Rassegna 21/03/2025
OttolinaTV: Augias, Scurati, Vecchioni: il suprematismo eurocentrico diventa cabaret
Augias, Scurati, Vecchioni: il suprematismo eurocentrico diventa cabaret
di OttolinaTV
Socrate, Spinoza, Cartesio e, ancora, Hegel; addirittura Marx: voi, miseri beduini, che vi lamentate tanto perché 16 mila anni fa vi si tagliava la testa nelle miniere del Congo Belga e si infilava su un palo per spaventare le cornacchie, ce li avete avuti? Su, citami lo Shakespeare della Guinea Bissau, il Pirandello dell’Indocina, il Leopardi della Ande: sapete una sega voi, popo’ di lanciatori di banane!
Fino a poco tempo fa, se una qualsiasi persona sprovvista di certificazione dell’ASL si fosse pronunciata in questo modo, sarebbe stata sommersa di insulti ed esposta alla gogna mediatica; sabato scorso, invece, è stata osannata da una moltitudine di ultra settantacinquenni prelevati dalle RSA dalla Coop in cambio di un maxi sconto sul prossimo acquisto di pannoloni monouso. Il palco della manifestazione dei Repubblichini è stata una vera e propria apoteosi di suprematismo eurocentrico, manco fossimo a metà dell’800, una sfilata di vecchi maschi bianchi appartenenti alle finte élite finto-democratiche e finto-progressiste che facevano esattamente quello che i vecchi rincoglioniti hanno sempre fatto: inventarsi un passato idilliaco messo a repentaglio da immaginarie invasioni barbariche. Non poteva che finire così; lo diciamo da anni: l’uomo bianco ha dominato il pianeta per 5 secoli, si è macchiato di ogni forma di crimine e, attraverso il crimine e la violenza, ha rapinato tutti gli altri. E, grazie a questa rapina sistematica, ha nutrito dinastie di Vecchioni, di Serra, di Augias e di Scurati, ai quali veniva concesso il lusso di non lavorare nemmeno mezza giornata in tutta la loro vita in cambio di un po’ di propaganda sulla superiorità del giardino ordinato; e ora che i barbari alla favoletta del giardino ordinato hanno deciso di non prestare più nessuna attenzione, con la complicità di mix di farmaci non sempre dosati alla perfezione (perché non ci sono più le badanti di una volta) non possono che sbroccare male e sparare minchiate orientaliste a casaccio.
Vladimiro Merlin: Chi si rivede! Il buon vecchio Lenin
Chi si rivede! Il buon vecchio Lenin
di Vladimiro Merlin
Fino al ritorno di Trump andavano per la maggiore varie teorie sul Superimperialismo transazionale, ora il castello di carte è miseramente crollato, le contraddizioni interimperialistiche, che si ritenevano superate tornano prepotentemente al centro della scena.
Da un po’ di tempo in qua, da più parti, si cercava di celebrare il funerale di Lenin, non quello fisico, avvenuto un secolo fa, ma quello politico.
C’era chi sosteneva che il pensiero di Lenin non fosse più attuale, “salvando” solo l’elaborazione sulla Nep, facendo un parallelo tra quella esperienza e il modello attuale del socialismo cinese, senza capire, tra l’altro, che la situazione politica, sociale, internazionale, ecc. dell’Unione Sovietica degli anni ‘20 e quella cinese degli anni ‘80 sono incomparabili.
Senza entrare eccessivamente nel merito, la scelta cinese del socialismo di mercato è nata da un bilancio dell’esperienza cinese nei primi 30 anni di esistenza della Rpc, dalla crisi dell’Unione Sovietica che fu attentamente studiata dal gruppo dirigente cinese, come fu studiata anche l’esperienza della Nep, ma anche quella dell’autogestione Jugoslava, ecc.
Chiudendo questa breve parentesi, che andrebbe sviluppata in uno specifico articolo, torno al tema che intendevo affrontare.
