Forum Italiano dei Comunisti – 21/12/2024
Dopo l’appello del compagno Giuseppe Amata
LE QUESTIONI DIRIMENTI
PER LA RIORGANIZZAZIONE COMUNISTA IN ITALIA
Dobbiamo toglierci dalla mente che lo sviluppo di una presenza efficace dei comunisti italiani consista nel rimettere assieme i cocci. Con materiale inerte non si costruisce nulla che abbia un senso. Qual è invece la strada? E da quale necessità oggettiva parte la ricostruzione? Dalla risposta a questi interrogativi si deve partire per comprendere il Che fare?.
Sulla prima questione. Per cominciare c’è da aprire una discussione su come, dopo la liquidazione del PCI, è partito il tentativo (o bisognerebbe dire i tentativi) di ricostruzione di una forza comunista in Italia.
Le caratteristiche di questa ripartenza sono state tutte sostanzialmente negative. La prima è stata quella di pensare che si potesse ricostruire senza fare i conti con la crisi del movimento comunista e come uscirne. Ricostruire una forza comunista non poteva essere uno slogan dietro cui, peraltro, si nascondevano vecchie teorie sconfitte dalla storia e strumentalizzazioni elettoralistiche. Occorreva approfondire invece le ragioni degli avvenimenti e valutarne le implicazioni. L’operazione ricostruzione è rimasta invece, almeno finché portava voti, in mano ai cattivi maestri che pensavano che la liquidazione del PCI aprisse praterie infinite per le loro avventure politiche, finché poi la realtà non ha dimostrato il contrario.
Il secondo punto su cui riflettere riguarda la necessità che la ricostruzione di una forza comunista si connetta alle contraddizioni della società e come ciò possa avvenire e quale ruolo i comunisti debbano svolgere. Non si può essere comunisti ‘a prescindere’, ma al contrario bisogna misurarsi con la realtà.
Riflessione e connessione con la realtà sono dunque i punti di partenza. Ma se queste sono le premesse, la domanda da farsi è allora “a che punto siamo della ricostruzione?” L’esito dell’avventura rizziana ha mostrato che cosa si possa celare oggi dietro la parola ‘comunista’ e quindi che credito possa avere la parola ‘comunista’ per i ceti di riferimento. Tutto rimane quindi più arduo e difficile per chi si propone di andare avanti, e bisogna umilmente riconoscere che siamo ancora al palo
Nonostante questo però, esiste un’area di compagni che ancora ritiene, e giustamente, di doversi esprimere da posizioni comuniste nella lotta contro lo sfruttamento, l’imperialismo e la logica del profitto, per costruire una società nuova. Inutile dire che il Forum condivide questo punto di vista, ma con una sostanziale pregiudiziale e cioè che il tentativo di coloro che insistono nel riprendere un percorso comunista sia in sintonia con lo sviluppo dei processi reali, riesca a svolgere una funzione effettiva di trasformazione della situazione reale e, aggiungiamo, approfondisca gli elementi teorici di prospettiva.
Come i fatti dimostrano, sia rispetto alla consistenza elettorale che ai livelli di militanza della presenza comunista, non è con l’appello alla falce e martello che si risolve la questione.
La domanda è dunque questa: che cosa serve allora per mettere in moto un meccanismo di riorganizzazione di una presenza effettiva dei comunisti?
In primo luogo, a nostro parere, bisogna partire dal fatto che un partito, per ricostruirsi ha bisogno non in modo astratto di dimostrare di avere una efficacia nell’azione politica e non vivere di ricordi storici. Nè si può pensare che i principi siano da soli in grado di sciogliere i nodi tattici e strategici che si pongono a una formazione comunista che deve, al contrario, dimostrare nella realtà di aver individuato la strada giusta. I comunisti non possono ridursi a una setta o a un club di intellettuali che scindono la ricerca dall’azione. I comunisti organizzati sono, e devono effettivamente rappresentare, il punto più avanzato del fronte della trasformazione sociale. Oggi sono alla coda e questo dovrebbe farci riflettere sullo stato dell’arte della ricostruzione.