La doppia faccia del governo Meloni e l’Italia antifascista

Aginform – 11 novembre 2022

 

Le prime mosse del governo che porta in primo piano gli eredi non mascherati del fascismo sono di due tipi. Da un lato c’è l’appiattimento totale sulla NATO e sui suoi padroni americani. Del resto il placet americano alla Meloni era arrivato già prima del voto e su questo solo qualche mente malata avrebbe potuto farsi qualche illusione visto il pedigree che i neofascisti italiani possono vantare come manovali della strategia americana del terrore in Italia, su cui non a caso il neo presidente del Senato quando ha parlato della contrapposizione tra fascisti e antifascisti ha sorvolato nel suo discorso di insediamento al Senato.

Dall’altro lato si assiste al tentativo goffo di marcare il trionfo elettorale come grande passaggio storico che affonda le radici nella pretesa ‘morte del comunismo’ e rende finalmente giustizia a un personale politico ingiustamente ghettizzato. Si spiega così il messaggio agli studenti del neoministro dell’istruzione Valditara e il discorso della stessa Meloni per la giornata del ricordo della caduta del muro di Berlino. Sul piano operativo però i provvedimenti identitari con cui un governo zeppo di vecchi arnesi del trentennio berlusconiano cerca di accreditare la sua novità sono assai più prosaici e pasticciati, come per il decreto sui rave o sulla vicenda degli sbarchi, e rischiano perfino di compromettere il tentativo ‘istituzionale’, assecondato anche dai sindacati confederali, di creare attorno all’attuale governo un clima di pacifica operosità, in modo che chi comanda veramente prenda due piccioni con una fava: far passare la politica di guerra e liberista da una parte, e tenere pronto il manganello e la repressione in tutte le occasioni in cui si tenta di alzare la testa.

Ci sono in Italia gli anticorpi sufficienti per respingere i nuovi-vecchi fascisti e tutto il marciume che si portano dietro, a cominciare dal falso sovranismo dei servi degli americani?

A volte gli anticorpi si manifestano, come si è visto sul decreto anti rave e come si poteva vedere anche in molti dei partecipanti alla manifestazione del 5 novembre, nonostante le ambiguità della sua piattaforma. E’ evidente però che il ritorno allo spirito della Repubblica nata dalla Resistenza e della Costituzione frutto del sangue di tanti comunisti non è a portata di mano e richiederà una battaglia tenace che sappia coniugare la massima determinazione con la più larga unità.

In tempi ormai lontani la società italiana seppe liberarsi, a caro prezzo, dal ritorno dei fascisti. Il governo Tambroni cadde per l’ampiezza e la durezza della risposta popolare e antifascista, a partire dalla città di Genova che impedì che vi si tenesse il congresso del MSI. Da parte antifascista ci furono i 5 morti di Reggio Emilia e tre morti in Sicilia, uccisi dalla polizia. Un prezzo di sangue che impone a chi si considera antifascista oggi di mantenere alto il ricordo di quegli avvenimenti e di non tollerare la presenza di un governo a guida neofascista.

Oggi il clima è assai diverso, come si misura dalla totale latitanza di ministro degli interni, prefettura e magistratura di fronte all’apologia di reato della manifestazione di Predappio. Anche in sede ONU l’Italia è stata tra i paesi che hanno rifiutano la condanna del nazismo. Ma è soprattutto la vicinanza al regime fascista di Kiev, spacciato per democratico dai media e armato fino all’inverosimile dalla NATO, che rappresenta per i neofascisti italiani e per la nuova internazionale nera un solido punto di appoggio e non solo nella dimensione pubblica e istituzionale.

La battaglia che ci aspetta non sarà dunque un girotondo.

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