[SinistraInRete] Maurizio Brignoli: Il connubio jihadista-israeliano in Siria

Rassegna 22/12/2024

Maurizio Brignoli: Il connubio jihadista-israeliano in Siria

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Il connubio jihadista-israeliano in Siria

di Maurizio Brignoli

Occupazione israeliana del Golan e silenzio jihadista. I palestinesi nella vecchia e nuova Siria. Fuga dalla Siria occidental-sionista-jihadista

nosnvibnlo.jpgUna delle prime preoccupazioni di Abu Muhamad al-Julani, capo dei jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante, Hts), nella prima importante intervista concessa a Sky News, era, all’indomani di quella che definiva la “liberazione” della Siria da Assad e dagli ex colonizzatori russi e iraniani, tranquillizzare l’imperialismo occidentale chiarendo una volta per tutte quali fossero i veri nemici: «La fonte delle nostre paure proveniva dalle milizie iraniane, da Hizballah e dal regime che ha commesso i massacri a cui stiamo assistendo oggi. La loro rimozione è la soluzione per la Siria»[1]. Posizione del resto coerente da parte di chi era stato incaricato di organizzare la sovversione jihadista della Siria da Abu Bakr al-Baghdadi, primo califfo dell’Isis (2014-2019) e che proprio in Hizballah e nei pasdaran iraniani, i primi ad accorrere in aiuto della Repubblica araba siriana e a combattere contro l’Isis e le altre formazioni jihadiste, ha trovato un ostacolo insuperabile. Altra preoccupazione quella di rassicurare Israele nei confronti del quale il capo jihadista, in un’intervista al Times, ha promesso che non permetterà che la Siria venga utilizzata come rampa di lancio per attacchi contro Israele o qualsiasi altro stato[2]. È dai tempi del cambio di marchio in Hts nel 2017 che i qaidisti cercano di presentarsi quali referenti ideali per l’Occidente, insistendo sul comune obiettivo di abbattere il governo siriano ed espellere le forze iraniane dalla Siria, ponendosi come alternativa “moderata” all’Isis nel tentativo di farsi finanziare meglio dall’imperialismo occidentale[3].

Ma a offrire collaborazione con Tel Aviv non c’è solo Hts ma anche quelli che potremmo definire “jihadisti laici” o secondo la dicitura usata dall’imperialismo occidentale fin dall’inizio dell’aggressione alla Siria “ribelli moderati”, un escamotage per fornire armamenti a formazioni che hanno compiuto molteplici operazioni in sinergia con al-Qaida e Isis e che ospitavano nelle loro file gli stessi jihadisti che transitavano fra i gruppi di miliziani del Califfato, qaidisti e i cosiddetti “ribelli moderati”[4].

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Infoaut: Cosa ci dicono le catene del valore? Dipendenza, crisi industriali e predazione finanziaria

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Cosa ci dicono le catene del valore? Dipendenza, crisi industriali e predazione finanziaria

di Infoaut

Il dibattito politico profondo latita e ci si scanna per lo più su ciò che intimamente si desidera, invece che su ciò che concretamente succede. Per sbrogliare questa matassa forse dobbiamo fare un passo indietro e porci alcune domande su dove sta andando il capitalismo. In questo caso lo faremo con un occhio di riguardo al nostro paese.

