“Chico Forti, un caso chiuso”

Forti non è solamente privo di un qualsiasi alibi, ma mente fin dall’inizio.

 

CHICO FORTI: UN CASO CHIUSO

 

 

Forti non è solamente privo di un qualsiasi alibi, ma mente fin dall’inizio. Alle 19.16 telefona alla moglie da un luogo vicino a quello dove sarà rinvenuto il cadavere e le dice che Pike non è arrivato all’aeroporto, versione che manterrà nei tre giorni successivi con tutti, con il suo avvocato, con il padre della vittima e per ben due volte con la polizia. Pulisce accuratamente l’auto facendo sparire ogni traccia e poi fabbricherà documenti notarili falsi allo scopo di costituirsi un alibi.
Difficile credere che una giuria abbia avuto bisogno d’altro per deciderne la colpevolezza.

 

La storia

Enrico “Chico” Forti (Trento 1959) è un campione di windsurf che, vinta una somma a TeleMike, lascia la moglie e se ne va a cercare fortuna in Florida. Bella vita, belle donne e brutte compagnie. Grazie al pregiudicato tedesco Thomas Knott entra in possesso della casa galleggiante in cui fu trovato suicida Andrew Cunanan, l’assassino di Gianni Versace. Sulla vicenda Forti gira un cortometraggio in cui sostiene che la polizia di Miami ha manipolato le prove e che Cunanan è arrivato nella casa galleggiante già morto. Per i suoi amici sarebbe stato questo filmetto a metterlo nei guai. Mesi dopo Knott gli fa conoscere Anthony Pike che vuole cedere il suo albergo di Ibiza. Secondo la Procura Knott e Forti lo frodarono. Knott gli usava le carte di credito mentre Forti cercava di acquistare l’albergo sottocosto e, visto che il figlio di Pike (Dale) voleva impedirlo, l’ha fatto uccidere. I due sono accusati di truffa: Knott patteggia la pena mentre Forti, accusato anche di omicidio, è processato e condannato all’ergastolo LWOP.

 

I fatti.

Dale Pike arriva dalla Spagna all’aeroporto di Miami: si incontra alle 18.00 con Forti e viene trovato cadavere 24 ore dopo. Secondo Forti alle 18.30 Pike, che non era mai stato in Florida e doveva essere suo ospite, ha telefonato da una stazione di servizio cambiando programma e chiedendo di essere portato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican dove sarebbe salito su di un’altra auto. Anche prendendo per buone le scuse del Forti non si spiega perché non abbia poi tentato di rintracciare la persona cui Pike avrebbe telefonato, non abbia cercato testimoni né alla stazione di servizio (priva di video-sorveglianza?) né al parcheggio e non si capisce perché, uscito dall’aeroporto con la vittima, Forti non vada verso casa, ma punti nella direzione opposta: a sud verso il Rusty Pellican. 

 

Le frottole.

Gli amici di Forti, confidando nell’incrollabile incompetenza degli italiani e sull’inesauribile massa di creduloni prodotti da Internet, hanno intessuto una ragnatela di frottole, distorsioni, omissioni ed esagerazioni dalla quale è difficile districarsi; inoltre hanno pervicacemente rifiutato di pubblicare gli atti del processo, ma se appena si guarda dietro questa cortina fumogena la colpevolezza del Forti appare evidente.

La madre di tutte le frottole è quella della “sensazione” grazie alla quale Forti è finito all’ergastolo. Il giudice avrebbe detto: “La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto.” La sentenza non sarebbe basata sui fatti presentati al processo, ma sulla sensazione del giudice. La frottola funziona solo perché gli italiani nulla sanno del sistema giudiziario americano dove il verdetto è deciso dalla giuria che non lo deve motivare, mentre la sentenza per quel tipo di reato è obbligatoria: ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato (LWOP). Il giudice, sempre che abbia detto quelle castronerie, non aveva scelta. Comunque sia la frase è ripetuta ossessivamente e trova persone disposte a crederci: “Si rivolga alla corte internazionale dei diritti dell’uomo dove avrà gioco facile. Perché non esiste un ordinamento al mondo in cui sia possibile pronunciare una sentenza sulla base di una sensazione.”

 

Dettagli
Gli amici del Forti non si limitano a inventare, ma attirano l’attenzione su dettagli irrilevanti o banali drammatizzandoli come se da questi fosse dipeso l’esito finale del processo: le monetine per il telefono chieste da Dale Pike, il commesso del negozio d’armi, i diritti non letti, come se Forti avesse confessato, il Consolato non avvisato, la regola Williams, lo speedy trial, il presunto conflitto d’interessi. Ovviamente non si parla mai delle menzogne di Forti e dei documenti contraffatti, mentre si fa notare solo la prima delle due bugie dette alla polizia. Tutto, pur di non spiegare i fatti.

 

Il mistero s’infittisce

A causa del suo filmetto su Cunanan Forti sarebbe diventato “un personaggio scomodo” e vittima di un gigantesco complotto di cui fanno parte la polizia di Miami, la Procura della Dade County, il giudice, i dodici giurati, tutti i suoi  avvocati, oltre che la Cia, Fidel Castro, Pippo, Pluto e Paperino.

