Danilo Zolo è stato il giurista che negli anni Novanta del Novecento seppe contrastare nel modo più ampio e fermo l’universalismo astratto della loro posizione applicata alle relazioni internazionali. Ciò malgrado lo studioso di origini cattoliche, ma poi avvicinatosi a posizioni della sinistra marxista, sia sempre stato personalmente amico di Norberto Bobbio, Luigi Ferrajoli e Antonio Cassese, ovvero degli alfieri della posizione contraria. Critico feroce delle guerre preventive americane nella fase unipolare e per questo avvicinato alla posizione realista, l’opera di Zolo, scomparso a 82 anni nel 2018 è oggi particolarmente utile per affrontare le sfide terminali dell’egemonia occidentale che stiamo vivendo.
“Cosmopolis”[1] è un libro del 1995, anno nel quale la produzione di Zolo si stava orientando verso la critica della democrazia espansiva americana (del “principato democratico”[2]) e dopo che nel 1991 era definitivamente crollata l’Urss e si preparavano le molte guerre di assestamento del potere statunitense (Panama, 1989; Prima guerra del golfo, 1990-1991; Guerra slovena, 1991; Guerra in Croazia, 1991-95; Guerra in Bosnia, 1992-95). Negli anni successivi, peraltro, seguiranno la Guerra del Kosovo e il bombardamento della Serbia (1998-99), e dopo l’11 settembre le invasioni preventive dell’Afghanistan (2001-2021) e la Seconda guerra del golfo (2003-11), quindi gli interventi di Obama a seguito delle “primavere arabe” (Siria, Libia), ed altri vari bombardamenti (Yemen, Somalia, Pakistan).
Difficile stimare quanti morti possano aver fatto queste guerre, durante le quali non di rado sono stati effettuati bombardamenti indiscriminati di città e popolazioni civili.
Sandro Moiso: Il nuovo disordine mondiale / 12: Vittorie perdute*
Il nuovo disordine mondiale / 12: Vittorie perdute*
di Sandro Moiso
“Siamo in guerra. Ma per quale vittoria? E se non lo sappiamo, come potremo stabilire se avremo vinto o perso, quando mai finirà?” (Lucio Caracciolo)
“Questo è il futuro, sorellina…” (La canzone del tempo – Ian R. MacLeod)
Ci siamo. Dopo più di sessanta giorni dal suo inizio, la guerra nei fatti è dichiarata.
Non quella della Russia con l’Ucraina, ma quella che fino ad ora si è manifestata, nemmeno troppo, sottotraccia: Biden contro Putin, Nato contro Russia e contro gli alleati recalcitranti, Occidente “democratico” contro resto del mondo “autoritario”.
Ma guai a parlare di imperialismo, se non è quello russo-putiniano; guai a parlare di pace se non è quella dettata dai cannoni e dall’invio di armi; guai ragionare; guai uscire dal coro; guai smontare la propaganda bellica di entrambi le parti in conflitto.
Guai, guai, guai…
Basti invece cantare come i sette nani disneyani: Andiam, andiam, andiam a guerreggiar… (i nanetti di allora cantavano lavorar, ma che importa ormai ai nano-burocrati rappresentanti del capitale internazionale?). Oppure “Bella Ciao”, contro qualsiasi commemorazione della Resistenza che non si limiti ad esaltare l’unità nazionale e interclassista con i fascisti di un tempo e con quelli di oggi.
Così, nei libri di Storia futuri (stampati, online oppure semplicemente scolpiti nella pietra), come data di inizio vero del Terzo conflitto mondiale potrebbe essere ricordata non quella del 24 febbraio 2022 per l’invasione russa dell’Ucraina, ma quella del 26 aprile dello stesso anno.
Alessandro Somma: Sotto l’atlantismo niente. L’Europa messa a nudo della guerra ucraina
Sotto l’atlantismo niente. L’Europa messa a nudo della guerra ucraina
di Alessandro Somma
La Nato come alleanza moribonda
Solo qualche mese fa il mondo si stava definitivamente congedando dal Novecento. Il varo di Aukus, l’alleanza militare fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, aveva certificato la centralità della confrontazione con la Cina, e con essa il disinteresse di Washington per l’area europea. Poco prima il Presidente francese Emmanuel Macron aveva stigmatizzato il disimpegno statunitense in Medio Oriente, iniziato con la Presidenza Obama e proseguito con il suo successore. Aveva anche messo in discussione il senso della Nato, liquidandola come alleanza in stato di morte celebrale. L’Alleanza atlantica costituiva del resto il prodotto della Guerra fredda, che l’implosione dell’Unione sovietica aveva consentito di archiviare, facendo così emergere differenze fondamentali nell’agenda politica di Stati Uniti ed Europa.
