“La postmodernità significa molte cose diverse per molte persone diverse. Può significare un edificio che ostenta arrogantemente gli ‘ordini’ che prescrivono cosa si adatta a cosa e cosa deve essere tenuto rigorosamente fuori per preservare la logica funzionale dell’acciaio, del vetro e del cemento.
Mario Bonanno: Zombi. La progenie afasica del Capitale
Zombi. La progenie afasica del Capitale
di Mario Bonanno
“La postmodernità significa molte cose diverse per molte persone diverse. Può significare un edificio che ostenta arrogantemente gli ‘ordini’ che prescrivono cosa si adatta a cosa e cosa deve essere tenuto rigorosamente fuori per preservare la logica funzionale dell’acciaio, del vetro e del cemento. Significa un’opera di immaginazione che sfida la differenza tra pittura e scultura, stili e generi, galleria e strada, arte e tutto il resto. Significa una vita che assomiglia sospettosamente a un serial televisivo, e un docudramma che ignora la tua preoccupazione di mettere da parte la fantasia rispetto a ciò che ‘è realmente accaduto’. Significa licenza di fare tutto ciò che si può desiderare e il consiglio di non prendere troppo sul serio ciò che si fa. Significa la velocità con cui le cose cambiano e il ritmo con cui gli stati d’animo si succedono l’un l’altro in modo da non avere il tempo di ossificarsi nelle cose. Significa rivolgere la propria attenzione in tutte le direzioni contemporaneamente, in modo che non ci si possa fermare su nulla per molto tempo e che nulla possa essere guardato da vicino. Significa un centro commerciale traboccante di merci il cui uso principale è la gioia di acquistarle; e un’esistenza che sembra una reclusione a vita nel centro commerciale. Significa l’esilarante libertà di perseguire qualsiasi cosa e la sconcertante incertezza su ciò che vale la pena perseguire e in nome di cosa la si dovrebbe perseguire.”
Zygmunt Bauman
Gigi Roggero: Pensare con il martello
Pensare con il martello
di Gigi Roggero
È fresco di stampa La rivoluzione in esilio. Scritti su Mario Tronti, a cura di Andrea Cerutti e Giulia Dettori (Quodlibet). Il volume è costituito da una raccolta di saggi da parte di figure di differente formazione che analizzano degli aspetti particolari dello straordinario percorso teorico-politico dell’autore di Operai e capitale. Proponiamo qui lo scritto di Gigi Roggero, dall’esemplificativo titolo Pensare con il martello, e dall’esemplificativa conclusione: «Abbiamo l’impressione di non vederla, eppure la tigre è lì, sempre pronta a balzare. Non in un imprecisato futuro, ma contro un presente determinato. Scommettiamo su una profezia, la forza di vedere quello che gli altri non vedono, la volontà di dire quello che gli altri rifiutano di ascoltare, il progetto di scomporre il tutto del capitale per ricomporre e dunque trasformare radicalmente i frammenti della nostra parte. In questa notte apparentemente senza stelle, il nostro noi si forma riconquistando la capacità di afferrare le tracce dell’aurora».
* * * *
«As a first objection, we might ask who said that human civilisation is indeed capital’s dearest concern». Tradurre significa tradire, si dice. Questo non è un tradimento linguistico per rendere comprensibile il pensiero. Questo è un tradimento del pensiero per rendere malleabile il linguaggio. Invece no, il pensiero è proprio quello: «Ma prima di tutto, chi vi dice che ci sta a cuore la civiltà dell’uomo?». La liquidazione definitiva del lessico umanitario universalista viene qui ritradotta in quel lessico. Per essere chiari: la responsabilità non è del lavoratore che ha tradotto Operai e capitale. La responsabilità è dell’industria che quel lavoro comanda. Quando Lenin arriva in Inghilterra, l’Inghilterra tenta di edulcorare Lenin, di depoliticizzarlo, di svuotarlo. Il pensiero debole è sempre uno strumento al servizio del pensiero dominante.