L’ultima versione del “Superimperialismo” fa riferimento alla teoria del 1%, secondo questa teoria meno del 1% della popolazione dei paesi a capitalismo sviluppato, composta da miliardari, principalmente legati al capitalismo finanziario, formerebbe una specie di superclasse transnazionale, ma a predominanza anglo-americana, che determinerebbe le politiche degli Stati nazionali.
Salvatore Bravo: “ Speranza forza sociale”
“ Speranza forza sociale”
di Salvatore Bravo
“Speranza forza sociale” è un testo che già nel titolo è trasgressivo rispetto all’ordine costituito. Nella gabbia d’acciaio del nostro tempo la “speranza” non è accolta e non è pensata; è stata sostituita con le “merci” che assediano i consumatori. In una realtà pianificata a immagine e somiglianza del consumo illimitato per l’accumulo di risorse finanziarie, anche gli stessi cittadini non sono più tali ma “clienti” sempre più simili a merci prodotte in serie. Nella gabbia d’acciaio l’immensa rete informatica agisce su ogni punto dello spazio (comunità territoriali) e del tempo (coscienze) per fagocitarci e nulla sembra esistere al di fuori della rete. La grammatica del nostro tempo è la disperazione, poiché l’esistenza si sciupa e si dilapida nella violenza e nell’insensato. Eppure l’assoluto (il capitalismo) che incombe ha i suoi punti ottici di resistenza e di azione che dimostrano che la coscienza umana è condizionabile, ma non è determinabile, malgrado le tempeste della storia è “libera”. La libertà è manifesta nel cupo dolore di molti. La resistenza consapevole, anche di un numero esiguo di oppositori all’ordine costituito, dimostra che nella “gabbia d’acciaio” la speranza c’è e le sbarre che appaiono invalicabili sono in realtà miseramente umane e non sono l’assoluto dinanzi al quale bisogna chinare il capo e abdicare a ogni progettualità politica. Nella gabbia d’acciaio non vi è solo la passione triste della resilienza, ma abita anche colui che ancora sa guardare e scorgerà la presenza reale della speranza nel presente. Vi è un contropotere che silenziosamente e lentamente sta avanzando, malgrado i trombettieri abbiano proclamato “la fine della storia”.
Il testo composto da una serie di saggi è dedicato a Gustavo Esteva1 scomparso nel 2022. L’impegno di Gustavo Esteva per la speranza è durato quanto la sua esistenza e l’ha testimoniata con le sue opere e con le sue parole. Gustavo Esteva fu “intellettuale deprofessionalizzato”, ovvero egli da uomo che viveva la speranza, sapeva bene che la speranza non è nell’intellettuale chiuso nel suo ruolo ieratico che indica l’orizzonte verso cui marciare, è pane condiviso, è parola che diviene prassi, solo la coralità del dolore e la progetttualità discussa dal basso può far emergere la dimensione della speranza nella distopia della gabbia d’acciaio.
Fulvio Grimaldi: Siria: la guerra a venire, Martirio e Resistenza
Siria: la guerra a venire, Martirio e Resistenza
di Fulvio Grimaldi
Sono il segno dell’abiezione morale del sistema politico mediatico occidentale la sorpresa e lo sconcerto esibiti al rivelarsi di ciò che tutti sapevano e sanno benissimo: che al potere a Damasco si è – è stata – collocata, la peggiore feccia terroristica che Nato, Israele e la Fratellanza Musulmana abbiano saputo inventare, rastrellare, armare e lanciare contro uno Stato sovrano da radere al suolo, insieme alla pratica, ormai ufficializzata e consolidata, del genocidio del relativo popolo.
E’ in questo modo che l’ultima crociata dei mille anni di guerra agli arabi ha conseguito il successo negatole da Saladino fino a Nasser e Saddam. Una nazione antica e moderna, coesa, di incomparabili valori culturali, dalla convivenza armoniosa tra etnie, confessioni, tradizioni, squartata in arti separati, affidati alla spoliazione di altrettante barbarie cieche e ottuse: turca, israeliana, curda. Funerale officiato dalle potenze della civiltà occidentale. Come quando Riccardo Cuor di Leone aveva fatto passare a fil di spada tutti gli abitanti di Acri, donne e bambini compresi.