Un altro aspetto grottesco del “caso Forti” sono le traduzioni. Molti si chiedono cosa significhi l’asserzione del Procuratore secondo cui: “Lo Stato non deve provare che egli sia stato l’assassino al fine di dimostrare che lui sia il colpevole”, senza sapere che l’originale inglese è ha un significato completamente diverso: “Lo Stato non deve provare che egli sia stato l’esecutore materiale del delitto al fine di dimostrare che sia il colpevole”

Si asserisce che Anthony Pike tentava di vendere un albergo non più suo, che Forti era il truffato e non il truffatore. Ciò non è contraddetto solo dai fatti, ma anche dallo stesso Forti, al corrente che il 95% dell’albergo è di una società di Jersey. In ogni caso si sostituisce un movente con un altro.


Siamo in America, non in Italia.
Il delitto non è stato commesso a Forlimpopoli e valgono le leggi americane, che sono molto diverse dalla nostre. Purtroppo sentiamo parlare di “gravi violazioni dei diritti della difesa [perché] non è mai stata data la possibilità all’imputato di chiedere un confronto con il suo accusatore, con un testimone che era un truffatore, (…) di parlare per ultimo per replicare”

La giuria viene definita impreparata, ma le giurie devono esserlo, altrimenti non sarebbero in grado di decidere sulla base di quanto gli viene presentato in aula.
Qualcuno arriva anche a dire che la giuria era “ipnotizzata” dal Procuratore, senza spiegare come sia riuscito a tenerla in quello stato per 24 giorni.

L’ordine delle arringhe finali non dipende dalla testimonianza dell’imputato e l’Accusa chiude sempre il processo. La Florida a quel tempo consentiva alla Difesa di concludere nel caso avesse presentato la sola deposizione dell’imputato.

Per gli amici di Forti “È molto singolare che il processo non permetta ai giudici di indicare alle parti temi nuovi o integrazioni probatorie: la decisione va presa sulla base di quello che le parti hanno deciso di mostrare loro. (…) L’estrema singolarità di questo modo di procedere appare evidente.”  Purtroppo lo è solo per chi non ha la più pallida idea di come funziona il sistema giudiziario americano, dove sono le parti a chiamare i testimoni. Se non lo fanno peggio per loro.

 

Diritto fai da te

Il lunghissimo processo viene definito “lampo” e “sommario”.

Si introduce l’inesistente “priciple rule”, forse riferendosi alla law of the parties del felony murder.

Thomas Knott ed Anthony Pike non hanno testimoniato al processo, ma ci viene detto il contrario.

Si afferma che Forti è stato assolto con formula piena dall’accusa di truffa, ma non è vero. La truffa è il movente dell’assassinio e la Procura non l’ha tirata fuori all’ultimo minuto durante l’arringa, altrimenti ci dovremmo chiedere di cosa abbiano parlato in 24 lunghissimi giorni di processo.

 

“Chico non è stato difeso”
Forti non ha raccattato i primi difensori incontrati. Questi sono avvocati famosi e probabilmente consigliatigli dal suo influente avvocato civilista, il senatore Paul Steinberg. Gli amici affermano che “In tantissimi momenti c’erano come accordi fra l’accusa, la difesa e il giudice e Chico è stato completamente abbandonato al suo destino” Ma perché gli avvocati di Forti si sarebbero venduti alla procura? Perché due famosi avvocati si sarebbero uniti al fantomatico complotto?

 

Qualche granello di sabbia.

Una delle prove è la sabbia trovata sotto il cappellotto del gancio di traino dell’auto di Forti. Sabbia che pone Forti sul luogo del delitto. Lui dice che l’hanno messa i poliziotti, ma la prova è stata discussa in aula e sarebbe interessante sapere che effetto abbia avuto sulla giuria: forse nessuno.

 

Un caso chiuso

In questi ultimi tempi il caso di Chico Forti è diventato una sorta di religione. Il Suo Martirologio e le tesi innocentiste sono propagandate da cantanti, cabarettisti, presentatori e giornalisti televisivi: senza che a nessuno sia venuto in mente di verificarne la verosimiglianza. Nessuno ha cercato il conforto di un giurista americano, nessuno ha chiesto aiuto ad una delle molte organizzazioni che si occupano di innocenti, come nessuno ha intervistato i protagonisti della vicenda: gli avvocati di Forti, il prosecutor Rubin, il giudice Platzer e i giurati. Spero che l’impegno di tante autorevoli personaggi non significhi che alla fine della fiera sarà il contribuente italiano a pagare le salatissime parcelle dei legali americani.

 

Claudio Giusti

 

P.S.

Per non appesantire la narrazione ho rinunciato alle note a piè pagina, ma potete trovarle qui http://www.astrangefruit.org/index.php/it/.

 

 

 

Dott. Claudio Giusti

http://www.astrangefruit.org/index.php/it/

http://www.osservatoriosullalegalita.org/special/penam.htm

Membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i Diritti, Claudio Giusti ha avuto il privilegio e l’onore di partecipare al primo congresso della sezione italiana di Amnesty International ed è stato uno dei fondatori della World Coalition Against The Death Penalty.




11 Novembre 2012

 

“And ye shall know the truth, and the truth shall make you free” John 8:32 KJV

“But let your communication be, Yea, yea; Nay, nay: for whatsoever is more than these cometh of evil.”  Matthew 5:37, KJV

 

 

La vicenda di Enrico “Chico” Forti sta tutta in una frase:
“Dale Pike lo incontra e da quel momento scompare per essere trovato cadavere 24 ore dopo.”

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