[SinistraInRete] Gianandrea Gaiani: Se il “mondo libero” ha paura di una intervista

Rassegna 19/02/2024

 

Gianandrea Gaiani: Se il “mondo libero” ha paura di una intervista

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Se il “mondo libero” ha paura di una intervista

di Gianandrea Gaiani

Con l’intervista fiume a Vladimir Putin il giornalista televisivo Tucker Carlson ha fatto arrabbiare tutti al di qua della “Cortina di Ferro”, cioè in quello che ai tempi della prima guerra fredda potevamo definire orgogliosamente il “mondo libero”.

Ha fatto arrabbiare i colleghi, anchorman e star dei grandi media mainstream statunitensi perché ha ottenuto un incontro e una intervista con Putin che ad altri è stata negata, Non pago, giusto per aumentare la dose di bile dei colleghi che non gli perdonano né di venire dalla “reazionaria” Fox News né di essere vicino a Donald Trump, Carlson ha ottenuto da Mosca anche di poter incontrare e intervistare Edward Snowden.

Un’intervista non meno importante di quella a Putin (anche se avrà forse minor impatto mediatico) tenuto conto che la fuga di Snowden, prima in Cina poi a Mosca, scatenò nel 2013 quel Datagate che raccontò al mondo intero di come gli Stati Uniti (e i britannici) spiano amici e alleati fino a controllare i cellulari di leader, capi di stato e di governo europei, i quali hanno peraltro reagito con limitate proteste formali, di fatto accettando come un fatto ineluttabile il loro status di sudditi ( status che, dieci anni dopo, appare oggi ancora più marcato).

Giova ricordare che i fatti svelati da Snowden riguardavano operazioni di spionaggio sviluppatesi negli anni dell’amministrazione Obama in cui Joe Biden ricopriva il ruolo di vice presidente. Per questo i contenuti dell’intervista a Snowden potrebbero forse avere un impatto sulle imminenti elezioni presidenziali statunitensi di novembre.

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Andrea Zhok: Maccartismo. Su un angosciante documento del Parlamento europeo

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Maccartismo. Su un angosciante documento del Parlamento europeo

di Andrea Zhok

720x410c50mjlnufunfrv.jpgMentre tutte le principali testate giornalistiche europee sono in caduta libera di lettori; mentre Tucker Carlson, dopo aver svolto l’intervista più virale della storia a Vladimir Putin, viene indiziato di “spionaggio” in Europa; il Parlamento Europeo produce un documento come il seguente, che riproduco integralmente qui sotto, dove si chiede la condanna di un’eurodeputata lettone.

Al di là del caso particolare, la batteria argomentativa di questo atto, con valore legale, è agghiacciante. Rubando le parole dell’amico Pino Cabras, stiamo assistendo a un ritorno del maccartismo in grande stile.

Mettiamoci in testa che la cornice di libertà di pensiero e parola in cui siamo cresciuti è morta e sepolta. Lo avevamo già capito durante la pandemia, ma ora stiamo assistendo ai primi atti giuridicamente vincolanti.

Da qui, a cascata, questi principi entreranno sistematicamente nelle nostre scuole e università, nei nostri media, nella nostra quotidianità.

C’è chi dirà: “E dov’è la differenza con quello che già accade?”

La differenza sta nel fatto che finora le eccezioni marginali venivano tollerate, mentre questo impianto culturale predispone la trasformazione in reato di ogni parola critica verso i capisaldi neoliberali UE-NATO.

Come l’asino che dà del cornuto al bue, questo documento è mirabile per la sua capacità di affermare una sequela incredibile di falsità o di schiette inversioni dei ruoli e poi di accusare la controparte di “disinformazione”.

Documento molto lungo, molto angosciante, ma da leggere.

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Rachele Cinerari: Guerre culturali e neoliberismo di Mimmo Cangiano

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Guerre culturali e neoliberismo di Mimmo Cangiano

Recensione di Rachele Cinerari

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large.jpgLe prime righe di Guerre culturali e neoliberismo, scritto da Mimmo Cangiano e in uscita per Nottetempo, chiariscono cosa il libro vuole, ma soprattutto non vuole, fare.

