“Il Secolo con gli occhi di Fulvio”, videointervista di Sancho a Fulvio Grimaldi

In questa prima parte del secolo con gli occhi di Fulvio analizziamo 40 anni di storia italiana, soffermandoci sui cambiamenti che hanno interessato l’Italia, e non solo, nel dopoguerra.

Special di Sancho in 3 puntate, per rivivere attraverso le esperienze di vita di Fulvio Grimaldi quasi un secolo di storia italiana. Dalla gioventù napoletana alla II guerra mondiale vissuta tra Italia e Germania. Dal lavoro in Mondadori e Bompiani al sogno del giornalismo, dopo tanti anni realizzato, fino agli anni ’60 a Londra e la prima guerra arabo-israeliana.

In questa prima parte del secolo con gli occhi di Fulvio analizziamo 40 anni di storia italiana, soffermandoci sui cambiamenti che hanno interessato l’Italia, e non solo, nel dopoguerra.

“Sancho. Settimanale d’attualità con Fulvio Grimaldi” da un’idea di Giuseppe Russo. Conduce Massimo Cascone. Videoproduzione Bagony Snikett

Buona Visione!

 

Secondo (ma non ultimo) appuntamento con lo speciale dell’imperdibile trilogia biografica presentata da Fulvio Grimaldi. Dagli anni Sessanta ai giorni nostri, una vita spesa al servizio della libera informazione come atto di resistenza al fianco di tutti gli oppressi della terra.

“Sancho. Settimanale d’attualità con Fulvio Grimaldi” da un’idea di Giuseppe Russo. Conduce Massimo Cascone. Videoproduzione Bagony Snikett

Buona Visione!

 


 

Amici, interlocutori, contatti silenti e pazienti, non è per un futile, sciocco e improduttivo narcisismo che qui, nella videointervista fattami da Massimo Cascone per “Sancho” (“comedonchisciotte”), faccio la storia, a volo d’uccello, dei miei primi quarant’anni, da zero al ’68. Se ho camminato su quel filo sospeso tra due mondi, quasi due pianeti, è perchè l’ho ritenuto buona occasione per riferire di quanto intorno a me, a noi di quelle generazioni, c’era, non c’era, si muoveva, stava fermo, ci faceva male, ci faceva bene. Diventando così, a partire dal mio sguardo, dai miei passi, una storia collettiva che, in tempi in cui provano a cancellarci il passato per non farci capire il presente e condurci a un pessimo futuro, o a nessun futuro, potrebbe anche essere utile.

Quanto lente e poi rapide, fulminee, storditrici, si sono mosse le cose in questo scorcio di vicenda umana! Dal carro dei buoi, dal trotto del cavallo eravamo passati alla quarta di un’Alfa, tanto da perderci la testa. E il ricordo. “La bussola va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna…” notava frastornato Eugenio Montale nella “Casa del Doganiere”. Nella mia esperienza tutto, a dispetto dei mutamenti politici, era rimasto più o meno uguale,  persino a un decennio dalla guerra, con la mia prima moto Guzzi, m’aggirai per l’Italia, da cima a fondo.Di Amerika c’era ancora poco, quasi niente. Era diversa solo la Germania, nella quale tornavo di tanto in tanto, adolescente, a ritrovare gli amici della guerra, per autostop, clandestino sui treni o carri bestiame, tra macerie e cupezze ancora smisurate. Un’atmosfera da “Portiere di Notte”, o “Il Terzo Uomo”, o Germania Anno Zero”, se questi tre grandissimi film li avete visti. Quelle macerie, di cose e di umani, sarei andato poi a ritrovarle in giro per il mondo. Alla faccia di Norimberga.

Fine anni ’50 e saltò tutto, più che nella e dopo la guerra. Il capitalismo industriale spiegò le ali nel vento Marshall a stelle e strisce che  da Occidente soffiava sulle nazioni e, per razionalizzare i rapporti di lavoro, tranciò esistenze, costumi, culture. Qualcuno decise che era bene copiare da chi le colonne di Pestum non l’aveva ancora nè concepite, nè costruite (e non lo avrebbe poi fatto mai). Una civiltà che, a vedere l’oggi, aveva più pregi che difetti. Più libero arbitrio e più scelte. Più comunità. In Calabria scomparvero le donne col fazzoletto nero in testa e i tanti grembiuli colorati sul vestito. Dai paesi scomparvero i rastrelli e i forconi. Nei miei giri in moto più tardi non mi capitò più che, a vedermi sboconcellare un panino sul muretto, una donna sconosciuta mi chiamasse dalla finestra che la pasta era pronta. Accadeva nel Sud. Le città si cingevano di catene di montaggio. Pensate, tra i miei venti e trent’anni, sempre alla ricerca del mestiere ambito, cambiai datore di lavoro come si cambiano i calzini: 9 volte in 8 anni. E non si trattava di mestieri occasionali: Mondadori, Bompiani, Itamco e Radar (agenzie di pubblicità), Alitalia, Ford, RCA, BBC… .Il lavoro c’era, ma pesantemente di classe, secondo l’impostazione scolastica di Giovanni Gentile. Filosofo grande, ma mussoliniano. Non per questo andava giustiziato. E in quel modo.