Eppure la fine della confrontazione tra blocco occidentale e blocco socialista non ha certo determinato una inattività della Nato. Al contrario questa si è allargata ai Paesi un tempo aderenti al Patto di Varsavia, così come a quelli sorti dalla dissoluzione dell’Unione sovietica: nel 1999 aderiscono all’Alleanza atlantica la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, mentre nel 2004 è il turno dell’Albania, della Bulgaria, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Romania e della Slovacchia. Una volta giunti a ridosso dei confini con la Russia, gli Stati Uniti hanno tuttavia pensato di potersi in qualche modo distrarre, o quantomeno di prendersi una pausa per concentrarsi sulla Cina.
Fabio Mini: L’UE messa a rischio dalla Nato
L’UE messa a rischio dalla Nato
di Fabio Mini
Di fronte alle tante vittime ideali della guerra (verità, libertà, sicurezza, innocenza…) e a quelle reali (persone, risorse, strutture…) lo sforzo dell’analisi rischia d’infrangersi non tanto sulla complessità degli avvenimenti, quanto sul limite dell’onestà intellettuale che ogni analista s’impone o almeno dovrebbe imporsi. È questo limite che frena i voli pindarici, le passioni, la faziosità, i sogni e gli incubi. Ma l’esigenza analitica di esaminare e valutare onestamente tutti gli elementi, se da un lato ha un grande valore accademico e scientifico perché fonde tali elementi, dall’altro rischia di confondere. E la confusione è la madre delle ambiguità, così come della mistificazione. La difesa dalla confusione è normalmente la semplificazione, ovvero il suo eccesso che è in grado di falsare l’intera analisi. La mistificazione sta nell’attribuire all’analisi etichette che parimenti tendono ad annullarla: cerchiobottista, complottista, nénéista sono quelle più comuni anche di questi tempi. Oppure, ancora peggio, sta nell’utilizzare l’analisi per individuare arbitrariamente “con chi sta l’analista”, dando così la stura a tutti gli “-ismi” e a tutti gli “anti-”.
Fabrizio Casari: L’Europa al suo epitaffio
L’Europa al suo epitaffio
di Fabrizio Casari
La maggior parte dei contratti internazionali per la fornitura energetica sono scaduti a fine Aprile e si stima un 250% di aumento dei prezzi rispetto al 2021. In gran parte ciò è effetto delle manovre speculative sui mercati del comparto energetico, già intervenute ben prima del conflitto (pur se gli indirizzi statunitensi verso una crisi militare in Ucraina erano già chiari) ma in parte è la logica conseguenza di una contrazione dell’offerta a fronte delle sanzioni contro la Russia, che altera in profondità l’andamento del greggio sui mercati.
Le proiezioni sull’incremento dei costi per l’approvvigionamento energetico indicano un aumento del 50% già maturato nel primo trimestre di quest’anno; il che significa che proiettato sui dodici mesi produrrà un aumento pari almeno al 200%. Sarà il gas degli Stati Uniti la soluzione al mancato arrivo del gas russo? Secondo il Sole24Ore, pubblicazione non certo ipotizzabile come antistatunitense, chi ha acquistato il gas dagli Stati Uniti a Dicembre, ha speso il 50% in più di chi lo ha acquistato dalla Russia e, se invece di farlo direttamente con un contratto di fornitura tra stati, lo ha fatto reperendolo sul mercato con la mediazione di una compagnia energetica, è arrivato a spendere il 250% in più di quanto si spende con i russi.
lorenzo merlo: Le cose si muovono
Le cose si muovono
di lorenzo merlo
In tempi brevi si sono succedute una quantità di vicende che hanno scioccato la generazione da sacrificare, affinché i nascituri trovino la realtà apparecchiata dal maître di sala e la scambino per la sola cosa che possa esserci. Ma non tutto è perduto. Non per infantile ottimismo, ma perché le cose si muovono
Il ’68|77 era stato mordace. C’erano più che promesse. Ma nessuno ne parlava. Erano nella carne e nei sentimenti, erano in realizzazione. Non c’era necessità di dichiararle. Tutti erano sul pezzo. A sentire oggi le canzoni di certi cantautori, pare di ascoltare la colonna sonora di un percorso coerente, in cui attori e comparse erano espressioni di un solo spirito. La trama era nota. La destinazione, anche.