Roberto Finelli: Critica, capitale e totalità
Critica, capitale e totalità
di Roberto Finelli
Critica e totalità sono due categorie che entrano nella cultura moderna come intrecciate e inscindibili solo con la filosofia di Hegel. Già Kant, com’è ben noto, aveva fatto della critica la modalità fondamentale di una filosofia che, rinunciando alle astrazioni di una metafisica ontologica dell’Essere o della Realtà Oggettiva, indagasse di fondo le strutture invarianti e trascendentali della soggettività. Ma è propriamente con Hegel che, a partire dalla tesi secondo cui «il vero è l’intero», la critica diventa fattore intrinseco della costruzione di una totalità, giacchè solo attraverso il progressivo autotoglimento di visioni fallaci e parziali si raggiunge la verità di un intero: attraverso cioè la dialettica dell’autocritica e dell’autocontraddizione in cui non può non cadere qualsiasi pretesa di un lato solo particolare o di una configurazione parziale di valore come l’intero. Il finito si toglie da sé medesimo, perché, non riuscendo alla fin fine a coincidere e a consistere solo con sé stesso, è costretto, per necessità interiore, a negarsi e a trapassare in altro.1 La critica qui, ancor più che in Kant, non rimanda più ad alcun osservatore o giudice esterno ma è il giudizio che la realtà stessa produce su sé medesima, in un’autonegarsi attraverso contraddizione, che dovrebbe garantire insieme verità del sapere ed emancipazione dell’agire. Solo che Hegel per dare continuità ai diversi passaggi dialettici ha dovuto forzare, almeno a mio avviso, la natura della negazione, assolutizzandola e ipostatizzandola, fino ad estremizzarla in un puris– simo negativo, che non nega alcunché di determinato fuori di sé, ma alla fine null’altro che il proprio negare. Estenuando, con ciò, il nesso fondamentale genialmente istituito tra critica e totalità nella chiusura, invece, di una metafisica immanente del nulla/negazione.
John Pilger: Il sequestro giudiziario di Julian Assange
Il sequestro giudiziario di Julian Assange
di John Pilger – Counterpunch*
Guardiamoci, se ne abbiamo il coraggio, e vediamo quel che avviene di noi
Jean-Paul Sartre
Le parole di Sartre dovrebbero riecheggiare nelle nostre menti dopo la grottesca decisione dell’Alta Corte britannica di estradare Julian Assange negli Stati Uniti dove affronterà “una morte vivente”. Questa è la sua punizione per il crimine di giornalismo autentico, accurato, coraggioso e vivo.
Errore giudiziario è un termine inadeguato in queste circostanze. Ci sono voluti solo nove minuti venerdì scorso ai cortigiani dell’ancien regime britannico per accogliere l’appello statunitense e ribaltare il verdetto di gennaio in cui il giudice della Corte Distrettuale riconosceva nel monte di prove l’evidenza dell’inferno in terra che attende Assange oltre l’Atlantico: un inferno in cui, è sapientemente previsto, troverà un modo per togliersi la vita.
Volumi di testimonianze di persone autorevoli, che hanno esaminato e analizzato Julian, che hanno diagnosticato il suo autismo e la sua sindrome di Asperger e hanno rivelato che era già arrivato a un soffio dal suicidarsi nella prigione di Belmarsh, l’inferno della Gran Bretagna, sono stati ignorati.
Sergio Scorza: Ita. Piovono pietre, ma non per i sindacalisti complici
Ita. Piovono pietre, ma non per i sindacalisti complici
di Sergio Scorza
Dal “mandiamoli via tutti” all’infornata di vecchi sindacalisti, l’inversione di rotta operata da #Ita Airways nel giro di due mesi ha dello spettacolare. Tanto da assomigliare ad una manovra di emergenza.
Secondo quanto risulta al Fatto, dopo aver rivisto in meglio le sue condizioni contrattuali e aver aderito al Contratto collettivo di categoria, la compagnia nata dalle ceneri della vecchia Alitalia si appresterebbe ad assumere una lunga lista di piloti e comandanti appartenenti soprattutto a #Cisl e #Uil ma anche a #Cgil, #Ugl ed #Anpac.
Molti dei nomi sono quelli dei protagonisti degli infiniti accordi e accordicchi che hanno lastricato il percorso dell’ex compagnia verso il baratro, via crucis costata ai contribuenti 13 miliardi di euro.
Circostanza curiosa: di fronte alla richiesta di verifica, Uil e Cisl hanno smentito le prossime assunzioni. L’azienda le ha viceversa confermate. Secondo quanto risulta al Fatto molti di questi ex piloti #Alitalia stanno già partecipando ai corsi di aggiornamento svolti da Ita.