Questo non è un libro sulla cancel culture (anche se ogni tanto si parla di cancel culture), e neanche un libro sul politicamente corretto (anche se qualche volta si parla di politicamente corretto); è invece un volume che tenta da un lato di ricostruire il dibattito – e la sua genealogia – su tutta una serie di temi che sono diventati il centro delle attuali culture wars (questioni identitarie, di classe, anti-razzismo, anti-sessismo, prospettive liberal, postmodernismo, ruolo della Theory), dall’altro di proporre alcune soluzioni interpretative in un quadro di analisi che, fortemente propenso a prestare orecchio alle nuove questioni emerse, resta ancorato al materialismo storico. Questo libro non è scritto per criticare la cosiddetta woke (…), ma per provare a superare quel non piccolo quid di liberalismo e di culturalismo che le culture wars mi paiono portare con sé; è dunque un libro che mira a sottrarre la woke a sospette derive liberal materializzando i suoi temi attraverso la loro dialettica con i processi socio-materiali (produzione, mercato, lavoro, consumo) in atto.

I nove capitoli del libro si muovono attraverso numerosi esempi, attraversando teorie almeno degli ultimi vent’anni, statunitensi ma anche italiane, per ripercorrere ciò che è accaduto nelle università statunitensi e di come certi processi siano stati inglobati, già masticati e digeriti, da quelle italiane. Partendo dall’esperienza che Cangiano ha fatto lavorando dieci anni nelle università statunitensi ed elaborandole, il libro ricostruisce infatti in modo conciso la culturalizzazione accademica statunitense e il progressivo spostamento delle lotte su un piano esclusivamente simbolico e sovrastrutturale, l’analisi erroneamente a-storica e la naturalizzazione del capitalismo, l’inglobamento (e fraintendimento?) della cosiddetta French Theory.

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Agata Iacono: Assange, le ore decisive

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Assange, le ore decisive

di Agata Iacono

Sono gli ultimi giorni, forse, per Assange nella prigione a Londra definita la Guantanamo inglese.

Tra pochissimi giorni la Corte dovrà esprimersi sulla ammissibilità del ricorso di Julian Assange, l’ennesimo e l’ultimo.

Se gli sarà respinta questa possibilità, l’estradizione negli USA, dove lo aspettano 175 anni di detenzione in completo isolamento, potrebbe essere immediata.

Sono moltissime le iniziative in tutto il mondo a favore di Assange, si intensificano sempre più anche in Italia: solo per citarne alcune, si fa pressione a Roma e Milano, ad esempio, affinché Gualtieri e Sala concedano finalmente la cittadinanza onoraria, è stata inaugurata una mostra, vengono proiettati docufilm, promossi flash mob sotto l’ambasciata UK, indette conferenze stampa…fino al giorno finale, il D-Day, che vedrà a Londra attivisti da tutto il mondo.

Sulla vicenda di Assange, insomma, si sta parlando tanto, mai abbastanza certo, è totalmente ignorato cancellato dalla memoria dei media di massa, ma, forse, si trascura una questione fondamentale, che lo rende veramente un eroe della nostra epoca.

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Alberto Fazolo: Il 7 ottobre 2023 rappresenta la più eclatante serie di fallimenti dello Stato d’Israele

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Il 7 ottobre 2023 rappresenta la più eclatante serie di fallimenti dello Stato d’Israele

di Alberto Fazolo

Ovunque si è dibattuto del fallimento di quell’apparato d’intelligence che si credeva tra i più efficaci del mondo. C’è certezza che non tutti i gangli del sistema fossero all’oscuro di quanto stesse succedendo e che abbiano “lasciato fare”, ma altre articolazioni di sicuro non si aspettavano ciò. Sia come sia, la reputazione ne esce distrutta.

Invece, sotto il profilo politico, il fallimento è iniziato il giorno successivo, cioè da quando Israele ha deciso di compiere un massacro. Portando alla rottura di rapporti consolidati e al conseguente isolamento internazionale, sancito anche dall’inchiesta della Corte Internazionale di Giustizia.

Il fallimento politico si è manifestato pure all’interno d’Israele, con una frantumazione della società e una esasperazione degli attriti tra le varie anime del paese.

Il fallimento militare d’Israele sta invece nell’incapacità di battere la Resistenza palestinese e nel conseguente accanimento contro la popolazione civile. Sono ormai lontani i tempi in cui l’esercito israeliano era composto da soldati duri e determinati, temprati nella lotta contro il nazismo.