Ma si trattava di un inconsapevole fermo immagine. Le cose si muovono. Le Brigate rosse e anche quelle nere non riuscirono ad impedirlo.
Seguirono, infatti, nientepopodimeno che l’edonismo reaganiano, la Milano da bere e l’affermazione della cultura dell’individualismo: in un colpo solo, l’affermazione del neoliberismo.
Donatella Di Cesare: La mia posizione sulla guerra
La mia posizione sulla guerra
di Donatella Di Cesare
Il notiziario Bokertov segnala la mia posizione pacifista, com’era già avvenuto ai primi di aprile quando era stata definita “difficilmente comprensibile”.
Questa volta invece sono state riportate le accuse campate per aria del Dubbio, secondo cui io non avrei speso una sillaba per denunciare le violenze militari russe. Il mio discorso, tenuto all’evento “Pace proibita” (dove c’erano anche la vicesindaca di Bologna Emily Clancy, la ventenne ecologista Sara Diena, ecc.), si può ascoltare per intero sui social network. Il 2 maggio 2022 ho ricordato l’anniversario del terribile rogo nella Casa dei sindacati di Odessa in cui, il 2 maggio 2014, morirono arse vive almeno 48 persone. E ho detto: “Non fu l’inizio, ma il segnale della crisi. La UE si voltò dall’altra parte anziché intervenire per favorire la coesistenza. Ma quel confine tra popoli affini si irrigidisce, diventa un fronte bellico con l’invasione russa. E si apre una faglia nell’Europa, il baratro della nuova guerra europea”. Queste le mie testuali parole. Il mio discorso era una condanna dei nazionalismi che, sulla base del sangue e del suolo, fomentano violenza e odio. Proprio quello di cui la democrazia non ha bisogno. E il mio discorso era ed è un richiamo all’Europa, in cui credo, affinché sia all’altezza del compito per cui è nata: la coabitazione dei popoli.
Silvano Cacciari: Nell’intreccio della guerra. Ordine e caos della crisi globale
Nell’intreccio della guerra. Ordine e caos della crisi globale
di Silvano Cacciari
Shock energetico, scarsità di materie prime, inflazione galoppante, recessione annunciata, riarmo massiccio: «È l’economia di guerra, bellezza, e tu non puoi farci niente, NIENTE!».
È il coro unanime scandito a reti e firme unificate che in questi giorni, dalle televisioni ai giornali, passando per i social, comincia a essere ripetuto da giornalisti, opinionisti, politici e ministri con molta chiarezza. Economia di guerra: siamo in guerra, quindi? Dichiarata da chi e in nome di chi, per quanto riguarda l’Italia, ancora non è altrettanto chiaro – in apparenza, nella forma: sappiamo benissimo che le decisioni ratificate a Roma vengono prese a Bruxelles, e prima ancora imposte da Washington e Londra, oltre che pagate da noi.
Delle tendenze di ristrutturazione dell’economia, delle catene del valore e degli scenari geopolitici della crisi ne abbiamo parlato a Modena il 2 aprile, alla giornata di discussione sul mondo di domani, la guerra in Europa e il destino della globalizzazione. Dopo quello di Raffaele Sciortino, presentiamo allora la trascrizione dell’intervento di Silvano Cacciari, autore su «Codice Rosso» e che a breve uscirà in libreria con La finanza è guerra, la moneta è un’arma (per La Casa Usher).
L’intervento ci regala una grande dimostrazione di metodo. Attraverso l’analisi materiale di diversi indicatori, offre una fotografia mossa del presente, in cui linee tendenziali e traiettorie di possibile sviluppo vanno formandosi, permettendo una possibile anticipazione, appunto, del mondo di domani – che, come vediamo, è già oggi. La bussola resta sempre la ricerca, di parte, delle contraddizioni e ambivalenze su cui la prassi militante può (deve) insistere. Nelle righe che seguono, ripercorreremo la storia delle ultime crisi, nelle traiettorie che si sono prevedibilmente disegnate e nei varchi aperti dall’imprevedibile.