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MELONI 1Purtroppo è necessario fare alcune premesse: noi siamo ancora tra quelli che ritengono che tra guerra, politica ed economia vi sia un’intima e inscindibile relazione che va oltre la semplice acquisizione che il mercato delle armi sia un business importante o che “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”. Allo stesso tempo non crediamo che ci si possa sedere su una visione meccanicistica in cui è l’economia che rigidamente determina gli altri campi del ragionamento, si tratta di un “movimento” in cui questi tre fattori si influenzano a vicenda, ma all’interno del quale il capitale ha un ruolo speciale che struttura e sostanzia la natura contemporanea degli altri due (guerra e politica esistevano prima della nascita del capitalismo ovviamente, ma la loro natura attuale è inspiegabile senza comprendere il funzionamento di quest’ultimo). Ecco dunque che la guerra in Ucraina, vista molto da vicino sembra “solo” un conflitto geopolitico per alcuni, un’invasione di una tra le potenze mondiali nei confronti di un paese più debole per altri. Allo stesso modo il genocidio di Gaza può apparire per alcuni “solo” come un conflitto etnico-religioso, per altri come uno scontro tra interessi regionali, per altri ancora come una pura atrocità. Tutte queste letture hanno dei tratti di verità, ma prese da sole, senza inserirle dentro il “movimento” ci fanno perdere la bussola. Questa piccola digressione è necessaria per far comprendere il presupposto da cui partiamo, sebbene in questo articolo si parlerà in particolar modo del nostro paese.

Dunque dove sta andando l’economia che possiede questo “ruolo speciale”? Cosa ci dicono le catene del valore?

Iniziamo da ciò che salta all’occhio immediatamente sfogliando qualsiasi giornale: l’Italia è immersa in un nuovo ciclo di crisi industriali che è appena al suo inizio. Il caso più noto, ma non per forza quello più esemplificativo è quello di Stellantis. La vicenda dell’ex-FIAT è certamente paradigmatica, ma a differenza del passato non rappresenta che parzialmente la natura del capitale industriale contemporaneo in Italia, fatto di medie e piccole imprese, spesso associate in distretti, a loro volta inserite in catene del valore internazionale.

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Collettivo le Gauche: La prospettiva dell’Amazon Capitalism

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La prospettiva dell’Amazon Capitalism

di Collettivo le Gauche

kjgpsnvn1. Una robusta introduzione al problema dell’Amazon Capitalism

Il libro collettivo del gruppo di ricerca Into The Black Box dal titolo Futuro presente. Il dominio globale del mondo secondo Amazon è una formidabile cassetta degli attrezzi, frutto di un seminario svoltosi presso l’Università di Bologna tra il 2021 e il 2022, per analizzare quello che viene definito Amazon Capitalism. L’impresa di Bezos, infatti, non è solo un negozio online in cui poter acquistare quasi ogni tipologia di merce o il principale rappresentante di servizi di consegna basati sullo slogan logistico just-in-time and to-the-point. Amazon contiene al suo interno molti più servizi. Si passa da Prime Video e Twitch a prodotti come Alexa e servizi informatici come Amazon Web Services. Senza contare gli altri investimenti di Bezos come il Washington Post nell’editoria o Blue Origin nell’industria aerospaziale. Amazon è quindi un attore economico ramificato in molte attività produttive che, sostengono i ricercatori di Into The Black Box, non si limita all’economia ma finisce per condizionare anche altre sfere come quella sociale e politica. Per questo motivo si parla di Amazon Capitalism di cui occorre indagare le caratteristiche. Infatti una simile società è capace di condizionare l’evoluzione del capitalismo esattamente come fanno imprese simili ad Amazon in altre parti del mondo, pensiamo ad Alibaba in Cina o MercadoLibre in America Latina. C’è una sorta di egemonia di questi attori economici che consente di parlare di amazonizzazione della società. Questa tesi viene supportata da tre ipotesi. La prima riguarda la capacità delle aziende Big Tech di essere il punto di sintesi delle operazioni del capitale, concetto coniato da Sandro Mezzadra e Brett Neilson su cui torneremo meglio in futuri lavori. Si tratta di tesi che dimostrano come all’interno della teoria critica si siano sedimentate analisi secondo cui non è possibile concettualizzare in termini univoci il capitalismo contemporaneo e sono focalizzate sulla molteplicità dei processi di valorizzazione contemporanei. La diversità nei processi capitalistici ha sempre fatto parte del modo di produzione capitalistico.