Gabriele Guzzi and L’Indispensabile: Non salvate il “natale”
Non salvate il “natale”
di Gabriele Guzzi and L’Indispensabile
È ormai il secondo anno che sentiamo l’espressione: “bisogna salvare il natale”. La curva dei contagi cresce, quella delle ospedalizzazioni anche. Bisogna mettere in atto una strategia per evitare il peggio, migliorare la condizione sanitaria. Questo significa “salvare il natale”. Sembra, tutto sommato, un’espressione innocente, anche giustificata, e infatti è la seconda volta che giornalisti, politici, preti, cantanti, la utilizzano senza suscitare alcuna reazione. Se i contagi aumentano, bisogna correre a porre in salvo la dolce festività.
Se ci riflettiamo bene, tuttavia, quest’espressione contiene in sé qualcosa di bizzarro. Come potremmo noi salvare il Natale? Sarà, semmai, per chi crede, il Natale a salvare noi. Come potremmo, con un piano pandemico che tra l’altro ogni anno produce risultati controversi, porlo in salvo? È semplicemente impossibile. Allora, questa frase così innocente celerà un altro significato, forse molto più sottile e pericoloso.
Dovremmo indagare meglio il senso che in questa espressione viene dato alle parole “natale” e “salvare”.
Redazione de l’AntiDiplomatico: Le email che inchiodano Fauci: “diffamare” gli scienziati anti-lockdown
Le email che inchiodano Fauci: “diffamare” gli scienziati anti-lockdown
La Redazione de l’AntiDiplomatico
Vietato discutere la giustezza o l’effettiva utilità dei lockdown imposti nel 2020 allo scoppio della pandemia. Questa sembra essere la parola d’ordine negli Stati Uniti, ma la situazione non è diversa in tanti altri paesi.
Gli studiosi che hanno provato a riflettere sull’argomento sono stati fortemente attaccati, anche utilizzando argomentazioni fallaci o poco aderenti al metodo scientifico.
Dal 2 al 4 ottobre 2020, l’American Institute for Economic Research ha ospitato una piccola conferenza per scienziati per discutere i lockdown dettati dal Covid-19. Appena quattro giorni dopo, il dottor Francis Collins, direttore in pensione del National Institutes of Health (NIH), ha definito i tre scienziati presenti come “epidemiologi marginali”.
Martin Kulldorff di Harvard, Sunetra Gupta di Oxford e Jay Bhattacharya di Stanford, tutti rinomati scienziati, vennero definiti “epidemiologi marginali” solo perché avevano avuto l’ardire di riflettere sull’utilità dei lockdown. Insomma, venivano attaccati perché stavano facendo quello che dovrebbe fare ogni scienziato. Studiare e riflettere, ma da quando c’è il Covid pare non sia più così in ambito mainstream.
Vittorio Agnoletto: “Media e scienza sono al servizio di Big Pharma e politica”
“Media e scienza sono al servizio di Big Pharma e politica”
Lorenzo Zacchetti intervista Vittorio Agnoletto
Dura presa di posizione del medico: “Al di là dei conflitti di interesse, c’è dietro l’idea che i cittadini siano bambini incapaci di decidere”
La scienza si è messa al servizio della politica e i media mainstream assomigliano a megafoni delle case farmaceutiche. Una presa di posizione molto dura, che non arriva da un alfiere del fronte No Vax, ma da un medico molto stimato come Vittorio Agnoletto, docente di Globalizzazione e Politiche della Salute all’Università degli Studi di Milano. Già presidente nazionale di LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS), nonché portavoce del Genoa Social Forum al G8 del 2001, Agnoletto è anche conduttore di “37, 2°”, che va in onda su Radio Popolare.
Proprio nel corso di una diretta sull’emittente milanese, Agnoletto ha parlato del complesso rapporto tra politica, scienza e informazione nell’era del Covid-19: “Il primo errore è stato confondere le aree di intervento dell’informazione, della scienza e della politica. La scienza è importante, ma deve rimanere nel suo ruolo.