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Marco Veronese Passarella: Per sfidare l’economia dominante, serve un approccio scientifico

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Per sfidare l’economia dominante, serve un approccio scientifico

Oltre pretese di neutralità e derive irrazionaliste

di Marco Veronese Passarella

Ci sono due modi ugualmente deleteri di intendere l'”economia”: assimilarla a una scienza naturale, come amano fare gli economisti “mainstream”; oppure, al contrario, sostenere che non è una scienza, come fanno un po’ tutti gli altri.

La verità è che queste due posizioni sono due facce della stessa medaglia. In particolare, la seconda concezione non indebolisce ma rafforza la prima, implicando che l’unico statuto scientifico possibile sia quello di scienza naturale.

Personalmente, concepisco l’economia come una scienza sociale, che indaga le mutevoli leggi di movimento delle economie capitalistiche. Penso, dunque, che vadano rigettate sia le pretese di oggettività del pensiero economico dominante sia le derive irrazionaliste della maggior parte dei suoi critici. È su questa ridefinizione epistemologica che si può costruire una critica radicale alle teorie economiche di derivazione neoclassica.

Non esistono scienze esatte, nemmeno la matematica – che non è una scienza, ma uno dei suoi linguaggi.

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Miguel Martinez: Il più grande appalto del secolo

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Il più grande appalto del secolo

di Miguel Martinez

Molto, molto tempo fa, l’umanità si divise in due, tra quelli che facevano la fila per farsi vaccinare contro il Covid, e quelli che accettavano di farsi licenziare, pur di non farsi vaccinare.

In questo conflitto, avevo due ferme incertezze.

La prima, che essendo laureato in lingue orientali e non in medicina, ci capivo il giusto; e che magari anche molti laureati in una delle centomila medicine ci capivano il giusto, e che tutte le voci che mi arrivavano, da una parte o dall’altra, erano frutto di pregiudizi più che di profonde e documentate riflessioni.

Per cui non ho mai dato eccessivo peso alle critiche contro il contenuto dei vaccini, tanto che mi sono anche vaccinato per amore di quieto vivere, e sono ancora vivo.

La seconda ferma incertezza, era che si trattava dell’Appalto del Secolo (poi scoppiò la guerra che rende ancora di più, e mi confondo).

Vedete, diversi anni fa, ho vissuto uno scambio intenso: io insegnavo inglese ai funzionari della Glaxo (oggi un impronunciabile GSK plc), e i funzionari della Glaxo, conversando in inglese, mi insegnavano in cambio come funziona il mondo dell’industria farmaceutica.

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Alessandro Bianchi: Egemonia (8). Come il neoliberismo si è impossessato delle nostre menti – Ernesto Limia Díaz

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Egemonia (8). Come il neoliberismo si è impossessato delle nostre menti – Ernesto Limia Díaz

di Alessandro Bianchi

Come il neoliberismo ha preso possesso delle menti di milioni di individui? Una domanda che pervade la nostra riflessione da anni e che mai ha trovato risposte e chiarimenti più illuminanti di quelle forniteci da Ernesto Limia Díaz – storico cubano, primo vicepresidente dell’Associazione degli Scrittori dell’UNEAC, e grande conoscitore degli attuali mezzi di comunicazione, in Italia per presentare il suo nuovo libro tradotto in Italia da Pgreco “Patria e cultura in rivoluzione” – nella conversazione che abbiamo avuto per “Egemonia”.

Crisi dei valori di riferimenti, paradigmi imposti, relativizzazione volgare e cinismo nella politica i temi al centro della nostra discussione. “E’ incredibile come anche oggi il tema del genocidio a Gaza porti a considerazioni volgari e ciniche nel dibattito politico”.

“Siamo nel pieno di una battaglia culturale enorme”, afferma Ernesto Limia Díaz all’inizio di un’analisi che arriva nel profondo dell’agire delle forze dominanti del sistema neoliberale mondiale, destrutturandolo e restituendolo completamente nudo.

