[SinistraInRete] Pierluigi Fagan: Democrazia o barbarie

Rassegna 26/04/2024

Pierluigi FaganDemocrazia o barbarie

disponibili i primi due capitoli:
1) Critica della democrazia pervertita;
2) La democrazia radicale

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Democrazia o barbarie

di Pierluigi Fagan

La barbarie della guerra di Troia e1699552802927Il punto centrale della comparazione tra democrazia antica e moderna è nello spirito del tempo, solo dopo nelle forme giuridiche e procedurali. Semplicemente, ciò che diede il nome alla cosa democratica ateniese e greca era lo spirito forte di un tempo che voleva portare i cittadini a governarsi da sé, senza intermediari o strati superiori. Quella moderna invece, pone una funzione intermedia tra cittadini e potere. Essa ha due caratteristiche principali, richiede una delega basata su riconoscimenti di competenza nel portare avanti le istanze delegate; quindi, punta a limitare la partecipazione politica a un singolo atto di voto ogni quattro anni del delegante. Se la originaria democrazia attraeva la gente, la seconda la respinge. Questa seconda è di natura spettatoriale (e infatti ormai è un cardine della società dello spettacolo), la prima mobilita scopo, intento e fine, motivazione, coinvolgimento, azione, partecipazione. Tutte cose che si vogliono evitare dal fronte oligarchico.

La prima forma, la unica e originaria, oggi la diciamo “diretta” solo perché dopo abbiamo inventato la delegata, ma dire che la delegata merita comunque il nome di democrazia è nostro arbitrio. Cioè se si toglie l’essenza a una cosa, quella cosa cambia sostanza o si può continuare a trattarla della stessa sostanza nonostante la si sia devitalizzata? Non importa se ci sono o meno effettive cause di forza maggiore nel doverlo fare, in sé per sé la cosa senza essenza cambia di fatto sostanza. Una democrazia delegata è una variante light della forma oligarchica, non una variante light di democrazia propriamente detta. Salta ad altra categoria come bruco a farfalla, ghiaccio ad acqua a gas.

Al fondo di questa questione, c’è una contraddizione fondamentale.

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Gianandrea Gaiani: Da Israele un blando attacco all’Iran ma la vera sfida è con l’Occidente

analisidifesa

Da Israele un blando attacco all’Iran ma la vera sfida è con l’Occidente

di Gianandrea Gaiani

8054001 13220246 iran israele droni.jpgLa contro-rappresaglia israeliana per i raid con droni e missili di Teheran che avevano colpito la base aerea di Nevatim e installazioni militari nel Golan alla fine ha avuto luogo la notte del 19 aprile a quanto sembra con un raid limitato all’impiego di 3 UAV a lungo raggio armati con altrettanti missili lanciati contro una installazione radar della difesa aerea iraniana a Isfahan, nell’Iran centrale.

Lo ha detto una fonte governativa statunitense alla emittente televisiva ABC parlando di “attacco limitato” aggiungendo che il radar faceva parte della struttura di difesa posta a protezione dell’installazione per la ricerca nucleare di Natanz, programma che secondo diversi osservatori avrebbe potuto essere nel mirino di Israele col rischio di scatenare una ulteriore massiccia risposta iraniana.

Secondo la fonte della ABC “Israele intendeva far capire all’Iran di avere queste capacità” anche se i tre UAV con la stella di David sembra siano stati abbattuti dalla difesa aerea iraniana: al tempo stesso il governo israeliano ha eseguito la rappresaglia che Stati Uniti ed europei avevano cercato di scongiurare per evitare ulteriori escalation ma l’ha effettuata in modo quasi simbolico senza probabilmente scatenare ulteriori risposte dall’Iran.

Israele del resto non intendeva rinunciare al “diritto di replica” (il 18 aprile il ministro della Difesa Yoav Galant aveva detto “Israele deve sapere che ha libertà di azione per fare ciò che vuole, e c’è la garanzia che ciò che è deciso venga anche attuato”) pur senza provocare troppi danni all’Iran e soprattutto senza irritare troppo gli alleati occidentali. Funzionari statunitensi avevano infatti negato il 18 aprile che l’amministrazione Biden avesse dato il via libera a un’operazione terrestre israeliana a Rafah, ultimo baluardo di Hamas nella Striscia di Gaza se Israele avesse rinunciato a colpire l’Iran.

