medici diritti umani

La storia di Aziz, un rifugiato che viaggiò su betoniera

Medici per i Diritti Umani (MEDU) pubblica alcune delle storie dei rifugiati senza dimora assistiti dai suoi volontari nel corso del 2012 a Roma e Firenze.

 

STORIE DI RIFUGIATI
Aziz che viaggiò in una betoniera

 
Roma, 28 dicembre 2012
 

 

medici diritti umaniMentre mancano pochi giorni al 31 dicembre, termine dell’emergenza Nord Africa  (vedi appello Non mandiamoli sulla strada!), e la sorte di oltre 17.000 profughi accolti nelle strutture del circuito emergenziale appare ancora incerta malgrado il Governo abbia garantito la proroga dell’accoglienza per altri due mesi, Medici per i Diritti Umani (MEDU) pubblica alcune delle storie dei rifugiati senza dimora assistiti dai suoi volontari (progetto Un Camper per i diritti) nel corso del 2012 a Roma e Firenze. L’auspicio (malgrado il pessimismo della ragione) è che il 2013 porti una maggiore attenzione da parte del mondo politico ai temi dell’accoglienza e dell’integrazione dei rifugiati, considerati non più come questioni marginali bensì come elementi qualificanti della maturità civile di una società. La storia di Aziz è certo il segno di un mondo contemporaneo percorso da conflitti e intolleranza, dove gli uomini si dividono tra chi ha la possibilità  di viaggiare liberamente e chi lo può fare solo a rischio della propria vita,   ma testimonia anche le gravi carenze del nostro Paese nel garantire alcuni diritti fondamentali a chi cerca asilo. In particolare il tratto di Adriatico che separa la Grecia dall’Italia è da troppo tempo ormai una sorta di “ultimo guado infernale” per migliaia di migranti forzati che già affrontano viaggi drammatici per fuggire da violenze e persecuzioni. Un ultimo guado  che molti rifugiati cercano di attraversare nei modi più rocamboleschi e inverosimili ma che danno il segno preciso di quanto sia drammatica e assurda la condizione in cui queste persone sono costrette a viaggiare per raggiungere un paese sicuro, correndo poi il rischio di venire respinti  – come nel caso di Aziz – senza che la propria richiesta di protezione venga in alcun modo presa in considerazione. Molti affrontano il tragitto   all’interno dei container degli auto rimorchi, alcuni nel vano motore  di una macchina, altri si nascondono sotto i tir al momento dell’imbarco e delle sbarco, come Zaher dall’Afghanistan,  che morì schiacciato a 13 anni  sotto un autocarro all’arrivo nel porto di Mestre.
Aziz ha tentato di attraversare l’Adriatico tre volte….
 