Gilles Dauvé: Ecologia… borghese
Ecologia… borghese
di Gilles Dauvé
III episodio della serie: Pommes de terre contre gratte-ciel, apparso su ddt21.noblogs.org ; dicembre 2020
Per quanto una piccola minoranza di dirigenti politici di questo mondo ostenti il proprio scetticismo riguardo ai cambiamenti climatici, la maggior parte di essi pretende di essere ecologista: all’ONU, in Vaticano, a Davos, all’università e nei media, dalla destra – incluse certe tendenze dell’estrema destra – all’estrema sinistra… tutti ecologisti. L’ecologia è parte integrante dell’ideologia dominante del XXI secolo.
1. Grida d’allarme e consenso
Nel 1961, l’Europa occidentale, alla quale si unirono successivamente anche il Giappone e gli Stati Uniti, si era data un organismo incaricato di promuovere il mercato, la produttività e il liberismo: l’OCSE.
Nel 1972, il «Rapporto Meadows», richiesto dal Club di Roma, che rappresentava un largo ventaglio delle élite economiche, politiche e scientifiche occidentali, metteva in evidenza le conseguenze che lo scarto crescente (e inevitabile) tra l’incremento demografico e la diminuzione delle risorse disponibili, avrebbe provocato. I limiti dello sviluppo1 fu un bestseller mondiale.
Nel 1988, la creazione di un organo di riflessione sui problemi ecologici, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), segnala un rovesciamento di prospettiva. La preoccupazione prioritaria non è più la mancanza di risorse (di risorse fossili, in particolare), ma il fatto che le si sfrutti troppo e che si mettano in pericolo gli equilibri indispensabili tanto alla natura quanto alla perpetuazione del mondo capitalistico.
Roberto Buffagni: Sulle strategie di approccio alla pandemia da Coronavirus: tiriamo le fila
Sulle strategie di approccio alla pandemia da Coronavirus: tiriamo le fila
di Roberto Buffagni
Cari amici vicini & lontani,
proviamo a tirare le fila di questo enorme pasticcio.
Premessa: lo scritto che segue è interamente congetturale. Non ho informazioni privilegiate, non ho competenze epidemiologiche o scientifiche, non ho il numero di telefono del Fato. Come tutti ho osservato gli eventi, e sulla base delle mie esperienze e riflessioni mi sono fatto un’idea di come e perché le cose sono andate così. Ho cercato di mettermi nei panni di chi ha preso le decisioni rilevanti e di chi vi reagiva, di comprenderne le motivazioni, e di individuare le principali dinamiche psicologiche e sociali che ci hanno condotti qua, a questo tragicomico casino. Quindi, tutto ciò che segue è congettura, e l’esposizione di fatti e loro cause che propongo è soltanto verisimile: verisimile secondo me, ovviamente. Vedete voi se siete d’accordo, in tutto o in parte. Benvenuta ogni critica espressa in forma cortese.
Nel marzo 2020, all’esordio dell’epidemia, ho scritto un breve articolo, I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto1, che con mio grande stupore ha avuto circa un milione (sì, avete letto bene) di letture e una miriade di citazioni sulla stampa, e persino in articoli scientifici.
In estrema sintesi, affermavo che le due polarità di approccio strategico all’epidemia erano:
Stile 1. Non si contrasta il contagio, si punta tutto sulla cura dei malati e si sceglie consapevolmente di sacrificare una quota della propria popolazione, nessun sistema sanitario essendo in grado di prestare cure ospedaliere all’alto numero di malati che ne abbisognano.
Giacomo Turci e Mattia Giampaolo: Egemonia: un asse della politica rivoluzionaria
Egemonia: un asse della politica rivoluzionaria
di Giacomo Turci e Mattia Giampaolo
Il concetto di egemonia è tutt’oggi ben presente nel discorso pubblico, in vari contesti, nelle letture dei conflitti fra Stati o classi sociali, nelle analisi che riguardano i rapporti di potere. Esso ha avuto un certo “rinascimento” anche grazie al rinnovato riferimento ad Antonio Gramsci nelle analisi delle dinamiche politiche di questo primo scorcio di secolo. I marxisti di oggi hanno tutto il diritto e l’interesse a fare proprio ed utilizzare questo concetto come uno degli assi di una politica rivoluzionaria nel XXI secolo, riprendendo il filo della lotta per una egemonia proletaria, condotta da Gramsci e altri importanti marxisti. Il seguente articolo, a partire da questa ottica, offre una breve introduzione al tema e alla sua elaborazione nell’ambito del marxismo, in particolare del pensiero di Gramsci.