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Algamica: Il punto in questione

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Il punto in questione

di Algamica*

Ci sono momenti della storia dove non si ammettono fraintesi e tentennamenti, dove si è chiamati a stare da una parte contro l’altra. Questi anni ’20 del 21esimo secolo rappresentano esattamente il punto di arrivo di una svolta in cui la storia impersonale del modo di produzione capitalistico sta presentando il conto al mondo occidentale per i suoi crimini compiuti per oltre 500 anni in molte aree del mondo e da cui ha tratto straordinari benefici che ha distribuito a cascata fra le varie classi sociali.

Inutile fingere, non siamo in presenza di una crisi ciclica del “capitalismo”, no, siamo di fronte alla crisi generale del modo di produzione capitalistico e del suo epicentro: l’Occidente e fra questo gli Usa.

Contrariamente all’ultimo secolo appena trascorso l’Occidente è privo di prospettiva e proprio per questo diviene una variabile impazzita ma zavorrata nelle sue ali perché priva di quella straordinaria accumulazione di valore che gli permetteva di essere il faro del mondo nei confronti di altri paesi che facevano fatica a rincorrerlo proprio perché non avevano alle spalle secoli di dominio colonialista e imperialista.

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Andrea Zhok: Il momento esatto in cui si è deciso il suicidio di Ucraina ed Europa

lantidiplomatico

Il momento esatto in cui si è deciso il suicidio di Ucraina ed Europa

di Andrea Zhok*

Tre giorni fa, il 16 aprile, l’autorevolissima rivista di provata fede atlantista “Foreign Affairs” ha pubblicato un articolo che mette la parola fine a tutte le chiacchiere intorno alle intenzioni di Putin di invadere l’Europa, di arrivare a Lisbona, di abbeverare i cavalli nelle acquasantiere di San Pietro, e con ciò anche alla relativa reazione bellicista da parte europea.

L’articolo è a firma di un docente dell’Henry A. Kissinger Center for Global Affairs della Johns Hopkins School of Advanced International Studies, e di un associato del think tank RAND, ex Senior Fellow per la Russia e l’Eurasia all’International Institute for Strategic Studies. Praticamente la crema dei falchi atlantisti.

Nell’articolo si ricostruisce, con documentazione, lo sviluppo di una trattativa tra Putin e Zelensky (tra le rispettive delegazioni) dal 28 febbraio 2022 (neanche una settimana dopo l’invasione russa!) fino alla fine di aprile. La trattativa ha avuto luogo in parte in Bielorussia e in parte in Turchia.

DI questa trattativa era già stata fatta menzione più volte, tra l’altro anche dallo stesso Putin che ne aveva mostrata una bozza ai leader delle nazioni africane e dall’ex primo ministro israeliano Bennett.

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Paolo Ferrero: Gaza, le accuse di Israele a Unrwa sono fake news. L’Italia torni subito a finanziarla

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Gaza, le accuse di Israele a Unrwa sono fake news. L’Italia torni subito a finanziarla

di Paolo Ferrero

Il 26 gennaio, il Commissario generale dell’agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti ai palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, ha aperto un’indagine su alcuni dipendenti sospettati di essere coinvolti negli attacchi di Hamas del 7 ottobre in Israele e li ha licenziati. Tutto questo sulla sola segnalazione da parte delle autorità israeliane che non hanno a oggi prodotto alcun dossier con prove documentali. Sempre sulla base di questa segnalazione, vari paesi tra cui Australia, Canada, Italia, Germania, Finlandia, Paesi Bassi, Svizzera, Gran Bretagna e Scozia hanno sospeso i finanziamenti alla Unrwa.

