto delle forze armate (in particolare italiane e statunitensi) declinato in una miriade di iniziative tese a promuovere la carriera militare in Italia e all’estero, e a presentare le forze armate e le forze di sicurezza come risolutive di problematiche che sono invece pertinenti alla società civile. Questa invasione di campo vede come protagonisti rappresentanti delle forze militari addirittura in qualità di “docenti”, che tengono lezioni su vari argomenti (dall’insegnamento dell’inglese da parte di personale NATO a tematiche inerenti la legalità e la Costituzione) e arriva a coinvolgere persino i percorsi di alternanza scuola-lavoro (PCTO) attraverso l’organizzazione di visite a basi militari o caserme. Il tutto suffragato da protocolli di intesa firmati da rappresentanti dell’Esercito con il Ministero dell’Istruzione, gli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali e le singole scuole.Nelle Università la NATO entra in progetti di ricerca e di didattica con collaborazioni come quella relativa a “Science for Peace and Security Programme”, ma anche attività condotte insieme alla Marina Militare come “Mare Aperto”, una vera esercitazione di guerra che si svolge ogni anno nel Mediterraneo. In altri casi, ci sono accordi fra Università e NATO per lo svolgimento di tirocini curriculari o extracurriculari presso Comandi o basi NATO. Oltre agli accordi quadro su didattica e ricerca, si evidenzia come nel caso dell’Università di Bologna alcuni percorsi di laurea prevedono al loro interno la possibilità di partecipare al NATO Model Event, una simulazione di gestione di crisi internazionali condotta da esperti NATO. Questo processo coincide con la crescente militarizzazione delle strade cittadine, consolidando l’approccio militare al governo dei territori: lo dimostra l’estensione dell’uso di tecnologie nell’ambito del controllo dell’ambiente urbano come la videosorveglianza, il tracciamento biometrico e i droni equipaggiati con nuove piattaforme satellitari.

Le proposte del Coordinamento Nazionale No Nato

La finalità del coordinamento è quella di attuare fino in fondo l’articolo 11 della Costituzione italiana. La sua applicazione sostanziale implica e coincide con l’uscita dell’Italia dalla Nato. Un orizzonte così richiede di mettere in campo dei passi e delle tappe che si traducono in misure già praticabili che vanno nella direzione di indebolire la morsa con cui la NATO sottomette il nostro paese – e così, creare condizioni più favorevoli per la sua cacciata. Il Coordinamento vuole dunque valorizzare tutto quanto già si muove e già può essere realizzato stante le agibilità democratiche e i principi della nostra Costituzione.

1. Ritiro dei contingenti italiani all’estero: attualmente oltre 5000 militari italiani sono impegnati in molte missioni militari della NATO. La partecipazione dei militari italiani in missioni offensive promosse dalla NATO non è normata da accordi statutari dell’Alleanza dal momento che l’intervento dei paesi membri è obbligato solo in caso di attacco subito da un Paese membro: la partecipazione a queste missioni avviene tramite accordi presi di governo in governo e dunque è una precisa scelta politica di sottomissione che possiamo interrompere. La procedura di ritiro dei contingenti italiani all’estero può essere fatta in tempi brevi, tanto brevi quanto può essere l’emissione di un decreto d’urgenza che richiama in patria i militari all’estero.

2. Tagli dei finanziamenti per l’industria bellica: la NATO vorrebbe portarci a investire il 2% del PIL nel bilancio del Ministero della Difesa, a cui si aggiungono gli acquisti di armamenti che via via vengono accordati tra i vari paesi NATO. Dobbiamo invertire questa china e imporre che le risorse date in pasto ai guerrafondai per finanziare la guerra siano utilizzate in altri ambiti e settori utili alla collettività.

3. Applicazione della legislazione italiana ai militari stranieri in servizio in Italia: i contingenti stranieri in servizio in Italia sono storicamente connotati da un certo livello di impunità e immunità alla giurisdizione italiana. Questo è sbagliato: extraterritorialità o meno, chi commette reati nel nostro paese deve essere giudicato secondo quanto stabilito dalle leggi italiane.