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Maurizio Brignoli: Ampliare il conflitto dal Mar Rosso? Le strategie imperialistiche per il controllo del Medioriente

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Ampliare il conflitto dal Mar Rosso? Le strategie imperialistiche per il controllo del Medioriente

di Maurizio Brignoli

720x410c50kiuhbvfdew.jpgAnsarallah e l’attacco a Israele nel Mar Rosso

Nello Yemen nel 2011 scoppiava la rivolta degli al-Huthiyyun, meglio noti come huthi (per quanto il termine non sia gradito agli stessi), sciiti raggruppati nella formazione di Ansarallah (Partigiani di Dio), il movimento prende il nome da Hussein Badr al-Din al-Huthi un capo politico e religioso dello sciismo zaydita ucciso dalle forze governative nel corso di un’insurrezione nel 2004, che portava alla caduta del regime filosaudita artefice dell’inserimento dello Yemen nel mercato mondiale in stretta relazione con il capitale anglo-statunitense interessato allo sfruttamento delle risorse delle regioni centromeridionali e a una politica di privatizzazioni delle imprese statali a beneficio di Usa e petromonarchie. Per fronteggiare l’insurrezione – alla quale, a conferma che le contrapposizioni religiose fungono da paravento, partecipano anche sunniti, socialisti e formazioni del nazionalismo arabo – Usa e sauditi utilizzano prima l’infiltrazione jihadista con al-Qaida nella Penisola arabica (Aqpa), cui si aggiungeranno uomini dell’Isis per tramite degli Eau[1], e poi dal 2015 l’intervento militare diretto, giustificato con l’accusa ad Ansarallah di essere una quinta colonna iraniana (Ansarallah in realtà è riuscita a resistere grazie al sostegno popolare di cui gode nel paese)[2], con una coalizione composta da Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Bahrein, Eau, Giordania, Egitto, Marocco, Oman e Sudan con supervisione militare e interventi diretti di Usa, Regno Unito e Francia. Un’altra buona occasione per l’apparato militare-industriale statunitense che, dall’inizio del conflitto fino al 2020, ha venduto ai sauditi armi per oltre 60 miliardi di dollari.

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Gabriele Fadini: Il messia collettivo: Antonio Negri e la teologia

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Il messia collettivo: Antonio Negri e la teologia

di Gabriele Fadini

Schermata del 2024 02 17 11 59 12.pngAll’interno dell’ampio spettro dei temi trattati dalla riflessione di Antonio Negri, poco è lo spazio riservato alla questione legata al paradigma teologico-politico. Gabriele Fadini sostiene che ciò non comporti che i temi legati al rapporto tra teologia e politica non abbiano una portata significativa nel suo pensiero. Perciò, in questo articolo l’autore si interroga su come, nella teoria politica di Negri, certamente inscritta nella tradizione del materialismo, la liberazione possa passare anche attraverso la religione. Domanda non certo nuova, a cui tuttavia Negri dà delle risposte peculiari, radicate innanzitutto nel pensiero spinoziano dell’immanenza.

* * * *

All’interno dell’ampio spettro dei temi trattati dalla riflessione di Antonio Negri, poco è lo spazio riservato alla questione legata al paradigma teologico-politico. Ciò, tuttavia, non comporta a nostro avviso che i temi che andremo sottolineando non abbiano una portata significativa a proposito di questo argomento. In Goodbye Mr. Socialism è presente una tesi che crediamo riassumere per interno il rapporto che Negri intrattiene con il pensiero teologico-religioso:

La religione è un grande imbroglio in sé, ma può essere anche un grande strumento di liberazione per sé[1].

Ci troviamo di fronte a una ambiguità? A una contraddizione in termini? In che modo va intesa questa affermazione?La questione che ci si pone di fronte, in altri termini, consiste nel domandarci come la liberazione possa passare anche attraverso la religione per un autore che inscrive il proprio percorso di pensiero all’interno della grande tradizione del materialismo più o meno ortodosso. La domanda da cui partiamo non è tuttavia nuova per la riflessione filosofica e teologica.