Direi che l’adesivo che ci legava al passato, in tutte le sue forme, abbigliamento, riti e tradizioni, produzione, istruzione, ma anche ideologia, teneva più dell’Attack. Trascinarci fuori dal fascismo, per chi non era passato per il trauma dell rottura partigiana, non era stato facile. E neanche arrivare a quella catarsi che prospettava il comunismo. Ne arrivava il polline nel vento. Ai padroni dava l’allergia e, per uscirne, acceleravano con i ceppi agli operai e le scuole dei preti (ecclesiastici o laici, poca differenza). A noi portava il profumo di nuove fioriture. Entrammo nella Storia. Personalmente nel 1967, per la prima volta inviato di guerra. In Palestina, guerra dei Sei Giorni, Dayan contro Nasser, sulla pelle dei palestinesi. Per tantissimi come la “Storia siamo noi” incominciò nel ’68. Ma qui siamo al capitolo successivo.

A teatro con Paolo Villaggio e Gianmaria Volontè

Le reazioni arrivate a commento della prima puntata su “Sancho” (“comedonchisciotte”), “IL SECOLO”, in cui si narra del mio attraversamento del secolo che corre dal 1934 al 2034 (dove per fortuna nostra non siamo ancora arrivati), mi hanno liberato da un timore. Che i miei, più o meno benevoli/malevoli, interlocutori potessero interpretare questa storia centrata sul personale come un narcisistico esibizionismo in cui tutto è inteso a illuminare l’ego del sottoscritto  Non era questa l’intenzione. L’intenzione era di utilizzarmi come filo, con gli amici di “Sancho” realizzatori dell’intervista, filo prima nero pallido poi rosso intenso, che si snoda lungo ambienti e momenti storici di rilievo generale, politico, sociale, culturale.

Fasi del nostro passato recentissimo che costituiscono il patrimonio mnemonico certamente mio, ma dovrebbero anche infrangere l’annichilimento della memoria di tutti, come è oggi accanitamente perseguito  dagli imbonintori dell’ “innovazione”. Il Grande Resettaggio necessita di oblio, di incomprensione del presente e di esproprio del futuro. Insomma, questo nostro è un modo un po’ dilettantesco di riattivare una memoria che pare essere la cosa più sgradita e funesta degli operatori di un presente sul quale ci muoviamo come su un aquilone. Che appare in balia dei venti, ma è saldamente ancorato e manovrato da un quasi invisibile giocololiere a terra.

Pare, dalle risposte degli amici, che questo sia stato compreso. Non per nulla sono “cittadini liberi e pensanti” coloro che seguono “comedonchisciotte”.

Al lungo racconto, seconda parte, che ci porta più o meno ad oggi, voglio però aggiungere un paio di episodi, curiosi, ma significativi per lo spirito del tempo, lo Zeitgeist, e ciò che lo disegnava e vi si agitava.dentro. A dispetto di Scelba, Andreotti, Nixon Boia, o Cossiga.

Villaggio, io, la Compagnia Goliardica Mario Baistrocchi 

Correva il 1913 a Genova, quando Mario Baistrocchi, studente di Giurisprudenza, raggruppò la sua “Allegra Brigata”. Lo scopo di ieri, rinnovato anche oggi, era mostrare il meglio della propria follia, liberarsi per qualche giorno dei doveri universitari, civici, borghesi, per calcare lo stesso palco dei grandi del Teatro, ma con una maschera di impertinenza e  perfino insolenza. La Baistrocchi ha visto passare sul suo palcoscenico giovanissime promesse diventate poi celebrità nel mondo dello spettacolo e della musica: Paolo Villaggio, Enzo Tortora, Popi Perani, Umberto Bindi, Fabrizio De Andrè, Maurizio Crozza, Ugo Dighero, Maurizio Lastrico, Enzo Paci. E, uno che celebrità dello spettacolo e della musica non è diventato, Fulvio Grimaldi.

Non ricordo se fosse il 1953, o il 1954. La guerra e il seriosissimo dopo democristiano avevano fatto cadere in disuso quella geniale goliardata che era lo spettacolo scritto e interpretato da studenti dell’ateneo genovese in Via Balbi, perlopiù di giurisprudenza. Io lo frequentavo da un anno. Mi ritrovai nella vasta sede del Movimento Sociale Italiano, in piena Via XX Settembre, dove i postfascisti, non sapendosi cosa stavano facendo, avevano affittato un’ampia sala a Paolo Villaggio, per uno scopo misterioso, ma inoffensivo, si riteneva. Invece se ne è avvalso per elaborare e realizzare con i compagni una Baistrocchi rinata, più esplosiva ed eversiva che mai.