4. Chiudere i poligoni militari: la maggior parte dei poligoni NATO su suolo italiano non sono di proprietà della NATO o di altri paesi (non godono quindi di extraterritorialità) e possono essere oggetto dell’intervento del governo italiano senza passare dal benestare di altri paesi o delle industrie militari italiane e straniere che al loro interno vi sperimentano armi di ogni tipo, in violazione del diritto internazionale. Inoltre sono aree inquinate in cui sono state interrate tonnellate di metalli pesanti e sostanze cancerogene stante l’utilizzo di agenti tossici come l’uranio impoverito o il torio negli armamenti. Nel Memorandum d’Intesa Italia-USA del 1995 è statuito che le autorità italiane possono intervenire nelle basi USA-NATO in qualsiasi momento se sospettano di attività che minano la salute pubblica e l’ambiente. E’ possibile quindi in ogni momento, per il Ministero della Difesa italiano, decidere di chiudere le porte dei propri poligoni alle esercitazioni NATO.

5. Bonifica dei territori inquinati: le esercitazioni militari della NATO in Italia hanno determinato tassi di inquinamento ambientale elevatissimi, con incidenze tumorali fuori da ogni “normalità” per quanto riguarda le aree circostanti i poligoni NATO in particolare in Sardegna. Questi territori vanno interdetti all’uso e bonificati utilizzando tutte le risorse economiche che attualmente vengono invece utilizzate per progettare, sperimentare e usare armamenti sempre più inquinanti.

6. Riconversione dell’industria bellica:

La tendenza attuale dell’industria a partecipazione pubblica va in direzione opposta al disarmo, con la dismissione di interi settori di industria civile, inclusi quelli per la transizione verde e il pubblico trasporto con un aumento vertiginoso della quota di fatturato proveniente dalla fornitura di sistemi di arma. Tendenza già affermatasi negli USA con l’uscita dal settore civile di grandissime imprese, concentrate oggi sulle tecnologie militari.

Lavoriamo per ottenere una diminuzione dell’impegno bellico dell’industria a partecipazione pubblica a favore dell’impegno nella ricerca, progettazione e produzione di tecnologie per la difesa civile ed il contrasto alle minacce che incombono sulle popolazioni in virtù dei cambiamenti climatici, il dissesto idrogeologico, l’invecchiamento della popolazione e i rischi sanitari e di epidemie. In questo campo di lotta, ci battiamo per garantire ad ogni lavoratore dell’industria bellica il proprio posto di lavoro, contro i tentativi di ricatto, licenziamento, ecc. che i padroni dell’industria bellica metteranno in campo per contrapporre operai e organismi di lotta.

Il Coordinamento lotterà contro la pratica delle “porte girevoli” tra funzione politica e dirigenza dell’industria bellica e promuoverà iniziative di lotta contro l’ingerenza dei comitati d’affari dell’industria bellica nelle decisioni politiche ed economiche del paese. Il coordinamento si mobiliterà a difesa della legge 185/90 e contro il traffico di armi, contribuendo all’iniziativa che già gruppi di lavoratori in Italia (CALP di Genova, GAP di Livorno, lavoratori USB dell’aeroporto di Montichiari e altri) promuovono in questo senso.

7. Desecretazione di tutti gli accordi segreti: secondo la legge 124/2007, aggiornata poi con DPCM n.3 del 2017, l’estensione temporale della secretazione di uno o più documenti non può superare i quindici anni a partire dall’apposizione del segreto e può essere prorogato fino a un massimo di trent’anni. L’accordo bilaterale Italia-Usa del 1950, l’accordo Italia-Usa sulla sicurezza reciproca del 1952, l’accordo tecnico aereo Italia-Usa del 1954, l’accordo bilaterale Italia-Usa sulle infrastrutture del 1954 sono tutti documenti ancora secretati.

8. Riconoscimento come vittime di guerra di tutti i civili e militari morti a causa delle attività svolte nelle basi USA-NATO: tutti i civili e militari ammalati, mutilati o morti per la presenza delle installazioni militari USA-NATO in Italia (esposizione alle sostanze tossiche utilizzate nelle basi durante le esercitazioni e non, residuati bellici, ecc.), vanno riconosciuti come vittime di guerra. La NATO è responsabile e i governi italiani sono stati complici della malattia e morte di civili e militari per le attività svolte dalle basi.