Alcuni giorni fa il Guardian, giornale inglese, ha pubblicato l’anteprima dei risultati della commissione d’inchiesta indipendente guidata dall’ex ministra degli Esteri francese Catherine Colonna, che ha condotto una indagine sulle accuse presentate da Israele all’indomani dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre dello scorso anno. Da questa inchiesta risulta che Israele non ha fornito – 3 mesi dopo la denuncia – prove a sostegno delle sue affermazioni secondo le quali i dipendenti dell’agenzia Unrwa dell’Onu a Gaza avrebbero legami con organizzazioni terroristiche.

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Ken Loach: Storie di solidarietà e resistenza

jacobin

Storie di solidarietà e resistenza

Ed Rampell intervista Ken Loach

Ken Loach parla del suo ultimo film, The Old Oak, e riflette sulle forme di lotta e alleanza tra chi è costretto a vendere il proprio lavoro e chi ne trae profitto

Base web jacobin 20240420 082412 0000 1536x560.pngDa quando la commedia televisiva della Bbc Cathy Come Home del 1966 ha innescato cambiamenti nelle leggi inglesi sui senzatetto, Ken Loach, figlio di un elettricista, ha fatto film su personaggi ordinari e semplici. Persone alle prese con sistemi capitalisti ingiusti e crudeli – dalla classe operaia in Gran Bretagna alla guerra dei Contras in Nicaragua, fino alle ribellioni irlandesi di Los Angeles con la campagna di organizzazione sindacale Justice for Janitors per azioni segrete a Belfast – così come documentari come quello del 2016 In conversazione con Jeremy Corbyn, il leader di sinistra del partito laburista.

The Old Oak è l’ultimo film sulle sofferenze della gente comune dell’infaticabile esponente socialista. Dopo una lunga e illustre carriera nel mettere in scena e documentare i dannati della terra, The Old Oak è anche l’ultimo lungometraggio di Ken Loach, che compirà ottantotto anni il prossimo giugno. Tra i tanti riconoscimenti di Loach ci sono due Palme d’Oro al Festival di Cannes, tre Premi César e tre Premi Bafta, ma nel 1977 rifiutò la medaglia di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico. Per lo storico del cinema David Thomson, «nella sua dedizione e serietà, è una figura esemplare». Lo abbiamo intervistato via Zoom mentre si trovava nel West Country, in Inghilterra.

* * * *

Raccontaci di The Old Oak, cosa ti ha spinto a girare un film su questa storia?

Avevamo girato due film nel nord-est [dell’Inghilterra]. Uno [Io, Daniel Blake, 2016] sul modo in cui alle persone vulnerabili viene negato il sostegno finanziario a cui hanno diritto da parte di uno Stato che vede la povertà come un modo per disciplinare la working class. Il secondo film [Sorry We Missed You, 2019] parlava dell’insicurezza del lavoro e della gig economy. Non hai sicurezza sul lavoro, sei visto come un lavoratore indipendente, quando in realtà sei un dipendente, ma non hai i diritti di un dipendente, anzi, non hai alcun diritto sul lavoro. Riguardava le conseguenze di tutto questo sulla vita familiare.

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Roberto Iannuzzi: Scontro Israele-Iran e rischi di regionalizzazione del conflitto

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Scontro Israele-Iran e rischi di regionalizzazione del conflitto

di Roberto Iannuzzi

I missili iraniani nei cieli d’Israele segnano una svolta negli equilibri mediorientali

d848fed7 31af 470d a097 f7cb41b6921f 780x519Come di consueto, molti commentatori occidentali hanno perlopiù travisato, talvolta demonizzato, o perfino deriso, le ragioni e la portata della rappresaglia iraniana compiuta in territorio israeliano.

Essa, facendo emergere la pluriennale “guerra ombra” fra Israele e Iran, finora combattuta prevalentemente “per procura” attraverso una pletora di attori regionali, e trasformandola per la prima volta in un confronto militare diretto, segna nondimeno una pericolosa svolta negli equilibri mediorientali.

Dopo alcuni giorni di attesa, la risposta più volte ventilata dal governo Netanyahu, ma scoraggiata da Washington, è giunta stanotte sotto forma di un attacco limitato, compiuto da piccoli droni (quadricotteri) contro la base militare di Isfahan.