La faccio breve. L’allora già genialissimo attore e creatore della storica maschera dell’impiegato vessato, radunò una banda di incoscienti, volenterosi di rompere un po’ i cristalli e, tutti insieme, scrivemmo il copione per uno spettacolo che riprendeva la gloriosa tradizione dell’irriverenza e dello sberleffo, in ispecie agli uomini (e donne) di panza e di rispetto. La “commedia” andò in scena nell’ambito intellettualmente più prestigioso, “Il Piccolo Teatro di Genova” e già questo era uno sketch. Ricordo poco, ma certamente che Paolo impazzò in tutte le scenette, fintotragiche, musicali, sganascione, paradossali, assurde e trascinò il lavoro a un grandissimo successo, poi perpetuato in giro per l’Italia.

Ho chiara memoria di un mio ruolo femminile. Seduto, scosciato e in calze di rete su un barile, facevo Marlene Dietrich nell’ Angelo Azzurro di Von Sternberg e strepitavo indecentemente la sua sensualissima canzone: “Da capo a piedi sono disposta all’amore…” Meno bene mi ricordo di una recita biblica in cui mi alternavo a un bravo compagno vestito da Mosè di nome Cocco, sui sacri testi della Grande Fiaba .

Dallo sberleffo al pugno nello stomaco con Gianmaria Volontè

La televisione, nell’inconsapevolezza del carattere potentemente eversivo del film, continua a mettere in onda il capolavoro di Elio Petri e Gianmaria Volontè “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970). Succede che alcuni riescano a guardare oltre l’attuale intrico di rughe e prolassi e riconoscere il sottoscritto nel ruolo del giornalista Patanè, confidente del commissario assassino e impunito, al di sopra della legge.
Il vostro cronista da “Patanè” in “Indagine…”

Non so se fosse per darci una mano in tempi di squattrinamento diffuso (eravamo in piena sovversione sessantottina), ma il gentile, generosissimo Gianmaria volle diversi di noi a fare parti e particine in quel grandioso smascheramento del potere, nel caso della polizia,  come andava configurandosi nell’Italia di Andreotti e Piazza Fontana. Ci eravamo incontrati qualche tempo prima nel giro del centro storico, di Piazza Navona, dove, ancora per affitti incredibilmente bassi, si rintanavano e si incontravano i “nemici del Sistema”. Io abitavo per 20.000 lire in un quartierino stupendo sopra la trattoria di “Bombolo” che, prima di fare l’attore comico, cucinava, vendeva piatti da un carretto e grandinava battute ai coinquilini..

Gianmaria aveva da anni lasciato uin cinema che al suo genio aveva riservato inadeguate parti nei Western. Ci vedevamo perlopiù a casa mia, o di Lorenzo Magnolia a Trastevere. Affittato un quartierino dalle parti di Campo de’ Fiori, ci si riuniva per discutere e programmare un progetto che chiamammo “Teatro di Strada” e che doveva essere il corrispettivo spettacolare e culturale delle contestazioni militanti di piazza. Si trattava di provocazioni finalizzate al confronto e alla presa di coscienza. Esempio: andavamo in due o tre nell’atrio della stazione Termini e iniziavamo una discussione sul divorzio, la cui legge era allora in ballo. Si univano altri, nostri “attori”, la cosa si faceva rumorosa, attirava persone, le coinvolgeva, a volte finiva in quasi rissa. Ma la miccia era stata accesa.

Volontè fermato

Altro tema, la guerra del Vietnam, pacifismo, violenza, nonviolenza, colonialismo, liberazione, il Terzo Mondo che ci deve riguardare, oppure non riguardare. A volte succedeva il patatrac, specie quando agivamo dalle parti del Palazzo. A volte il gruppazzo, con tanto di Gianmaria, finiva in guardina per la notte. Poi arrivò Elio Petri e, per nostra fortuna nazionale, Gianmaria tornò al cinema. Mi ricordo una persopna per la quale non so inventare che queste parole: dolcissimo, sensibile, modesto, intenso, fraterno, giusto. Come attore, profondissimo.

Poi Gianmaria continuò a fare un film più importante dell’altro. Io, per somma di reati di stampa da direttore responsabile di “Lotta Continua” finii latitante e all’estero. Poi seguii varie guerre da inviato. Ci perdemmo di vista. E’ un rimpianto che non passa.

 

Sancho #16 – Fulvio Grimaldi – Il secolo con gli occhi di Fulvio (1a parte) – Come Don Chisciotte

Sancho #17 – Fulvio Grimaldi – Il secolo con gli occhi di Fulvio (2a parte) – Come Don Chisciotte

 

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