Il “rinascimento” dell’egemonia. Sì, ma quale?
Gli effetti della crisi del consenso neoliberale su scala globale, intaccato dalla colossale crisi del 2008, dall’indebolimento del ruolo degli USA come “poliziotto del mondo” e dall’evidente fallimento generale della promessa di un’epoca di pace e benessere, hanno incluso anche una riemersione e un recupero di concetti e pensatori “antagonisti” del passato che si davano perlopiù per sorpassati, o che erano stati neutralizzati politicamente con successo, facendone delle icone inoffensive per l’equilibrio della società borghese nel nostro secolo.
Tra questi c’è stato sicuramente Antonio Gramsci, il cui “ritorno”, non solo in Italia, nelle analisi intorno alle dinamiche politiche che si sono succedute in questo primo ventennio del ventunesimo secolo è stato significativo. Analisi che hanno visto una quantità notevole di processi di lotta di classe, ribellione, nuova soggettivazione della classe operaia e dei ceti popolari, addirittura processi rivoluzionari in un quadro ben diverso da quello della “fine della storia” descritta da Francis Fukuyama nel 1992, quando il crollo dell’URSS incoraggiava i difensori del capitalismo a teorizzare la fine definitiva di una qualsiasi alternativa ad esso.
Nonostante il ‘ritorno di Gramsci’ in epoca recente abbia gettato le sue basi proprio dalla crisi della finanza globale e alla crisi di consenso post-2008, tuttavia, già a partire dagli anni Settanta, Gramsci veniva ripreso per spiegare, e a volte giustificare, le svolte riformiste dei vari PC o, in ambito accademico per applicarlo, in molti casi meccanicamente, in diversi ambiti del sapere.
In epoca più recente, soprattutto lo studioso Peter Thomas (2009), nel suo tentativo di riportare il pensiero di Gramsci all’interno del dibattito accademico, parlava di ‘Gramscian Moment’.
Pierluigi Fagan: Verso un grande disincanto?
Verso un grande disincanto?
di Pierluigi Fagan
Il grande sociologo Max Weber condensò nel concetto di “disincanto” il cambio di atteggiamento tra uomini e mondo che segnò il passaggio dal medioevo al moderno. Col termine s’intendeva il “superamento di un’illusione”, nella fattispecie il superamento di un complesso di credenze magiche e subordinanti in favore di un più attivo ruolo dell’intenzionalità umana potenziato da razionalità e conoscenza.
Trasformando l’espressione di Lenin “un passo avanti e due indietro”, potremo provare a pensare queste rotture di bolle incantanti ed incatenanti, come “un passo avanti, uno indietro ed uno di lato”. Il passo avanti è la rottura dell’incantamento precedente. Il passo indietro è il venirsi a formare un nuovo incantamento come se questa posizione “magica” dell’essere umani prescindesse dal contenuto specifico, si può diventar soggetti ad incantamento anche di ciò che ha disincantato dal precedente incantamento. Ad esempio, dalla sostituzione della fede nella mano di Dio alla fede nella mano invisibile che riassume il passaggio tra medioevo e moderno, si finisce col ripristinare un incantamento per quanto si credesse di essersi disincantati.
Lorenzo Palaia: Non siamo legni storti
Non siamo legni storti
di Lorenzo Palaia
Le culture politiche, dice un mio amico, si compongono di elementi i quali si aggregano e disaggregano secondo le condizioni storiche. La svolta autoritaria di molti Stati dell’Europa centro-occidentale sta dimostrando proprio questo, soprattutto per quanto concerne la composita area politica della sinistra. In essa si vedono separarsi, più che in altri campi, almeno due sensibilità che fanno capo a due filoni di pensiero politico paralleli: quello sullo Stato, seguendo il processo moderno che ha portato all’assolutismo di ancien régime (finalizzato a spegnere il vecchio policentrismo dei ceti e delle giurisdizioni territoriali e cittadine) e che ha prodotto la riflessione sulla sovranità, sull’interesse e sulla ratio Status, sulla dottrina dell’equilibrio ecc. (in poche parole l’odierna scienza politica e delle relazioni internazionali); quello sull’emancipazione del popolo e della sua entrata al potere, di cui certamente il movimento dei lavoratori (con tutte le sue componenti: anarchiche, social-comuniste, cattoliche, populiste ecc.) è stato la massima espressione, ma che era già venuto alla luce con la rivoluzione francese e poi con i movimenti nazionali. Una branca questa che non ha avuto l’onore della sistematizzazione accademica.