Si conferma una volta di più, se non bastassero Abu Mazen o Zelensky, o i vari fantocci Davos e Nato condotti per mano ai vertici dei propri paesi, che a essere risolutivo per l’esito dell’aggressione è la presenza di una quinta colonna. In questo caso, dato la forte coesione interna della società siriana, quinta colonna largamente importata (paesi arabi reazionari, uiguri, ceceni, ucraini, colombiani).
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
di Alessio Mannino
Una delle più grandi sòle gonfiate, cucinate e rifilate da quella pseudo-Europa che è l’Ue di Bruxelles è lo scritto “Per un’Europa libera e unita”, alias il Manifesto di Ventotene. Praticamente ignorato fino agli anni ’80, quando coincidenza volle che l’egemonia neo-liberale ne facilitasse il recupero in funzione legittimante a favore dell’unione monetaria e finanziaria, il testo che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni redassero nel 1941, al confino sull’isola del Tirreno, rappresenta un esempio da manuale di mito di copertura. Proprio così: un paravento a scopo ideologico, che serve ad attribuire una veste nobile alla realtà, molto meno nobile, del disegno “europeista”, di matrice ordoliberista tedesca, con il decisivo avallo dell’atlantismo americano. Per forza è stato innalzato a riferimento fondativo e citato a ogni piè sospinto, e oggi viene rilanciato in gran pompa distribuendolo come dépliant con il giornale Repubblica nell’adunata di Michele Serra: perché è il prodotto intellettuale più adatto per alzare la cortina fumogena che dura da più di quarant’anni.
Prima di tutto, si presta a essere avvolto in un’aura mitizzante. Spinelli, Rossi e Colorni erano segregati dal regime di Mussolini in quanto antifascisti, e l’antifascismo torna sempre buono in quanto parola magica, abbracadabra che disattiva i cervelli per far palpitare il cuore della Resistenza. Che poi l’antifascismo retorico occulti alla vista l’impianto di fondo, solidamente centrato sugli interessi dei Paesi più forti (Germania mercantilista in testa) e orientato dogmaticamente a demolire i diritti sociali, beh, questo, prima che un’abile strumentalizzazione degli stregoni Ue è un problema, anzitutto mentale, degli antifascisti da maniera.
Il Pungolo Rosso: 5 marzo: come sempre, la guerra divide. Senza scampo
5 marzo: come sempre, la guerra divide. Senza scampo
di Il Pungolo Rosso
In questi giorni in cui si sta dibattendo attorno alla manifestazione del 15 marzo, ci è venuto in mente che questa è la seconda volta che un quotidiano della famiglia Agnelli/Elkan arriva a convocare una manifestazione di massa.
La prima volta fu nell’ottobre 1980, con la convocazione della “marcia dei 40.000” dipendenti della Fiat, quadri, capi, capetti, crumiri. Dalle pagine del giornale “La Stampa” fu lanciato l’appello a tornare al lavoro, in una fabbrica praticamente occupata, per sconfiggere gli operai Fiat che erano in sciopero contro il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici. La seconda è arrivata nei giorni scorsi, con la chiamata alle armi lanciata da “la Repubblica” per sostenere – il resto sono chiacchiere confuse – la guerra tra Nato e Russia in Ucraina. Una guerra che, lo ribadiamo ancora una volta, non ha nulla di eroico o di umanitario/liberatorio da nessuna delle due parti a scontro.
La dimostrazione del 15 marzo a Roma serve solo a prolungare la guerra in modo da consentire all’Unione Europea, fino a oggi esclusa dalla divisione del bottino di guerra, di entrare nella spartizione dell’Ucraina, dei suoi territori, delle sue risorse. Non è così? E allora come mai questa mobilitazione è partita dal giornale italiano più ferocemente russofobo? e come mai è stata lanciata – come manifestazione per l’Europa – esattamente nei giorni in cui la Commissione europea ha messo all’ordine del giorno il gigantesco piano di riarmo accelerato da 800 miliardi di euro?