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Redazione Clarissa: La dichiarazione di Bashar Assad

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La dichiarazione di Bashar Assad

di Redazione Clarissa

Crediamo giusto pubblicare questo documento, di un chiaro significato storico, per alcuni validi motivi: il primo, che il testo integrale non è stato reso noto dai media occidentali, e solo per questo meritava di essere rintracciato e pubblicato; il secondo, che conferma sostanzialmente l’analisi proposta da Gaetano Colonna su queste pagine, in merito al ruolo della Russia – che ha manifestamente rinunciato a difendere politicamente e militarmente il regime di Assad; il terzo, il più importante, in quanto quel che è avvenuto in Siria segna la fine di quel nazionalismo arabo che, a partire dagli Anni Cinquanta del secolo scorso, ha rappresentato una possibilità per il Medio Oriente di sottrarsi al colonialismo occidentale, alla logica dei blocchi ideologici, allo sfruttamento economico del Medio Oriente, senza rinunciare alle tradizioni religiose e culturali del mondo arabo, ma non lasciando tuttavia spazio a qualsivoglia fondamentalismo.

Siamo consapevoli che l’Occidente si compiace della caduta del regime degli Assad, sicuramente non immune da violazioni dei diritti umani, certo non più gravi di quelle che grandi Paesi occidentali hanno compiuto e che lo Stato di Israele pratica quotidianamente.

Non crediamo tuttavia che la situazione futura della Siria sarà per questo destinata a migliorare, ora che la sua condizione di Paese sovrano è stata cancellata: da una guerra civile durata quattordici anni, che ne ha provocato la completa frantumazione; dall’aggressione militare subita da parte israeliana, con oltre 400 incursioni sul proprio territorio solo negli ultimi giorni – senza che i media occidentali abbiano battuto ciglio in presenza delle ennesime violazioni delle norme più elementari del diritto internazionale.

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Claudio Conti: Francia e Germania: caduta comune, ma in direzioni opposte

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Francia e Germania: caduta comune, ma in direzioni opposte

di Claudio Conti

L’asse franco-tedesco se la passa sempre peggio e quando Draghi fa le sue raccomandazioni, ormai, non si capisce più a chi si stia rivolgendo.

L’Unione Europea è stata infatti costruita – come logica dei trattati e come assetto istituzionale – in base alle indicazioni imposte dalla Germania e supportate dalla Francia. In assenza di leader forti in questi due paesi è difficile imporre agli altri 25 membri qualcosa senza doverlo contrattare.

E ora, sia a Berlino che a Parigi, tutto c’è meno che leader solidi. Anzi, il futuro prossimo promette figure ancora più fragili.

In Germania ieri Olaf Scholz ha raggiunto il suo obiettivo: essere sfiduciato e quindi obbligato alle dimissioni, in modo da aprire la strada a nuove elezioni. In pratica il contrario di quel che un primo ministro di solito cerca.

Un apparente paradosso che chiarisce bene lo stato confusionale della politica tedesca, trascinata in una guerra che ha distrutto gran parte del modello economico su cui aveva costruito la sua egemonia continentale: bassi salari interni, energia a basso costo grazie al gas russo, esportazioni a go-go vero Mosca e Pechino.

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Elena Basile: Le oligarchie liberali scelgono l’autoritarismo (con la complicità dell’intellighentia progressista)

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Le oligarchie liberali scelgono l’autoritarismo (con la complicità dell’intellighentia progressista)

di Elena Basile*

I media occidentali hanno portato a termine con successo un’operazione di grande importanza politica. La maggioranza silenziosa, il ceto medio e le classi lavoratrici sono stati plasmati: l’Occidente libero e democratico è sotto attacco; le autocrazie come Cina e Russia, le teocrazie come l’Iran, il terrorismo, ci minacciano; e la guerra è l’unica risposta salvifica. Come afferma Ori Goldberg, nella storia i genocidi hanno avuto come motivazione essenziale l’autodifesa.

