“Da Colonia a Trento: quando le donne sono ridotte a oggetto”

Da Colonia a Trento la lezione è sempre la stessa: nel terzo millennio le donne possono anche diventare prime ministre, amministratrici delegate, segretarie di partito, astronaute ma si ritrovano ancora a dover aver paura a camminare per strada, perché non sanno cosa può accadere loro. La violenza contro le donne è la punta di un iceberg, la cui base è l’idea del possesso.

 

DA COLONIA A TRENTO: QUANDO LE DONNE SONO RIDOTTE A OGGETTO

Da Colonia a Trento la lezione è sempre la stessa: nel terzo millennio le donne possono anche diventare prime ministre, amministratrici delegate, segretarie di partito, astronaute ma si ritrovano ancora a dover aver paura a camminare per strada, perché non sanno cosa può accadere loro. La violenza contro le donne è la punta di un iceberg, la cui base è l’idea del possesso.

 

Nel leggere le testimonianze delle donne molestate a Trento durante l’ultimo raduno degli alpini, il pensiero è andato immediatamente a Colonia.

Nella notte di San Silvestro del 2015 un migliaio di uomini si sono dati appuntamento nella piazza della stazione della città tedesca per “festeggiare” a modo loro l’arrivo del nuovo anno. La loro “festa” si è tradotta in un incubo per centinaia di donne che erano in piazza. Tante sono state infatti le testimonianze di donne circondate, palpate, molestate sia verbalmente sia fisicamente. Ci sono state anche alcune denunce per stupro. La “festa” è andata avanti per ore, sotto gli occhi della polizia che non è intervenuta. E anche la notizia ha fatto fatica a diffondersi, ci sono voluti giorni prima che i media nazionali ne parlassero e si diffondesse la consapevolezza della portata di quello che era accaduto. In quel caso il motivo della ritrosia era il fatto che gli uomini coinvolti erano quasi tutti di origine nordafricana o mediorientale e, pur di prevenire la strumentale accusa di razzismo, le forze dell’ordine hanno preferito voltarsi dall’altra parte, tentando per giorni di non far emergere l’accaduto.

Qualcosa di non molto dissimile è accaduto negli scorsi giorni a Trento. Stavolta gli uomini che si sono dati appuntamento erano 60mila e non erano immigrati, ma italianissimi alpini. Il copione però è stato molto simile. I maschi volevano festeggiare e le femmine che si trovavano a passare di lì – o che magari erano in mezzo a loro per lavoro, come racconta una cameriera di un locale – si sono tutte trasformate (per unilaterale volontà dei maschi, ovviamente) in oggetti su cui vomitare molestie verbali e palpeggiamenti. Tanto alle donne piace, si sa.

Dopo l’episodio di Colonia alcune (molte per la verità) femministe misero subito le mani avanti contro l’eventuale strumentalizzazione antimusulmana di quello che era accaduto: non c’entra la religione, si disse, non c’entra la provenienza geografica degli assalitori. Il problema è la cultura patriarcale e misogina che è trasversale alle culture. Niente di più vero. Per fortuna oggi nessuno scenderà in piazza contro l’eventuale strumentalizzazione “antimilitare” dei fatti di Trento, perché siamo perfettamente consapevoli che la cultura militare rappresenta un terreno fertilissimo per la pianta della misoginia. Proprio come le religioni. Perché il punto è esattamente che la cultura patriarcale e misogina non è un gene in dotazione naturale a tutti i maschi della specie umana, che si tramanda sempre uguale a se stesso, semmai è un “meme”, un elemento culturale estremamente radicato, con una grande capacità di contagio e perfettamente in grado di adattarsi ai diversi contesti storici, sociali, economici e culturali, nei quali trova sempre qualcosa con cui saldarsi. Le religioni – quelle monoteiste in particolare – sono sempre state un alleato potentissimo del patriarcato e della misoginia. Esattamente come lo è la cultura militare.

Da Colonia a Trento la lezione è comunque sempre uguale: nel terzo millennio le donne possono anche diventare prime ministre, amministratrici delegate, segretarie di partito, astronaute ma si ritrovano ancora a dover aver paura a camminare per strada, perché non sanno cosa può accadere loro. La violenza contro le donne è la punta di un iceberg, la cui base è l’idea che la donna non sia soggetto autonomo ma oggetto al servizio del piacere maschiale. Un’idea che è profondamente radicata in moltissimi uomini, anche in maniera del tutto inconsapevole. Fra le testimonianze dei fatti di Trento pubblicate dal Dolomiti ce n’è una di un ragazzo che denuncia che, in un momento di sua distrazione, due alpini ubriachi hanno molestato la sua fidanzata. Lui, orgoglioso, dichiara di aver reagito picchiandoli. Una reazione figlia della stessa identica cultura dei molestatori: come ti sei permesso di molestare la “mia” fidanzata? Anche dopo i fatti di Colonia, una delle reazioni – altrettanto violenta e misogina delle aggressioni – fu “difendiamo le nostre donne”. E finché c’è qualcuno che pensa che le donne siano “di” qualcuno dovremo aver paura a camminare per strada.

Cinzia Sciuto www.animabella.it

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