Mario Barcellona: La Schlein, il PD e il ReArm Europe
La Schlein, il PD e il ReArm Europe
di Mario Barcellona
È dal 2022 che non si vedeva uno schieramento così compatto e aggressivo dei principali opinionisti di fede “progressista” contro quello che essi immaginano come una sorta di collateralismo putiniano.
Questa volta il loro attacco si è rivolto contro la Schlein, rea di aver schierato, o di aver tentato di schierare, il PD su posizioni di contrasto al ReArm Europe proposto dalla von der Leyen.
Per orientarsi in questo scontro, che si dice mini dalle fondamenta la credibilità (in progressione) della Schlein, del PD, dell’Italia nel consesso europeo e della stessa UE, occorre chiedersi, con mente serena, di che si tratta e chi abbia ragione.
Il ReArm Europe della von der Leyen si fonda tutto su di una doppia premessa: la minaccia russa verso l’intera Europa e il prossimo abbandono americano del vecchio continente alle mire espansionistiche di Putin.
Non è necessario essere esperti di geopolitica per capire che entrambe queste premesse sono radicalmente insostenibili.
L’idea di una minaccia russa verso l’intera Europa è – come i più autorevoli analisti geopolitici non hanno mancato di illustrare – assolutamente priva di fondamento: se ci son voluti ben tre anni perché la Russia riuscisse ad affermare la propria supremazia sull’esercito ucraino (ancorché sostenuto dall’Occidente), come si può pensare che si proponga di muovere guerra all’intera Europa o anche solo ai paesi baltici, l’una e gli altri protetti – come sono – non solo dall’ombrello NATO ma anche dalla clausola di difesa reciproca dell’art. 42 del Trattato UE?
Antiper: Sulla soppressione del lavoro «di Marx» in Negri
Sulla soppressione del lavoro «di Marx» in Negri
di Antiper
In una conferenza del 2017 [1] Antonio Negri esordisce dicendo che i comunisti sono
“…quelle donne e quegli uomini che aprono le forme della vita alla liberazione dal lavoro”
La liberazione “dal” lavoro è qui chiaramente enfatizzata in opposizione all’eventuale idea di una liberazione “del” lavoro.
Non è una tesi nuova. Già nel 1979 Negri scriveva
“Non si dà in Marx alcun concetto di lavoro che non sia quello di lavoro salariato, di lavoro socialmente necessario alla riproduzione del capitale, quindi nessun concetto di lavoro da restaurare, da liberare, da sublimare, ma solo un concetto ed una realtà del lavoro da sopprimere” (Negri [2] [1979], p.22)
Secondo questa fantasiosa interpretazione, per Marx il lavoro non dev’essere liberato dal capitale, ma soltanto soppresso. Il socialismo sarebbe dunque una società senza lavoro.
Ma è vero quello che scrive Negri? Ovviamente no. Lavoro e lavoro salariato sono sinonimi solo per Negri, non certo per Marx. E comunque si tratta di una delle solite sparate negriane fatte di parole tanto a effetto, quanto inconsistenti.
Nel modo di produzione capitalistico la ricchezza delle nazioni, dice Marx, si presenta come un’immane raccolta di merci [3] e le merci, lo sappiamo (lo sappiamo?), sono il frutto del lavoro [4] umano. Una mela che nasce spontaneamente su un albero è solo una mela; questa mela diventa merce solo se colta, portata al mercato e scambiata con denaro o con un altra merce. Cogliere la mela, trasportare la mela, scambiare la mela… sono tutte attività umane, lavoro.
Roberto Iannuzzi: Armare l’Europa per mantenere in sella le sue delegittimate élite politiche
Armare l’Europa per mantenere in sella le sue delegittimate élite politiche
di Roberto Iannuzzi
Mentre l’iniziativa negoziale USA nei confronti di Mosca evidenzia le sue debolezze, l’UE continua ad avvitarsi nella sua spirale autodistruttiva che compromette democrazia e prosperità interna
La proposta di un cessate il fuoco preliminare senza condizioni in Ucraina, avanzata da Washington, e il frenetico tentativo dei vertici europei di organizzare il riarmo del vecchio continente, rappresentano paradossalmente due facce della stessa medaglia: quella di un Occidente in piena crisi strategica, progressivamente logorato dalle crescenti faide interne tra le sue arroganti, quanto incompetenti e corrotte, élite politiche.