L’impero Usa in declino, costretto alla militarizzazione del dollaro, muove le sue pedine negli scacchieri internazionali, indifferente al diritto internazionale. Con linguaggio orwelliano uccide la democrazia in nome di essa. L’esempio simbolico è stata la dichiarazione del presidente della Corea del Sud che ha promosso la legge marziale per difendere i propri cittadini dall’autocratica Corea del Nord. In Europa, mentre Blinken incita Zelensky ad abbassare la leva militare dai 25 ai 18 anni, la distruzione di un paese e di centinaia di migliaia di ragazzi è giustificata dalla necessaria difesa da Mosca. In Georgia e in Romania il risultato delle elezioni democratiche non è accettato. Vincono candidati che non vogliono svendere il loro Paese a interessi statunitensi ed europei.

Si parla di brogli elettorali senza fornire prove. Le interferenze russe avverrebbero attraverso TikTok. Sappiamo bene che il soft power è monopolio occidentale. Le quattro agenzie di stampa internazionali che governano i media sono asservite ai poteri nostrani e specializzate, con modulazioni differenti, in un copia e incolla di veline dei servizi.

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Enrico Palandri: Noi e il capitalismo

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Noi e il capitalismo

di Enrico Palandri

Per quanto devastante, il capitalismo è superficiale e, come tutte le forme in cui si sono articolate le società umane, storico, e quindi destinato a essere superato. Delle sue crisi, come osservava Marx, si nutre. Sarebbe velleitario immaginare dove e come finirà, se sarà per qualche rivoluzione, un nuovo e questa volta terminale collasso del sistema finanziario o perché altre forme di organizzazione sociale si svilupperanno, magari nascendo da sette minoritarie come erano i cristiani che emersero nel tardo impero. Da qualche parte qualcos’altro nasce sempre ed è importante per ognuno di noi sapere cosa sia, che forma prende nella nostra sensibilità, come cambia e come resiste al capitalismo. Questo ci permette di osservarne i limiti, e in realtà siamo abituati a farlo. Se ad esempio in una qualunque città dove il turismo ha travolto un antico centro storico riempiendolo di vetrine di Starbucks e Mcdonald alziamo gli occhi di pochi metri, i palazzi ci restituiscono la vera storia di quel luogo. Vienna torna a essere diversa da Torino, Venezia da un aeroporto. Allo stesso modo, per quanto inondati da serie televisive per lo più dominate da serial killers, violenza sulle donne, insomma il cinema americano di oggi, basta leggere una poesia di Leopardi o Caproni per capire che l’arte è un’altra cosa e che questo tipo di intrattenimento, come le vetrine che mascherano il centro storico delle città, non sono nulla, il prossimo anno non sapremo neppure cosa fossero.

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Michelangelo Severgnini: La Turchia e il peggior scenario possibile

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La Turchia e il peggior scenario possibile

di Michelangelo Severgnini

njvaedoribnfhsihfjsDal precipitare degli eventi in Siria a oggi ho meticolosamente scandagliato la stampa turca e curda, presente e passata, per ricostruire perlomeno un pezzo della verità, perlomeno fonti alla mano, ricostruendo come il crollo di Assad sia percepito da questo lato della faccenda.

Questione quanto più sotto i riflettori dal momento che moltissimi analisti hanno da subito messo la Turchia sul banco degli imputati, riconoscendola mandante di questo improvviso epilogo del governo siriano.

Tuttavia tutto ciò non trova riscontri oggettivi ed è piuttosto la facile suggestione per colmare quell’inevitabile vuoto di comprensione che si crea in ciascuno di noi. Insomma, se qualcosa non torna, è colpa dei Turchi.

Questo mio intervento è motivato dall’unico obiettivo di vederci meglio e di diradare qualche fumo. Ho vissuto anni in Turchia, paese al quale sono legato, e leggo il turco. Faccio questa premessa per scoraggiare chi voglia leggere queste righe come quelle di un difensore della politica turca, che in passato (vedi con l’Urlo a Tripoli) non ho avuto problemi a denunciare.

Piuttosto credo che un processo sommario alla posizione turca, per altro non suffragato quanto piuttosto frutto di suggestione, in questo momento favorisca quegli obiettivi secondari del conflitto in corso, ma non meno importanti, quali la rottura diplomatica tra i soggetti firmatari gli accordi di Astana (Turchia, Russia e Iran) e l’allontanamento della Turchia dai Brics.