9. Smilitarizzazione delle scuole e delle università: per scongiurare che i luoghi dell’istruzione, principalmente scuole di ogni ordine e grado ed università possano trasformarsi in terreno di propaganda bellica e di manipolazione delle coscienze sul ruolo della NATO, l’azione del Coordinamento sarà volta a denunciare e boicottare le iniziative didattiche dirette e indirette che vengono programmate sulle basi di collaborazioni fra l’alleanza atlantica e le scuole o gli atenei in collaborazione con gli organismi già attivi su questo tema (ad es. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e università) con l’obiettivo di far saltare eventuali accordi di cooperazione tra i luoghi dell’istruzione e i luoghi militari o i progetti finalizzati in tal senso. La smilitarizzazione dell’istruzione deve essere portata avanti non solo sul fronte della didattica, ma anche sul versante della ricerca universitaria o dei progetti a vario titolo che coinvolgono anche le scuole.

10. Abolizione dei “decreti sicurezza” contro le libertà democratiche: a fronte dello sviluppo della Terza guerra mondiale, la classe dominante ha necessità di stringere la morsa repressiva contro chi si organizza e lotta contro le politiche di guerra. A partire dal DDL 1660, imposto tramite decreto dal governo Meloni il 4 aprile scorso, il coordinamento farà un’azione di resistenza, solidarietà e lotta alle misure repressive che vincolano e ostacolano l’agibilità politica degli organismi che lottano contro la NATO, le politiche di guerra, l’economia di guerra e i suoi effetti fino all’abolizione delle principali misure repressive ai danni delle masse.

Su questi punti il CNNN vuole promuovere l’unità d’azione e il coordinamento con tutti gli organismi che sono disponibili a farlo. Le oltre 30 iniziative e mobilitazioni che si sono svolte in tutta Italia nei giorni del 4, 5, e 6 aprile dimostrano che nel nostro paese sono tanti gli organismi locali che intendono attivarsi nella lotta contro la Nato, l’economia di guerra e le politiche di guerra, il piano di riarmo dell’UE per fermare la spirale della Terza guerra mondiale. Più di 2000 attivisti/e, militanti contro la Nato e la guerra hanno partecipato alle 30 iniziative che si sono svolte da Trieste a Palermo, da Napoli a Bologna, Milano, Roma, Genova, Firenze e molte altre città. A queste, si aggiungono i volantinaggi, le striscionate e altre iniziative svolte a sostegno della tre giorni di mobilitazione e dimostrano che la lotta contro la Nato nel nostro paese è viva, rappresentata da decine di istanze locali che hanno la necessità di coordinarsi per far valere la propria forza, alimentare la costruzione di quella “massa critica” necessaria a far saltare i piani dei guerrafondai e i governi a loro succubi.

Non c’è altra strada da percorrere che non sia quella della lotta di liberazione dagli occupanti USA-NATO e dagli speculatori della UE che intendono ingrassare le proprie tasche sulla nostra pelle e dai governi e partiti a loro sottomessi: lo dimostrano anche e soprattutto la partecipazione di oltre centomila persone alla manifestazione indetta a Roma dal M5S, a cui il Coordinamento Nazionale No Nato ha partecipato con un proprio spezzone portando l’esplicita parola d’ordine di farla finita con la NATO e l’occupazione militare del nostro paese, la necessità di promuovere una vera e propria lotta di liberazione. Lotta di liberazione che deve partire da ogni territorio e convergere in un’unica mobilitazione generale a cui lavorare con pazienza, dedizione, alimentando la solidarietà, superando gli steccati del settarismo e della concorrenza e sviluppando sempre di più il coordinamento.

L’appello è a lavorare insieme, sviluppare le potenzialità di ogni territorio per spingere in avanti, coordinandoci, la lotta per portare il nostro paese fuori dalla NATO!

 

TRIESTE: Presentazione del Coordinamento Nazionale NO NATO con Emanuele Lepore:

 

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