L’acceso scontro verbale dello studio ovale fra il presidente americano Donald Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, aveva fatto presupporre l’intenzione di Washington di strappare dure concessioni a Kiev.
La proposta negoziale emersa dall’incontro fra la delegazione USA e quella ucraina a Gedda, in Arabia Saudita, invece segna apparentemente una vittoria di quest’ultima.
Pace o congelamento del conflitto?
L’offerta consiste in un cessate il fuoco di 30 giorni, eventualmente prolungabile e in apparenza senza specifiche condizioni annesse, per avviare negoziati fra le parti finalizzati al raggiungimento di una pace duratura.
L’annuncio ha segnato la ricucitura dei rapporti fra Washington e Kiev deterioratisi in occasione della recente visita di Zelensky alla Casa Bianca, come confermato dalla decisione americana di riattivare l’invio di armi e la condivisione di informazioni di intelligence con l’Ucraina, sospesi solo pochi giorni prima.
L’iniziativa avvantaggia nettamente Kiev, le cui forze armate sono in difficoltà su gran parte del fronte ucraino e in rotta su quello russo di Kursk. Un cessate il fuoco permetterebbe loro di riprendere fiato, ed eventualmente di riarmarsi grazie alla ripresa del flusso di aiuti militari americani.
Giulio Chinappi: Sul compagno Stalin
Sul compagno Stalin
Introduzione di Giulio Chinappi
Pubblichiamo l’introduzione e la postfazione del volume Giulio Chinappi, Vanna Melia, Alessandro Pascale, Pietro Terzan Sul compagno Stalin. Il libro può essere scaricato in formato PDF al seguente link: https://intellettualecollettivo.it/sul-compagno-stalin/
Nel corso del Novecento, poche figure storiche hanno suscitato dibattiti tanto accesi e polarizzanti quanto quella di losif Vissarionovic Dzugasvili, meglio conosciuto come Stalin. L’immagine di Stalin è stata oggetto di numerose interpretazioni, spesso antitetiche: da un lato, un leader capace di trasformare l’Unione Sovietica in una superpotenza industriale e militare; dall’altro, un dittatore associato a repressioni politiche e sacrifici umani. Questo libro, intitolato Sul compagno Stalin, si propone di offrire una prospettiva equilibrata e non agiografica sulla figura di Stalin, ponendo tuttavia particolare attenzione agli aspetti positivi della sua leadership, spesso oscurati da una narrazione dominante che tende a demonizzarlo, equiparando addirittura il comunismo sovietico al nazismo tedesco e lo stesso Stalin ad Adolf Hitler.
Uno degli obiettivi principali di questo libro è contrastare tale forma di revisionismo, oggi sostenuta persino da documenti istituzionali1, che non solo è storicamente infondata, ma rappresenta anche un insulto alle decine di milioni di vite sacrificate dall’Unione Sovietica nella lotta contro il nazifascismo. Non possiamo infatti mancare di ricordare come l’Armata Rossa e l’Unione Sovietica abbiano avuto un ruolo centrale nella sconfitta di Hitler e dei suoi alleati, un contributo senza il quale l’esito della Seconda guerra mondiale sarebbe stato drammaticamente diverso. Ricordare e analizzare questo aspetto è essenziale non solo per rendere giustizia alla storia, ma anche per comprendere l’importanza del modello sovietico nella resistenza contro una delle ideologie più distruttive del XX secolo.
- La grande guerra patriottica
La Seconda guerra mondiale, conosciuta in Russia come la Grande Guerra Patriottica, rappresentò per l’URSS una prova di sopravvivenza nazionale e ideologica.