E non voglio favorire senza motivo il raggiungimento di questo obiettivo.

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Chris Carlsson: L’autocrazia ha sconfitto il neoliberismo. E ora?

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L’autocrazia ha sconfitto il neoliberismo. E ora?

di Chris Carlsson

koshu kunii ILpe0MpOYww unsplash.jpgGli Stati uniti si preparano all’insediamento di Donald Trump. Quella cerimonia, dice Chris Carlsson, certificherà molte cose. La prima: il neoliberismo e la democrazia liberale, non solo negli Usa, sono morti. La seconda: Trump e i suoi accoliti si preparano al grande teatro della crudeltà per umiliare e mettere “al loro posto” prima di tutto donne e neri. La terza: dalla crisi delle democrazie emerge ovunque un capitalismo clientelare con un vasto apparato di sorveglianza tecnologico per controllare il dissenso. La quarta: non dobbiamo essere affranti e sentirci impotenti, questo sistema che prende forma non funzionerà, entrerà in crisi, probabilmente a partire dalle conseguenze delle crisi ambientale e climatica. “La sorveglianza ad alta tecnologia, il mercato e la manipolazione delle menti possono arrivare solo fino a un certo punto. Alla fine la capacità umana di autonomia e resistenza (e noia) sconfiggerà gli sforzi di autocrati imbranati che non comprendono la complessità sociale e pensano di poter imporre l’obbedienza alla società attraverso la repressione e la punizione. Questa roba non funziona…”. Forse ha ragione Bifo: la democrazia borghese è stata una trappola, aggiunge Carlsson, per chi pensava di cambiare il mondo. Adesso non sappiamo quando, dove e come emergeranno non solo una resistenza efficace ma soprattutto una visione del mondo e della vita che entusiasmerà tante persone, “abbastanza da spingerle a rovesciare il dominio di questa élite così platealmente folle…”. “Alla stregua di quanto fa John Holloway io dico che è la nostra umanità di fondo la base dei nostri desideri e della capacità di trasformare radicalmente il nostro modo di vivere e di ripensare il modo in cui produciamo la nostra vita insieme…”

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Alessandro Visalli: Caroline Elkins, Un’eredità di violenza. Una storia dell’Impero britannico

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Caroline Elkins, Un’eredità di violenza. Una storia dell’Impero britannico

di Alessandro Visalli

afrikaneer.jpgIl politico conservatore Enoch Powell, in un discorso all’autorevole Royal Society il 23 aprile 1961 pronunciò queste parole:

“La vita ininterrotta della nazione inglese nell’arco di mille e più anni è un fenomeno unico nella storia: il prodotto di un insieme specifico di circostanze come quelle che in biologia si suppone diano inizio per caso a una nuova linea evolutiva. […] Da questa vita ininterrotta di un popolo unito nella sua patria insulare scaturisce, come se emergesse dal suolo d’Inghilterra, tutto ciò che appare così straordinario nelle doti e nei successi della nazione inglese. Tutto il suo impatto sul mondo esterno – con le prime colonie, la successiva Pax Britannica, il governo e la legislazione, il commercio e il pensiero – è scaturito da impulsi generati qui. Questa vita ininterrotta dell’Inghilterra è simboleggiata ed espressa da null’altro se non dalla sovranità inglese […] Il pericolo non è sempre la violenza e la forza: a esse abbiamo resistito prima e possiamo resistere ancora. Il pericolo può essere anche l’indifferenza e l’ipocrisia, capaci di dilapidare la grande ricchezza della tradizione e svilire il nostro simbolismo sacro solo per raggiungere qualche compromesso a buon mercato o qualche risultato evanescente”.[1]

Queste parole, che articolano in modo sintetico e mirabile, il ‘razzismo popolare’ così diffuso in Inghilterra è al fondamento del “nazionalismo imperiale” che connette in un unico inestricabile insieme idee sulla razza, senso di appartenenza ed ambizione di dominio. Si tratta di quello che l’autrice chiama “imperialismo liberale”, o che Tony Blair chiamò “Nuovo imperialismo liberale”, per giustificare nel 2003 la guerra in Iraq. Quella unione indissolubile, nutrita di ‘bipensiero’ alla Orwell, di ‘totalità disumana’ e ‘promessa di riforme’ che caratterizza l’universalismo liberale nella sua stessa costituzione.