Franco Piperno: In morte di Renzo Alzetta, filosofo della natura
In morte di Renzo Alzetta, filosofo della natura
di Franco Piperno
Un mese fa, era metà di novembre, giorno più giorno meno, un po’ prima dell’alba, la campana ha suonato per il più caro tra i nostri fratelli fisici: un suono breve e discreto, e Renzo moriva, sereno nel sonno. Per la verità, il Nostro era un fisico nel significato inattuale, premoderno del termine – cioè un filosofo della natura. In una epoca nella quale le università, come i centri di ricerca, sono affollati da specialisti di scienze peregrine; dove la divisione del lavoro ha rotto definitivamente l’unità e l’autonomia della conoscenza, finendo con l’assumere, fuori tempo massimo, la forma della fabbrica fordista. Infatti, la tecno-scienza assegna alla scienza un ruolo servile, un mero mezzo per moltiplicare a dismisura i dispositivi tecnici secondo le scelte del complesso militare-industriale, che abbisogna non di lavoro cognitivo ma di Fach-Idiot, idioti specializzati che sanno tutto su niente. In una epoca così fatta, da rasentare l’incubo, inciampare in un vero fisico, in Renzo Alzetta, è un evento certo possibile ma improbabile. Io l’ho conosciuto nella seconda metà degli anni Sessanta, del secolo appena trascorso, alla Scuola Internazionale di Fisica di Trieste, diretta allora dal fisico pachistano Salem, Nobel per la fisica.
Andrea Del Monaco e Gregorio De Falco: L’autonomia differenziata e la Prussia in Italia temuta da Piersanti Mattarella
L’autonomia differenziata e la Prussia in Italia temuta da Piersanti Mattarella
di Andrea Del Monaco e Gregorio De Falco
Draghi riprende il progetto avviato da Gentiloni (tramite tre accordi, con Fontana, Bonaccini e Zaia) che aggraverebbe enormemente il divario Nord/Sud
Il Governo Draghi riprende il progetto di autonomia differenziata che era stato avviato dal Governo Gentiloni tramite tre accordi, uno con il presidente lombardo Fontana, uno con il presidente emiliano Bonaccini e un altro con il presidente veneto Zaia: l’obiettivo di tali accordi è trattenere i tributi dei veneti in Veneto, dei lombardi in Lombardia, degli emiliani in Emilia Romagna.
Il governo ha collegato alla Nadef un DDL per l’attuazione della autonomia differenziata e ha inserito nella Legge di Bilancio 2022 ben 4 articoli (43, 44, 45, 179) che fanno riferimento ai Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). Tali articoli fanno credere che lo Stato abbia identificato gli obiettivi dei vari servizi ed abbia già determinato i costi medi dei LEP, creando così l’illusione che si possano ripartire le risorse secondo il principio di solidarietà previsto dall’articolo 2 della Costituzione.
Pasquale Cicalese: Hausmanizzazione monetaria e lotte di barricate
Hausmanizzazione monetaria e lotte di barricate
di Pasquale Cicalese
La pratica imperiale dell’haussmanizzazione nella Parigi post Comune del 1871 consisteva nello sventramento dei quartieri proletari finalizzato ad impedire un qualsiasi ritorno di lotte di barricate. Partendo dal concetto urbanistico e storico-sociale si può trovare un’analogia dal lato monetario. Le due date sono il 1971 e il 1972. Con la prima Nixon suggella lo sganciamento del dollaro dall’oro e l’inaugurazione della “fiat money”, la moneta fiduciaria, con la Federal Reserve impegnata nella dollarizzazione del mondo e nella ultraquarantennale pratica di asset inflation, vale a dire gonfiamento del valori dei titoli di carta, che siano azioni, bond o bolle edilizie. Nessuno ferma questa pratica, né la crisi borsistica del 1987, né il crollo della new economy del 2000, né il grande crack del 2007. Imperterrita, la Riserva Federale continua a dollarizzare il pianeta e a gonfiare corsi azionari, posticipando il momento del redde rationem ma provocando una forte inflazione degli asset, temperata dalla deflazione salariale a cui segue la pratica del ricorso a debito.
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