Leonardo Lippolis: Green pass, passaporto per il futuro?
Green pass, passaporto per il futuro?
di Leonardo Lippolis
Il green pass entra in vigore il 1 luglio 2021; il Parlamento dell’Unione Europea lo approva e presenta come una “facilitazione” per i viaggi tra paesi all’interno dell’Unione stessa. Tutti gli Stati europei lo adottano, ma ognuno lo modula in maniera differente. In Italia viene introdotto come necessario per accedere a bar, musei, ristoranti e altri servizi il 6 agosto 2021. Da allora è stato gradualmente e progressivamente esteso fino a diventare, nel gennaio 2022, un documento obbligatorio per molte categorie lavorative (pena la sospensione dal lavoro senza stipendio) e per l’accesso a quasi tutti i servizi e le attività della vita quotidiana. La sua graduale implementazione e diversificazione tra una versione base e una rafforzata (ottenibile soltanto tramite vaccinazione o guarigione) ha portato a una complessa e inedita stratificazione “meritocratica” della società. Se inizialmente è stato, con poca convinzione, presentato come strumento di contenimento sanitario della pandemia, capace di garantire ambienti sicuri dal contagio, ben presto è stata ammessa la sua vera ratio di incentivo alla vaccinazione, variamente definita – a seconda dei punti di vista – come “spinta gentile”, “obbligo surrettizio” oppure come vero e proprio ricatto.
Nel frattempo, l’obiettivo ufficiale fissato dal governo è stato raggiunto, con il superamento del 90% della popolazione over 12 vaccinata; contemporaneamente, a sentire la voce di molti scienziati, la variante Omicron ha indebolito la pericolosità del virus, rendendolo gestibile al di fuori di una logica di emergenza. Eppure, nonostante il governo abbia sempre affermato che il green pass sarebbe stato uno strumento transitorio e che sarebbe stato abolito nel momento in cui l’emergenza fosse finita – come sta avvenendo in molti paesi –, esso ha varato con i decreti di gennaio 2022 l’ennesima stretta nei confronti di chi non lo possiede, imponendo l’obbligo del possesso della sua versione rafforzata (ovvero della vaccinazione) per tutti i lavoratori over 50, a partire da febbraio.
Jeffrey Sachs: «Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia»
«Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia»
Federico Fubini intervista Jeffrey Sachs
L’economista della Columbia University: «Gli Stati Uniti sono più riluttanti della Russia nella ricerca di una pace negoziata. Negli anni Novanta l’America sbagliò a negare gli aiuti a Mosca, la responsabilità fu di Bush padre e di Clinton»
Jeffrey Sachs, direttore dello Earth Institute della Columbia University, nominato nel 2021 da papa Francesco all’Accademia Pontificia, risponde con questa intervista all’articolo del 23 aprile in cui il Corriere si chiede se gli errori dell’Occidente nei rapporto con la Russia post-sovietica, che negli anni ‘90 ha vissuto una drammatica crisi economica, hanno contribuito ad aprire la strada al nazionalismo revanscista di Vladimir Putin. Sachs fu consigliere economico del Cremlino fra il 1990 e il 1993.
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Imporre sanzioni sempre più dure sulla Russia è la linea giusta?
«Accanto alle sanzioni abbiamo bisogno di una via diplomatica. Negoziare la pace è possibile, sulla base dell’indipendenza dell’Ucraina e escludendo che aderisca alla Nato. Il grande errore degli americani è credere che la Nato sconfiggerà la Russia: tipica arroganza e miopia americana. È difficile capire cosa significhi “sconfiggere la Russia”, dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Sarebbe molto meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della “sconfitta” di Putin».
Roberto Buffagni: I 5 minuti in cui Mearsheimer descrive la traiettoria aggressiva degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi
I 5 minuti in cui Mearsheimer descrive la traiettoria aggressiva degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi
di Roberto Buffagni
Il dono della sintesi. In cinque minuti e ventitre secondi il professor John Mearsheimer descrive la traiettoria strategica degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi. Gli Stati Uniti come lo stato più potente e aggressivo della storia moderna, che diviene l’egemone dell’emisfero occidentale e categoricamente non tollera MAI l’esistenza di altri peer-competitors e anzi li spazza via uno dopo l’altro.