Un episodio che non sembra aver provocato danni (i quadricotteri sono stati abbattuti), e parrebbe un segnale di de-escalation, se non vi saranno altri attacchi nei prossimi giorni (maggiori dettagli più in basso nell’articolo).

La possibilità di uno scontro diretto fra Israele e Iran è però ora una realtà regionale con cui bisogna fare i conti.

Gaza come chiave di volta

La rappresaglia iraniana, consumatasi la notte fra sabato 13 e domenica 14 aprile in conseguenza del precedente bombardamento israeliano del consolato iraniano a Damasco, non rappresenta semplicemente un inedito capitolo del confronto regionale fra Israele e Iran.

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Giulio De Petra: SoftWar

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SoftWar

di Giulio De Petra

Alla digitalizzazione della guerra corrisponde la militarizzazione del digitale. L’utilizzo dell’AI nella guerra di Gaza è solo la parte visibile di una più vasta e intensa torsione bellica della produzione digitale

softwar 42 1536x1024.jpgLavender

Da quando l’inchiesta di Yuval Abrahm sulla rivista israeliana +972 Magazine ha raccontato come l’esercito israeliano stia intensamente utilizzando sistemi basati su intelligenza artificiale nella guerra di Gaza, grande è stata l’attenzione che la stampa ha dedicato al funzionamento e all’uso di ‘Lavender’, che è il nome del sistema di AI appositamente realizzato.

In particolare opinionisti ed esperti sono rimasti colpiti dal fatto che l’individuazione dei bersagli da uccidere fosse di fatto delegata al sistema digitale senza alcuna revisione o intervento da parte di militari ‘umani’.

Poiché i bersagli da uccidere sono i militanti di Hamas ci si è interrogati su quali fossero i criteri con cui il sistema individua chi sia un militante di Hamas, attribuendo anche un rango al bersaglio (capo, ufficiale, soldato semplice, fiancheggiatore), rango che, come vedremo, genera effetti significativi nelle procedure di ‘eliminazione’ del bersaglio.

E poi quali fossero gli indizi, sempre valutati dal sistema automatico, che associavano il bersaglio così individuato a un punto effettivo sulla mappa di Gaza da colpire.

E, in presenza di percentuali di errore stimate del 10% dei casi, si è criticata l’assenza di ogni controllo umano, che forse avrebbe diminuito di qualche punto percentuale la possibilità di un falso positivo, cioè di far diventare un bersaglio chi non era un militante di Hamas.

Si sono cioè utilizzati, nell’analisi e nel commento, gli stessi argomenti di valutazione di un sistema digitale automatico di predizione che si sarebbero utilizzati per una campagna di marketing progettata per vendere aspirapolvere.

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Andrea Pannone: Lenin a Wall Street: imperialismo e centralizzazione nel XXI secolo (II)

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Lenin a Wall Street: imperialismo e centralizzazione nel XXI secolo (II)

di Andrea Pannone

0e99dc a6a58a37ca104f97a121b902416cff99mv2A 100 anni dalla morte di Lenin (21 gennaio 1924) e nel pieno di una fase storica nuovamente caratterizzata dalla contrapposizione diretta tra superpotenze mondiali, una riflessione critica sul concetto di imperialismo formulato dal leader bolscevico nel 1917 assume una specifica rilevanza. Partendo da qui, questo scritto si focalizza sul nesso tra eccesso di capacità produttiva e centralizzazione internazionale dei capitali alla luce del processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale che sta caratterizzando il XXI secolo. La nostra tesi, infatti, è che i connotati assunti da questi tre fenomeni negli ultimi quindici anni concorrano in modo decisivo a interpretare la natura delle recenti tensioni belliche tra alcune nazioni.

Il lavoro è organizzato come segue. Nel primo paragrafo si esamina la categoria centrale della teoria dell’imperialismo di Lenin ossia il concetto di esportazione di capitale in eccesso. Nel secondo paragrafo si cerca di evidenziare l’attuale rilevanza di questa categoria concettuale alla luce di quella che può essere considerata una sua proxy: gli investimenti diretti esteri. Nel terzo paragrafo si esamina il nesso tra eccesso di capacità e centralizzazione del capitale nella sua evoluzione storica, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. Il quarto paragrafo analizza la crescente influenza delle oligarchie economico-finanziarie sulle politiche degli Stati e sulle relazioni internazionali. Il quinto paragrafo conclude evidenziando il ruolo dei conflitti bellici nell’equilibrio instabile tra gruppi di potere che perseguono logiche di accumulazione diverse.