Confrontarsi con questa storia di pratiche e idee, è oggi particolarmente importante, quando la mai scomparsa postura di legittimazione del diritto (ed il fardello) di portare al mondo l’emancipazione e la ‘libertà’ riprende il suo posto centrale alla vigilia della nuova Grande Guerra che si prepara e, per intanto, nelle “guerre locali” che proliferano.

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Fulvio Grimaldi: Democrazia all’occidentale: guerre, golpe, criminalità politica organizzata

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Democrazia all’occidentale: guerre, golpe, criminalità politica organizzata

Terzo millennio, il terrorismo al potere

di Fulvio Grimaldi

Nel canale Youtube di Fulvio Grimaldi (prima che lo cancellino)

https://www.youtube.com/watch?v=3HIV4pil63M

https://youtu.be/3HIV4pil63M

Il leader del più sanguinario terrorismo per bande mai visto, il cui oscurantismo dall’intolleranza stragista viene salutato dalle Democrazie Occidentali come rinnovamento e restaurazione del diritto e delle libertà. Come stupirsi, cosa che ai giusti e sani è naturale che occorra di fronte all’ossimoro democrazia dei tagliagole, quando chi riesce a formularlo e imporlo è anche un paese fondatore della rinata democrazia europea? Chi è che vedi sbraitare, urlare in preda a incontrollata (?) ira, in evidente stato di agitazione psicomotoria e cerebrale, urgentemente bisognosa di un TSO? E’ la capa del tuo governo, insignita, da fonte autorevole e creduta credibile, della corona di “Politica più potente d’Europa”. O “del mondo”? Il delirio collettivo, attentamente coltivato, espresso in addomesticamento dei non fidati e scatenamento dei fidati lo giustificherebbe.

Il tasso di criminalità delle classi dirigenti occidentali è al diapason, all’apice, al colmo. Scoperto, senza più ritegno. L’uso del terrore e dei suoi delegati, militanti e propagandisti si estende dalla bassa forza mercenaria coltivata in Ucraina, Medioriente e qua e là dove ci sia da predare, alle massime cariche degli Stati, dei governi, delle aristocrazie dell’intelletto accomodate dove funzionano a dovere…

Siamo finalmente arrivati, senza più infingimenti, tipo la ”Costituzione più bella del mondo”, o “la Comunità Democratica”, apertamente finalizzati alla conservazione e all’incremento del potere ricavato dall’assembramento di ricchezza. Ricchezze ontologicamente predate, succhiate dalle vene di 8,2 miliardi di umanità: 8 di materia grezza su pascoli dall’erba secca o sparuta, possibilmente riducendone ulteriormente spazi e numeri, e 0,2 di cani-pastore, pastori e mungitori.

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Fabrizio Casari: Guerra, la ricetta NATO per l’Europa

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Guerra, la ricetta NATO per l’Europa

di Fabrizio Casari

Prepararsi alla guerra con la Russia. Folle, no? Eppure è diventato questo il cuore del discorso politico atlantista in Europa. Per Mark Rutte, neo segretario generale della NATO, ci si deve preparare a una mentalità da guerra” e a lui fanno eco governi, politicanti, militari e giornalisti alle dipendenze dell’establishment atlantista.

Nel Vecchio Continente, ormai ridotto a strumento della politica USA, pare si siano esaurite la ragione e il buon senso che dovrebbero sempre essere presenti come precondizione nel discorso politico. Termini che fino a pochi anni or sono erano banditi sono divenuti essenza del discorso pubblico, inferti a una opinione pubblica narcolettica. La tecnica comunicativa è quella della “rana bollita”, così aggettivata da Noam Chomsky: fuor di metafora consiste nel proporre progressivamente ma costantemente uno scenario che, di colpo, susciterebbe una immediata reazione oppositiva, ma che invece, diluito e manipolato, abitua alla concettualità e ridurre al minimo le contrarietà.