Clara Statello: Una trappola malriuscita: le condizioni di Mosca per il cessate il fuoco
Una trappola malriuscita: le condizioni di Mosca per il cessate il fuoco
di Clara Statello
L’operazione delle Forze Armate Ucraine nel Kursk sta volgendo al termine perché i suoi obiettivi sono stati raggiunti. A meno che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quando il 6 agosto lanciò l’offensiva sul territorio russo, non avesse in mente di decimare le proprie truppe e agevolare l’avanzata russa sul fronte del Donbass, queste sue parole di ieri suonano cinicamente tragicomiche.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha letteralmente implorato a Putin di risparmiare la vita a migliaia di soldati ucraini “completamente circondati”.
“Sarebbe un massacro orribile, uno di quelli che non si vedeva dalla seconda guerra mondiale”, ha scritto venerdì pomeriggio in un post di Truth, lasciando intendere di aver parlato con il presidente russo.
Vladimir Putin ha risposto che se Kiev darà ordine alle sue truppe di arrendersi e deporre le armi, le loro vite ed un trattamento dignitoso saranno garantiti. È evidente che Washington e Mosca abbiano concordato la resa delle forze armate ucraine in territorio russo, come presupposto primo del cessate il fuoco.
Le trattative tra la Casa Bianca e il Cremlino
Al consiglio di Sicurezza Putin ha riferito che la situazione nei rapporti tra Russia e Stati Uniti sta “iniziando a muoversi”.
Andrea Zhok: La fine della democrazia in Europa e la nuova forma di coazione
La fine della democrazia in Europa e la nuova forma di coazione
di Andrea Zhok*
Con il voto favorevole del parlamento europeo al piano di riarmo (419 SI, 204 NO, 46 astenuti) credo si possa dire che, simbolicamente, con oggi, la democrazia in Europa è andata; appassita prima, oggi i petali secchi sono caduti.
Non è stata sostituita, come molti temevano, da una dittatura.
La storia prende sempre forme diverse e sorprendenti.
No, questa volta la democrazia è stata sopraffatta dalla conquista delle istituzioni e dei media, dall’interno, da parte dell’oligarchia finanziaria e dei suoi stipendiati.
Oramai la manovra di aggiramento è compiuta.
I canali a disposizione per la popolazione per esprimersi in termini politicamente significativi sono stati tutti o chiusi o neutralizzati. Un po’ è avvenuto con modifiche delle leggi elettorali, un po’ rendendo il processo democratico contendibile solo a chi aveva finanziamenti significativi a disposizione, un po’ occupando a tutti i livelli il sistema mediatico (ed espellendo chi non si adeguava a scrivere sotto dettatura), un po’ sopprimendo la terzietà della magistratura, capillarmente politicizzata.
Matteo Bortolon: (O)scurati dalla guerra
(O)scurati dalla guerra
di Matteo Bortolon
L’Europa pare stia sprofondando in un delirio bellicista senza precedenti. Negli ultimi tre anni il sostegno all’Ucraina si è sistematicamente tradotto in una intollerante e isterica avversione per ogni pensiero contrario al mantra ripetuto da tutti i media dominanti: tutti i torti stanno da una parte, “c’è un aggressore e un aggredito” (curiosamente diventato poco popolare quando si parla dei palestinesi), invocare la pace è sbagliato e vile, e la sola soluzione per il conflitto è una vittoria militare di Kiev tramite un massiccio sostegno di invio di armi. Chi non la pensa così va marginalizzato e censurato. Oppure non gli si consente di presentarsi alle elezioni.
Per ogni osservatore appena dotato di un barlume di razionalità la guerra al confine est dell’Europa non era che uno degli scacchieri in cui erano impegnati gli Usa nel mondo nella complessa partita del mantenimento della loro declinante egemonia mondiale, attizzando il conflitto grazie alla pavida e ottusa collaborazione delle classi politiche europee, così contente di sacrificare il loro sviluppo economico sull’altare della più svilente subalternità a un disegno geopolitico di cui non si vede alcun beneficio per i loro popoli.
Una parte consistente dell’opinione pubblica, invece – segnatamente quella “progressista” – legge la questione in termini morali e valoriali. Supremo dovere per essa è difendere l’Ucraina dal malvagio invasore, e il mezzo per farlo non può essere che la guerra combattuta dall’esercito dì Zelensky.