Aziz che viaggiò in una betoniera
 

Aziz ha 45 anni, viene dall’Iran, Teheran. Ha lasciato il suo paese circa due anni fa perché perseguitato dal regime. E’ stato torturato in quanto militante del Movimento Verde (Jonbesh-e Sabz), come dimostrano le evidenti cicatrici sul suo braccio sinistro.
Attraversato il confine, il suo viaggio inizia a Sulaymaniyah, città di frontiera tra Iran e Iraq. Si ferma poi  a Kirkuk, nel Kurdistan iracheno dove vive e lavora per 2 mesi come elettricista, il tempo di guadagnare i soldi necessari per poter proseguire verso la Siria, dove però resterà solo 3-4 giorni. Vorrebbe fermarsi, ma è troppo pericoloso perché la Siria è scossa dalla guerra civile. Decide allora di attraversare la Turchia e da lì approda in Ucraina attraversando il Mar Nero, poi in Russia, seguendo le rotte dei trafficanti più per caso che per una scelta consapevole. Intanto trascorrono 3 o 4 mesi durante i quali Aziz non riesce a lavorare, ma può ancora sopravvivere grazie ai soldi ricevuti in prestito da un familiare al momento della partenza,  finché non decide di spendere gli ultimi 1200 euro per ottenere dei documenti falsi con la speranza di arrivare in un paese dove riceverà asilo e accoglienza. Fa un primo tentativo verso il Canada, ma viene fermato all’aeroporto prima ancora di partire ed è costretto a pagare 200 euro ai trafficanti russi per evitare la prigione. Si affida quindi alla malavita russa, per ottenere di nuovo dei documenti falsi e tentare questa volta di raggiungere un paese europeo. Chiede ancora dei soldi alla famiglia con i quali acquista un biglietto per Parigi. I trafficanti russi gli consigliano di passare per la Moldavia. All’aeroporto di Chisinau viene però  fermato e respinto.
Torna a Kiev, ma ormai è rimasto senza soldi. Cerca di farsi risarcire dal “contatto” russo. Dopo estenuanti contrattazioni riesce ad ottenere soltanto 200 euro e un biglietto per la Turchia. Arriva a Istanbul, senza un soldo in tasca. L’aeroporto è lontano dalla città, ma Aziz parla turco (lo ha imparato in Iran guardando la tv) e inglese e conosce la città, dove  è già stato in passato. Resta quattro mesi a Istanbul lavorando come sarto, elettricista, e lava tappeti. Nel periodo di Natale il viaggio verso la Grecia: in bus fino al confine, poi a piedi per circa 12 ore (“tutta la notte”). Grazie a Google Earth conosce la mappa nei dettagli e riesce ad arrivare al fiume Evros, che divide la Turchia dalla Grecia ma non ha i soldi per comprare un canotto, come fanno i più fortunati per attraversare il pericoloso confine, ultima frontiera prima dell’Europa. Si nasconde quindi fino alla notte successiva, poi decide di attraversare il fiume a nuoto tenendo tra i denti una busta di plastica con i vestiti asciutti. Il fiume è molto inquinato, pieno di rifiuti e di buste che galleggiano. In Grecia continua a camminare tutta la notte per arrivare ad Alessandropoli. Da lì parte in autobus verso Atene dove si ferma per alcune notti trovando rifugio ad “Alexandra Park”, popolata da molti profughi nella stessa situazione. “Ogni tanto i volontari di una chiesa portano un pasto, altrimenti ci si accontenta dei rifiuti dei ristoranti”. Da Atene a Patrasso, dove Aziz rimane per 3-4 mesi. E’ Natale del 2011. “Patrasso è sempre buia. Le persone sono come zombie, che si nutrono di rifiuti”racconta.
Più di venti volte tenta di partire da Patrasso, ma lo fermano al porto, lì sotto, attaccato al camion. “Sei al semaforo, aspetti il momento giusto per nasconderti sotto il camion, facendo attenzione a non farti vedere dal guidatore. Poi aspetti che il camion entri nel traghetto. A volte passano molte ore […]. Non temiamo la morte perché è a lei che sfuggiamo”.
Per tre volte riesce a imbarcarsi per l’Italia, ma solo la terza riesce a toccare terra. Il primo tentativo è per Ancona, ma arrivato in Italia le autorità portuali entrano nella nave e lo trovano. Allora gli chiedono dove sia diretto. “England” risponde. “Sarà per un’altra volta”, gli dicono dopo avergli chiesto nome e cognome. Aziz tenta di spiegare nel suo impeccabile inglese che non vuole tornare indietro perché in Grecia è un inferno e nel suo paese non può tornare, ma non c’è niente da fare. Nessuno lo capisce né tantomeno prova a farlo. Dopo 12 ore la stessa nave lo riporta in Grecia, a Patrasso, chiuso nel bagno. “Se volevano mi davano una sigaretta o qualcosa da mangiare. Da bere niente. Bevevo dal rubinetto del bagno”.
Il secondo tentativo è per Venezia, nascosto in un camion-betoniera. Alla partenza, il guidatore la mette in azione più volte per accertarsi che non ci sia nessuno dentro. Aziz resiste, non esce, gira più volte nella betoniera. “Stavo cercando di salvarmi la vita, avevo fiducia, ce la potevo fare” ricorda. Il traghetto parte e finalmente Aziz esce dalla betoniera in cerca di acqua. La sete si fa insopportabile, ma Aziz si accorge che uscire allo scoperto è troppo rischioso. Mentre valuta la situazione, si avvicina un uomo algerino, che chiede “moya, moya”, acqua, acqua. “Non ne ho”, risponde Aziz “Zitto, non ti far sentire, io sono da tre giorni senza cibo ne` acqua.” Tra i camion Aziz intravede una terza persona, un nero che, a poca distanza dalle coste italiane, salta nella betoniera. Di nuovo l’autista controlla che non ci sia nessuno mettendola in moto, ma ora sono in due a girare nel cilindro. “Il nero era pesante, un uomo molto grande che mi cadeva addosso ad ogni giro”.
Ma Aziz resiste in silenzio, anche se ha le gambe ferite. All’arrivo la polizia sale sulla nave. Qualcuno viene scoperto e cede, rivelando che tra i camion ci sono altre persone. Aziz viene scoperto ancora una volta… “Dove vuoi andare?”, “In Italia” dice questa volta Aziz.  E’ agitato, nervoso, cerca in tutti i modi di farsi comprendere, vuole chiedere protezione da qualche parte, anche in Italia se necessario. Anche questa volta viene respinto. Ormai è il settimo mese a Patrasso, tra tentativi e fallimenti. E’ la metà di luglio e Aziz decide di provare ancora: traghetto per Bari. Per non farsi trovare sulla nave, si butta in mare prima di arrivare al porto. E’un salto alto, che gli costerà una frattura alle costole, come riscontrano i medici di MEDU una settimana dopo il suo arrivo. Nuota lentamente al buio verso la costa e solo la notte successiva, dopo diverse ore, esce dal mare, aspettando il momento giusto per attraversare il porto inosservato. Questa volta nessuno lo ferma. Stazione di Bari, treno per Roma, qualcuno in Grecia gli ha detto “Piramide”. Non sa cosa sia, né dove. A Termini chiede del Colosso… Colosseo, prende la metro, sulle stazioni e` indicato “Piramide”. Ancora qualche passo, qualche passaparola, e l’arrivo al tendone di Tor Marancia (Centro di prossimità per i migranti forzati dove opera  settimanalmente un’equipe socio-sanitaria di MEDU). Per fortuna nessuno ha preso le sue impronte digitali. Aziz vuole ancora arrivare in Inghilterra.

 

Ufficio stampa

Medici per i Diritti Umani, organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale, fornisce dal 2006 assistenza e orientamento socio-sanitario ai rifugiati in condizioni di precarietà nell’ambito del progetto Un Camper per i Diritti nelle città di Roma e Firenze.
 

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