Tanta è la compenetrazione del sistema capitalistico europeo con il deep state statunitense, che persino il rischio di un orientamento meno aggressivo con Mosca da parte del prossimo presidente USA, getta nel panico la UE, preoccupatissima per un possibile cambio di rotta della Casa Bianca sulla guerra in Ucraina. La UE si trova ad aver tagliato i ponti alle sue spalle nel rapporto con la Russia con cui teme ora che Washington riapra il dialogo per ragioni strategiche.

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Enrico Tomaselli: E se…

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E se…

di Enrico Tomaselli

Gli accadimenti in Siria sono stati così inaspettati e veloci che, diciamolo, probabilmente non stiamo affatto riuscendo a comprenderli bene – e oltretutto cerchiamo tutti, comprensibilmente, di coglierne il senso altrettanto velocemente, senza darci il giusto tempo per far sedimentare ciò che sappiamo, e per far emergere quel che ancora non sappiamo. Certo, ci sono degli elementi che difficilmente possono cambiare di segno, e sicuramente alcune macro-tendenze si confermeranno quali appaiono già adesso. È però probabile – o quanto meno assai possibile – che ve ne siano altri, rispetto ai quali stiamo forse traendo conclusioni affrettate, e applicando chiavi di letture inesatte.

Questo, pertanto, vuole essere un esercizio assolutamente ipotetico, un ulteriore tentativo di interpretazione a mente tiepida (ancora troppo presto per poter dire a mente fredda…), ma tutto sommato non meno di tanti altri che stiamo facendo negli ultimi giorni.

Partirò da un presupposto, sul quale mi sono spesso soffermato, ovviamente in termini generali, ovvero che non necessariamente ciò che accade deve essere letto in una chiave deterministica, in cui cioè ogni cosa accade in quanto prodotta dalla specifica volontà di qualcuno. Questo genere di chiave di lettura, che ovviamente si basa anche sul riconoscimento che vi sono precisi interessi (di questo o quel soggetto) affinché una determinata cosa si verifichi, resta comunque basato su un processo deduttivo, logico ma non necessariamente vero. Se A desiderava che B cadesse, e B cade, è stato A a spingerlo.

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Emiliano Brancaccio: Cortocircuito tra austerity Ue e nuovo militarismo

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Cortocircuito tra austerity Ue e nuovo militarismo

di Emiliano Brancaccio

I vincoli di bilancio violati da tutti i Paesi europei e la nuova disciplina fiscale dell’Unione è già in crisi. E ora arrivano i pannicelli caldi della Bce e i diktat per il riarmo di Trump

Sono in vigore solo da pochi mesi, eppure le nuove regole di bilancio europee scricchiolano già come un vecchio rudere. Le precedenti regole fiscali dell’Ue erano state criticate e poi sospese anche perché a molti risultava pressoché impossibile rispettarle.

Dal 1998, hanno violato i vincoli di bilancio europei: la Slovenia nel 57% dei casi, l’Austria, il Belgio e la Spagna nel 61%, il Portogallo e la Grecia nel 70%, l’Italia nel 74%, la Francia nel 78%. Persino la Germania ha dovuto mettere in conto un 47% di violazioni di quei vincoli che i suoi governi hanno comunque accanitamente difeso in sede europea.

Come osservato anche dal Fondo Monetario Internazionale, un sistema di norme che viene così frequentemente disatteso rischia di perdere credibilità fino a implodere. Le nuove regole fiscali europee, approvate ad aprile, avrebbero dovuto ripulire questa macchia. Il problema è che, stando alle prime verifiche, le violazioni sembrano addirittura in aumento rispetto al passato. Non solo Italia, Francia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia, Slovacchia e Romania sono già state sottoposte alla procedura per deficit eccessivo.

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