Eri Samikou e Lázaros Tentomas: Antigone in Grecia: dalla pandemia di Covid-19 sino a Tempe, la verità sepolta dal silenzio di Stato
Antigone in Grecia: dalla pandemia di Covid-19 sino a Tempe, la verità sepolta dal silenzio di Stato
Eri Samikou e Lázaros Tentomas
Gli anni post-pandemici hanno reso evidente la disturbante continuità nelle strategie politiche: dalla comunicazione propagandistica alle priorità economiche, dalla militarizzazione di ogni piega della vita all’uso sfacciato della necropolitica, dalla criminalizzazione del dissenso alla manomissione del bene pubblico. A livello alto, una linea ininterrotta collega Covid-19, Ucraina e Gaza; a livello medio, essa unisce le politiche vaccinali del blocco atlantico, la corsa al riarmo dell’UE e la soppressione delle ricerche accademiche su disuguaglianza, razzismo e violenza strutturale; ma anche a livello spicciolo, su quella stessa linea inciampiamo ogni volta che sentiamo erosi i margini della vita quotidiana, dei legami di affetto e di senso, dell’autonomia individuale e collettiva. È qui che dobbiamo allenarci per tornare a sentire che niente può giustificare l’abbandono del minimo sindacale che ci rende umani: la cura dei nuovi nati, la cura delle ecologie collettive, il saluto ai morti. In questo articolo, apparso sui siti greci Kosmodromio e Edromos, due antropolog* dell’università di Atene mettono a confronto le politiche pubbliche e sanitarie in risposta a un tragico incidente ferroviario con quelle che, pochissimi anni prima, hanno deciso della vita dell’intera nazione (Stefania Consigliere)
Il 28 febbraio 2023 la Grecia ha vissuto uno dei disastri ferroviari più gravi della sua storia, quando un treno passeggeri si è scontrato frontalmente con un treno merci vicino a Tempe, nella Grecia centrale. La collisione si è verificata poco prima di mezzanotte, sulla tratta Atene-Salonicco e ha causato un grave deragliamento e un enorme incendio che ha avvolto diverse carrozze, portando alla morte orribile di decine di passeggeri.
Carlo Lucchesi: Prima di tutto: no al riarmo
Prima di tutto: no al riarmo
di Carlo Lucchesi
La decisione dei governanti europei di caratterizzare la politica dell’UE con un imponente riarmo dei suoi Paesi è delinquenziale, ma non è sorprendente. Basta ripercorrere i momenti essenziali del conflitto Russia Ucraina. Lasciamo pure perdere Maidan, il colpo di stato, la guerra civile, gli impegni a risolverla di Zelenski nella sua campagna elettorale. Partiamo dagli accordi di Minsk. Vengono messi in mora, come candidamente riconosciuto dalla Merkel, perché l’Ucraina ha bisogno di armarsi e prepararsi alla guerra che con tutta evidenza (v. Nuland) fa parte del programma degli USA. E la Nato, che comprende un gran numero dei Paesi dell’UE che non solo sono a conoscenza di quanto sta accadendo, ma vi partecipano con grande zelo, provvede alla bisogna. Quindi, già a questo momento tutti sanno che ci sono molte probabilità che le cose precipitino. Ma, come spesso accade quando il prevedibile diventa reale, nel nostro caso nel momento in cui la Russia inizia l’Operazione Militare Speciale, c’è un piccolo soprassalto. Macron e Scholz invitano alla calma, dicono che si deve trattare, che la guerra può essere fermata. Dopo poche ore ritrattano precipitosamente e vergognosamente. Qualcuno dall’altra parte dell’oceano gli ha fatto capire che si fa sul serio, che la Russia può e deve essere battuta, che Putin non reggerà all’urto delle sanzioni, al costo della guerra, all’insofferenza della popolazione, e il collasso della Russia andrà a vantaggio non solo degli USA, ma di tutti i Paesi dell’Occidente a iniziare dall’Europa.