La Cina è l’obiettivo principale perché solo la Cina dispone dei requisiti di potenza (demografia, economia, potenziale militare in fieri) necessari per divenire l’egemone regionale nell’ Asia, come egemone dell’emisfero occidentale sono gli Stati Uniti d’America.
Caitlin Johnstone: Twitter nelle mani di Elon Mask. La libertà non la salvano i miliardari
Twitter nelle mani di Elon Mask. La libertà non la salvano i miliardari
di Caitlin Johnstone*
La censura sta diventando sempre più severa sulle reti sociali, in particolare per imporre la versione di Washington delle guerre. Così alcuni vedono l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk come un’ancora di salvezza, con il miliardario che dice di essere profondamente impegnato nella libertà di parola. Ma c’è qualcosa che non va…
Qui di seguito un articolo di Caitlin Johnstone ripreso dal sito di giornalismo investigativo Investig’Action coordinato da Michel Collon.
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Twitter ha voltato pagina e ha venduto la sua azienda alla persona più ricca del mondo per 44 miliardi di dollari.
Quelli di destra stanno avendo una giornata campale con le reazioni melodrammatiche dei principali liberali. Temono che l’acquisto di Elon Musk porterà ad una maggiore libertà di parola sulla piattaforma per le persone che non sono politicamente allineate con loro.
Tendenza internazionalista rivoluzionaria: Un primo maggio più che mai internazionalista contro le guerre del capitale
Un primo maggio più che mai internazionalista contro le guerre del capitale
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
La guerra tra NATO e Russia in Ucraina, sulla pelle e la vita dei lavoratori ucraini (e russi), sta sempre più intensificandosi e incancrenendosi per effetto della volontà dell’amministrazione Biden di logorare la Russia e spezzare i legami tra Russia e Unione europea.
Bisogna prenderne atto. E dare vita al massimo sforzo per denunciare questo corso delle cose dagli sviluppi imprevedibili, mettendo in luce che una sola forza può fermarlo: la massiccia e determinata mobilitazione degli sfruttati al grido di “guerra alla guerra” di Putin, di Biden e dell’Unione europea.
Il primo passo, qui, dev’essere la scesa in campo contro il governo Draghi che, da fedele esecutore dei piani bellici della NATO, ha portato l’Italia in guerra con le sanzioni contro la Russia, l’invio di armi a Zelenski, la messa in azione del suo sistema di droni, una campagna russofobica sguaiata e delirante. E che per sostenere questa scelta, ha proclamato la necessità di una economia di guerra, lacrime e sangue per quanti vivono di lavoro salariato – com’è già tangibile nella perdita del potere d’acquisto dei salari davanti al carovita e nella repressione di ogni piccolo focolaio di conflittualità e perfino di dissenso.
Nicola Licciardello: Non questo nè quello, sia questo che quello
Non questo nè quello, sia questo che quello
di Nicola Licciardello
Con “guerra di religione”, nel precedente articolo, intendevo guerra acerrima e difficilissima (ben arrotata nella r di quasi ogni lingua), radicata nell’animo umano tanto da essere virtualmente infinita, sospesa per alcun tempo e poi ripresa – come quella che ha condotto alla Partizione fra indù e musulmani e ha fatto morire milioni – il digiunante Mahatma Gandhi già di crepacuore prima degli spari. Perché le guerre di religione sono le più cruente ? Perché sono le più ideologiche, ossia nascondono interesssi economici, finanziari, imprenditoriali, oppure vertono sulla proprietà di beni o territori – come quelle fra cattolici e protestanti in Europa nel ‘500, o come le Crociate contro gli Infedeli maomettani, conclusesi infine a Lepanto, ma poco dopo con la disfatta dell’Invincibile Armata cattolica. Noi occidentali abbiamo poi il tema biblico del fratricidio di Caino che uccide Abele, in Italia riprodotto da Romolo e Remo, fratelli di latte della Lupa. Le guerre di religione sono le più sanguinose perché sorgono fra consanguinei, quelle dinastiche sono le più inevitabili e raramente incruente.
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