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Gerardo Lisco: Partiti politici e cicli economici. Spunti di riflessione rispetto all’oggi

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Partiti politici e cicli economici. Spunti di riflessione rispetto all’oggi

di Gerardo Lisco

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U33601682112816QXD 656x492Corriere Web Sezioni.JPGQuesto mio intervento vuole essere una riflessione sul capitolo dedicato ai partiti o meglio un ragionamento sul III “racconto” del saggio dal titolo “Fare la guerra con altri mezzi. Sociologia storica del governo parlamentare” del sociologo della politica Alfio Mastropaolo. I partiti politici, seguendo la narrazione del prof. Mastropaolo, traggono origine dal conflitto politico che dall’Inghilterra del XVII secolo attraversò l’Oceano Atlantico per radicarsi, a seguito della Guerra d’Indipendenza, in quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti d’America. In Inghilterra la differenza tra Wighs e Tories è strettamente legata al conflitto tra prerogative del Parlamento da una parte e prerogative del Re dall’altra. Conflitto questo che si accentuò, e molto, nella seconda metà del XVIII secolo durante il Regno di Giorgio III. La figura di John Wilkes è fondamentale ai fini del quadro politico britannico del tempo e per comprendere come le profonde trasformazioni allora in atto determinarono la tradizionale divisione tra i Wighs e i Tories. Forzando, se volessimo utilizzare categorie post moderne, dovremmo dire che in quell’epoca si verificò il primo superamento delle differenze di destra e sinistra. Il mescolamento dei due schieramenti, finalizzato al mantenimento del potere da parte di gruppi di interesse, portò all’emergere di nuovi soggetti politici come la Society of Supporters of the Bill of Right (SSBR). L’organizzazione, nata a Londra nel 1769, adottò un programma in tre punti: riduzione della durata della legislatura a tre o addirittura a un anno; richiesta di una maggiore rappresentanza del popolo; eliminazione del placement dalla Camera dei Comuni. Si potrebbe dire di essere in presenza di istanze di tipo democratico e di maggiore partecipazione. Le rivendicazioni delle classi popolari rappresentate dalle classi urbane e commerciali sono il sintomo delle trasformazioni in atto nella struttura sociale ed economica dell’Inghilterra dell’epoca.

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Piccole Note: Il sangue di Rafah che impasta la terra

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Il sangue di Rafah che impasta la terra

di Piccole Note

Haaretz: “È impossibile invadere Rafah senza commettere crimini di guerra”. Le mani “sporche di sangue” dei leader occidentali

 

Israele attacca Rafah. Riprendiamo, da Haaretz, Gideon Levy: “Ora non ci resta che chiedere, implorare, gridare: non entrate a Rafah. Un’incursione israeliana a Rafah sarebbe l’attacco al più grande campo profughi del mondo. Trascinerà l’esercito israeliano a commettere crimini di guerra di una gravità che nemmeno esso ha ancora commesso. È impossibile invadere Rafah senza commettere crimini di guerra“.

 

I bambini di Gaza e gli appelli umanitari di Israele…

“Yarden Michaeli e Avi Scharf riferiscono che l’intera popolazione della Striscia di Gaza, 2,3 milioni di abitanti, dovrebbe essere evacuata [ad Al-Mawasi] in un’area di 16 chilometri quadrati (6,2 miglia quadrate), più o meno la dimensione dell’aeroporto internazionale Ben-Gurion. Immaginate tutta Gaza nell’area dell’aeroporto”.

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Giulio Di Donato: A che ora è la fine del mondo?

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A che ora è la fine del mondo?

di Giulio Di Donato

Si può essere ambientalisti in tanti modi, anche senza per forza sposare un riduzionismo elitario e apocalittico all’insegna del “Fate presto”. D’altra parte la storia più recente ci rende istruiti circa il segno regressivo di tale logica, non solo perché essa deprime la vitalità democratica e alimenta false polarizzazioni, ma anche perché, di austerità in decrescita, può essere facilmente curvata a vantaggio degli interessi di pochi privilegiati e declinata in termini di impoverimento generalizzato. Sullo sfondo il tentativo della macchina occidentale in crisi di strumentalizzare, ancora adesso, la questione green per rilanciare e rilegittimare se stessa sia sul fronte produzione-consumo, sia sul fronte ideologico e di lotta geopolitica. Senza dimenticare l’emergenzialismo come sottosuolo spirituale del nostro tempo circondato da un misto di chiusura asfittica di orizzonti e di “edonia depressa”. Soprattutto, l’emergenza – scrive Carlo Galli – “comprime il diritto di critica, le voci di dissenso, e implica una tendenziale uniformazione, la discriminazione del non-conforme, del nemico interno – l’accusa di essere «no-vax» ha colpito chiunque chiedesse spiegazioni, o eccepisse in qualsivoglia modo le misure decise dalla politica e legittimate dalla scienza -: il che è ovviamente pericoloso per la democrazia”.

