Insurrezione in Honduras, ma i media non lo dicono!

C’è una insurrezione in corso, nel silenzio, perché i media del fake globale non lo dicono e le notizie trapelano solo dalle reti informative al di fuori del sistema Nato: si tratta dell’Honduras che sta insorgendo dopo un decennio di dittatura americana esplicita, preceduta da un vero e proprio saccheggio delle multinazionali appoggiate dalle armi e dai servizi di Washington.

 

“C’è una insurrezione in corso, ma voi non lo sapete, perché i media del fake globale non ve lo dicono”

Il Simplicissimus*

C’è una insurrezione in corso, ma voi non lo sapete, perché i media del fake globale non ve lo dicono e le notizie trapelano solo dalle reti informative al di fuori del sistema Nato: si tratta dell’Honduras che sta insorgendo dopo un decennio di dittatura americana esplicita, preceduta da un vero e proprio saccheggio delle multinazionali appoggiate dalle armi e dai servizi di Washington tanto da fare del Paese quasi il prototipo della politica Usa in America Latina. Sulle ragioni vicine e lontane di ciò che sta accadendo potete leggere questo articolo. Consideratelo come una sorta di introduzione all’ipocrisia dell’impero che ha il suo rito fondativo, il suo simbolo, il suo salmo goglottante di tacchino nel giorno del Ringraziamento che apre la sagra bottegaia e consumistica del Natale.

Già, ma in prima luogo cosa ringraziano fin dal 1637 anno nel quale la festa divenne in qualche modo ufficiale? Il massacro di 700 indiani Pequot bruciati vivi in un loro villaggio dai pii padri pellegrini ( e da truppaglia inglese di supporto) i quali pochi anni prima erano stati salvati dalla morte per fame da quegli stessi nativi che insegnarono loro a coltivare mais e ad allevare tacchini. Che infatti vengono ritualmente mangiati alla festa. Questo massacro passato poi alla storia con il nome di Mistyc River è un’ombra che è scortese evocare con gli amici americani che del resto hanno fatto di tutto per attenuare il peso e la portata di questa fondazione storica degli Usa o dicendo che il villaggio Pequot era stato dato alle fiamme dai pellerossa alleati o che comunque si trattò di una sorta di un incidente che si voleva evitare (quante volte lo abbiamo sentito) scontrandosi però frontalmente con i diari del comandante dell’impresa, tale John Mason, divenuto una sorta di padre della patria che dicono tutt’altro: “Avevamo precedentemente stabilito di annientarli passandoli a fil di spada e di mettere in salvo il bottino”. Ma è stato il primo passo di un tentato genocidio.

Naturalmente sono pochissimi anche tra gli americani stessi quelli che conoscono questa vicenda in tutto il suo orrore, non diversamente da come noi bambini delle colonie appena acquisite eravamo ingenuamente esposti nel buio del cinema all’eroica guerra di liberazione del Texas dal Messico con Davy Crocket dotato di colbacco e coda d’ordinanza che strenuamente difendeva Fort Alamo dalle truppe del tracotante Santa Ana. Un vero peccato non sapere che il Texas si era ribellato perché il Messico aveva abolito la schiavitù. Ma d’altra chi se ne frega, non sappiamo forse che Edison ha inventato la lampadina quando questa era già commercializzata in Germania 30 anni prima e da 20 in Gran Bretagna? Tuttavia non diversamente da questa temperie in un popolare quiz della tv di stato è stato chiesto in che anno gli Usa avessero fermato i bombardamenti sulla Cambogia.
Una formulazione straordinariamente elusiva che tende a far pensare che i bombardamenti fossero di altri e non degli stessi States e comunque mette l’accento sul fatto che il massacro per via aerea  in cui sono morte direttamente non meno di 800 mila persone, si fosse benignamente fermato.