Pubblichiamo oggi la seconda parte dello scritto (A.P.)

Qui la prima parte

* * * *

IV. Oligarchie economico-finanziarie e potere politico

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Elisabetta Teghil: Questioni di genere nella sinistra di classe

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Questioni di genere nella sinistra di classe

di Elisabetta Teghil

olga rozanova 1916.pngMi sta a cuore mettere qualche punto fermo sulla questione che viene chiamata ormai abitualmente <questione gender> (anche se già chiamarla così e definirla come se fosse una questione a parte significa che stiamo facendo il gioco del potere che mette un gruppo sociale contro l’altro, una guerra tra poveri insomma) perché è necessario sapere da dove si parte e se ci sono delle premesse condivise. Io sono materialista e parto da questo terreno. Quindi, per me, ne discendono alcuni posizionamenti di fondo.

Penso che l’approccio etico alle questioni, quali che siano, non ci dovrebbe appartenere, noi non ragioniamo in termini di giusto-sbagliato, bene-male, buoni-cattivi… riteniamo che la storia sia lotta di classe, verità di una classe contro l’altra, rapporti di forza… È chiaro che abbiamo dei valori, ma la scala di valori non è una premessa da imporre, viene dalle lotte che portiamo avanti contro lo sfruttamento, l’oppressione, la soggezione… dove possiamo trovare compagni/e di strada con cui sperare di uscire da questa società e con cui sperare magari di costruire una scala di valori comune.

Dovremmo evitare accuratamente di parlare di natura, di naturalità delle cose, di natura come riferimento perché sappiamo che tutto quello che ci circonda è un prodotto sociale e una costruzione sociale, natura compresa. A quale naturalità dovremmo fare riferimento? a quella del neolitico? a quella del secolo scorso? a quella di ieri? Illuminanti in questo senso sono gli scritti di Colette Guillaumin, femminista materialista francese, di cui in Italia è stato tradotto poco ma è uscito nel 2020 Sesso, razza e pratica del potere. L’idea di natura.

Ci sono esseri umani che hanno organi riproduttivi di un tipo e vengono chiamati maschi, esseri umani che ne hanno altri e vengono chiamati femmine, altre varianti minoritarie che non vengono nemmeno prese in considerazione e, in questa società, corrette alla nascita, ma questo è un dato, evitiamo di aggiungere la specificazione di natura perché ci trascina su un terreno senza costrutto e che non ci appartiene.

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Alberto Bradanini: Le tecniche dell’Impero e il disgusto delle coscienze sane

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Le tecniche dell’Impero e il disgusto delle coscienze sane

di Alberto Bradanini

1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte.

Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più esecrabile è costituito dall’emergere della verità. Avendo coltivato l’impudenza di esporre al mondo i crimini commessi da americani e britannici in Iraq e Afganistan, esercitando la professione di giornalista, egli deve morire!

Quel bel tomo di H. Kissinger affermò un giorno che occorreva far rinsavire il popolo cileno che aveva osato votare per Allende, con le buone o con le cattive maniere. In analogia, secondo l’avariata narrativa a guida Usa, democrazia e verità sono valori da difendere solo se non interferiscono con le loro impudicizie e quelle dei loro compagni di merenda. Dietro tale narrativa si celano individui spietati, affetti da gravi patologie e per i quali ricchezze e potere non sono mai abbastanza.

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Pino Arlacchi: La guerra (non dichiarata) tra Stati Uniti ed Europa

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La guerra (non dichiarata) tra Stati Uniti ed Europa

di Pino Arlacchi

Il detto latino “dagli amici mi guardi Iddio…”, è stato applicato alla geopolitica odierna da Henry Kissinger con la famosa battuta “Essere nemici degli Stati Uniti può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”.