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Marco Pondrelli: Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943. Alessandra Kersevan

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Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943. Alessandra Kersevan

di Marco Pondrelli

Ci sembra giusto nella giornata del ricordo proporre un libro di Alessandra Kersevan uscito nel 2008. La storia sta diventando l’ancella della politica, l’europarlamento e il Parlamento italiano a colpi di maggioranza entrando dentro dibattiti storici di cui probabilmente i parlamentari ignorano l’esistenza. Quando nel 2004 venne approvata la legge che istituiva la ‘giornata del ricordo’ alla base si voleva trovare un crimine comunista pari agli orrori del nazismo, per poter giustificare la lettura del Novecento come il secolo dei due grandi totalitarismi: nazismo e comunismo. Matteo Salvini affermò che le foibe rappresentato la nostra Shoah, queste affermazioni non rendono giustizia alla verità storica ma sopratutto a chi il genocidio l’ha vissuto sulla propria pelle.

Purtroppo siamo abituati a un uso del linguaggio disinvolto e piegato alle proprie ragioni politiche, gli stessi che oggi inorridiscono di fronte all’accusa mossa a Israele di genocidio e criticano il Sudafrica per essersi permesso di muovere questo capo d’accusa, pochi mesi fa accusavano la Cina di genocidio nello Xinjiang.

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Marco Cattaneo: Compromessi e assurdità

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Compromessi e assurdità

di Marco Cattaneo

Uno dei ritornelli più frequenti degli europeisti è che “l’integrazione politica è indispensabile altrimenti l’Europa diventa marginale, in un mondo in cui le nazioni più grandi hanno centinaia di milioni se non miliardi di abitanti. Ci sono visioni e interessi differenti, certo, ma occorre trovare una linea di compromesso accettabile per tutti e poi fondersi in un’entità unica”.

Di fronte a questa argomentazione, il mio primo commento è che le megapotenze di cui si parla sono tre. Gli USA, la Cina e l’India. Che certo, fanno il 40% della popolazione mondiale. Però poi ci sono una duecentina di altre nazioni che sul piano economico e anche demografico pesano in genere meno, spesso molto meno, dei singoli maggiori Stati europei.

Per cui, perché solo per noi europei dovrebbe essere vitale “integrarsi politicamente” ?

L’altro commento è che i compromessi sono utili e spesso anche indispensabili. Ma i compromessi hanno un senso se costituiscono una mediazione tra posizioni sufficientemente sensate.

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Francesco Scatigno: Giovanni Pascoli e il Socialismo: un’indagine sulle radici politiche del poeta italiano

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Giovanni Pascoli e il Socialismo: un’indagine sulle radici politiche del poeta italiano

di Francesco Scatigno

Giovanni Pascoli e il socialismo

Nel panorama della letteratura italiana, Giovanni Pascoli emerge come una figura enigmatica e poliedrica, la cui opera poetica sfiora tematiche sociali e politiche di rilevanza storica. Questo articolo si propone di analizzare il rapporto complesso e spesso sottovalutato tra Pascoli e il socialismo, un legame che si intreccia profondamente con il tessuto della sua produzione letteraria. Al centro della nostra analisi vi è l’interrogativo su come le esperienze personali e il contesto storico- culturale di fine Ottocento e inizio Novecento abbiano influenzato il pensiero politico di Pascoli, orientandolo verso correnti di pensiero quali l’anarchismo e il socialismo. La morte prematura del padre e il conseguente periodo di reclusione costituiscono esperienze catalizzatrici che plasmano il suo percorso ideologico e poetico, portandolo a una riflessione profonda sulla società e sulla condizione umana. Questo articolo intende, quindi, analizzare come tali esperienze si riflettano nelle sue opere, ponendo in luce il dialogo tra la sua visione politica e la sua arte poetica. In particolare, esamineremo le influenze di pensatori come Bakunin, Marx, Mazzini e Carducci sulle sue concezioni politiche, e come queste si manifestino nelle sue produzioni letterarie.

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