Del resto la Cambogia è un caso di scuola della narrativa distorta, perché la strage messa in atto nel tentativo di fermare i vietcong e impedire che il Paese si incamminasse su un regime simile a quello di Ho Ci Min, moltiplicata dalla distruzione dell’agricoltura e dalle epidemie portò al potere praticamente senza alcuna resistenza anzi sull’onda del favore popolare il pazzo Pol Pot e i Khmer Rossi, così che adesso tutta l’immensa strage figura come “genocidio comunista”. Recentemente una ex guardia personale del dittatore ha detto: “Non sapevamo nulla del comunismo: le elite corrotte ci avevano venduto all’occidente, eravamo solo indignati e pronti alla vendetta”.  Di fatto insomma tutti i massacri conpiuti dall’occidente quando non vengono celebrati sono ignorati, nascosti, attribuiti ad altri: se forse sappiamo o immaginiamo qualcosa sulla Siria, l’Iraq e l’Afganistan, non sappiamo nulla o quasi del Ruanda, di Timor Ovest, di Papua Nuova Guinea, del Congo, dello Yemen, dell’Indonesia  e di altre dozzine di posti, troppi per istituire feste e mangiare ritualmente  tacchini, iguane, draghi di comodo, tortillas, banane anche perché ne andrebbe della amata fitness. E poi anche quando è impossibile nascondere tutto sotto il tappeto insanguinato le stragi sono definite “diverse” da quelle di altri, quasi sempre debitamente gonfiate,  e collaterali  a più alti scopi.

Vedete, tutta l’escalation a suon di minacce fra Trump e la Corea del Nord con i suoi esperimenti missilistici peraltro perfettamente legittimi e non diversi da quelli che quotidianamente avvengono in occidente, è in gran parte funzionale, sia ad affrontare i problemi interni della Casa Bianca, sia a sostenere con la produzione e l’acquisizione di armi l’economia della Corea del Sud (e di Taiwan ) che con la crisi del 2008 si è “seduta” rischiando di innescare mutamenti anche politici con un effetto terremoto sulla “cintura americana” del Pacifico. Ma questa ossessiva paura di Washington nei confronti delle armi altrui, ancorché ben lontane dallo strumento militare che gli Usa possono mettere in campo depredando mezzo mondo e lasciando senza tutele gran parte della propria popolazione, risente al suo fondo della cattiva coscienza e della paura della vendetta che si nasconde come un amaro ripieno all’interno dei fastosi tacchini del ringraziamento.

*Pubblichiamo su gentile concessione dell’Autore.

P.s. Foto tratta dalla pagina Facebook di Rete solidarietà Rivoluzione Bolivariana

da: www.lantidiplomatico.it

 


 

Honduras: la polizia in sciopero contro la repressione

Un funzionario della polizia dell’Honduras ha dichiarato alla rete televisiva locale, l’UNE, che alcuni ufficiali faranno uno sciopero della fame perché sono stanchi di prendere ordini da politici corrotti per reprimere innocenti

da teleSUR

Esprimendo sgomento per la repressione di Stato in corso in Honduras sotto la stretta presidenziale, di Juan Orlando Hernandez – JOH – e l’evidente frode elettorale, la polizia nazionale nella capitale honduregna di Tegucigalpa ha indetto uno sciopero nazionale a partire da martedì.

Un funzionario della polizia dell’Honduras ha dichiarato alla rete televisiva locale, l’UNE, che alcuni ufficiali faranno uno sciopero della fame perché sono stanchi di prendere ordini da politici corrotti per reprimere innocenti.

“Non possiamo violare diritti umani, se lo facciamo prima o poi pagheremo il debito, in realtà stiamo già pagando per le violazioni commesse dai nostri superiori in passato, per favore riconsiderate e comprendete. Non vogliamo infangare la nostra nobile istituzione“, si legge nella dichiarazione ufficiale rilasciata dalla polizia nazionale.

L’ufficiale ha anche aggiunto che gli agenti in divisa stanno chiedendo condizioni migliori, che sono state negate dal vice direttore, José Aguilar, dopo che un capitano della polizia è stato licenziato.

da: www.lantidiplomatico.it

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