Ed è proprio così che può essere definito l’attuale rapporto tra gli USA e l’Europa.

Dentro lo scontro palese con l’Ucraina alberga infatti, un conflitto non dichiarato ma, appunto, fatale che vede l’Europa soccombere alla prepotenza d’oltreatlantico con danni immensi e di lungo periodo alla sua economia e alla sua popolazione.

Nessuno parla dei veri termini della questione dei rifornimenti di energia. Troverete centinaia di articoli su quanto siamo stati bravi a ridurre le importazioni di gas e petrolio dalla Russia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, senza che quasi alcuno di essi parli dei folli prezzi della bolletta energetica, che sono il costo vero della guerra.

Pressando l’Ucraina a combattere invece di concludere un accordo già quasi negoziato dopo poche settimane dallo scoppio delle ostilità, spingendo gli alleati europei verso sanzioni estreme contro Mosca, e distruggendo il gasdotto Nord Stream nel settembre 2022, gli Stati Uniti si sono assicurati il primo posto tra gli esportatori di gas liquefatto verso l’Europa e verso il mondo.

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Antiper: Merci (non grazie)

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Merci (non grazie)

di Antiper

Alcuni anni fa ci è capitato di partecipare a un ciclo di incontri di formazione sul Capitale di Marx organizzati da un gruppo di studenti di Pisa, tra cui spiccavano alcuni dottorandi presso la Scuola Normale Superiore. Una sera, avendo il relatore principale di questi incontri usato spesso la parola “merce” come di qualcosa di caratteristico della sola fase industriale del modo di produzione capitalistico, decidemmo di rivolgergli la seguente domanda: secondo te, compagno, le merci esistono solo dal XVIII-XIX secolo? Il relatore principale, forse preso un po’ alla sprovvista, rispose affermativamente. Di fronte alla nostra perplessità volle rispondere un secondo relatore, meno principale, secondo il quale la risposta del relatore principale era da considerarsi imprecisa perché in realtà le merci avevano cominciato a esistere già almeno dal XV-XVI secolo.

Evidentemente noi, il relatore principale e il relatore meno principale avevamo letto in 3 modi diversi come Marx parla delle merci nel Capitale.

Il primo libro del Capitale inizia con l’analisi della merce perché la merce, dice Marx, è la forma attraverso cui si presenta la ricchezza nelle società in cui domina il modo di produzione capitalistico.

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Carola Frediani: Guerra in Ucraina. Il ruolo di droni, della cyberwarfare (e delle altre tecnologie emergenti)

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Guerra in Ucraina. Il ruolo di droni, della cyberwarfare (e delle altre tecnologie emergenti)

di Carola Frediani

Negli scorsi giorni un gruppo di hacktivisti ucraini chiamato Cyber Resistance ha affermato su Telegram di aver violato i sistemi informatici di un produttore russo di droni, Albatross, sottraendo 100 gigabyte di dati, e di stare coordinando una serie di pubblicazioni dettagliate col sito InformNapalm. Che in un articolo del 15 aprile sostiene di poter confermare come l’azienda di droni agricoli Albatross sarebbe coinvolta nello sviluppo dei droni “suicidi” Shahed, progettati dall’Iran, e impiegati dalla Russia contro l’Ucraina.

A febbraio un misterioso gruppo di hacker chiamati Prana Network aveva diffuso un leak su un’azienda militare iraniana, facendo circolare presunti documenti riservati (non confermati) secondo i quali, dall’inizio della guerra in Ucraina, la Russia avrebbe acquistato almeno 6.000 droni Shahed 136. E avrebbe ricevuto un ampio aiuto per la creazione di linee di produzione locali per i droni, pagando questi accordi in parte in lingotti d’oro (secondo i documenti, i russi avrebbero pagato quasi 200mila dollari a drone e il prezzo includerebbe il supporto per mettere in piedi una produzione autonoma, per poi far scendere il costo unitario a 48mila). “Ora la Russia sta cercando di acquistare e produrre migliaia di droni più avanzati”, scrive Hareetz, che ha esaminato i documenti e li considera autentici.

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