[SinistraInRete] Paolo Di Marco: Il guaio con la scienza

Rassegna 19/03/2024

Paolo Di Marco: Il guaio con la scienza

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Il guaio con la scienza

di Paolo Di Marco

1-La presbiopia dei sondaggisti

Iniziamo dal livello forse più basso dell’indagine scientifica, il sondaggio politico; scoprendo però che anche qui valgono le regole base della logica su cui si fondano i pilastri della scienza, Matematica e Fisica, e chi non le rispetta lo fa a suo rischio e pericolo.

‘Quando gli viene chiesto da cosa è guidata l’economia molti americani hanno una sola e semplice risposta che viene loro in mente immediatamente: ‘L’avidità’. (greed) Ritengono che i ricchi e potenti abbiano progettato l’economia in modo da beneficiare loro lasciando agli altri troppo poco o niente del tutto.’ 

Katherine J. Cramer and Jonathan D. CohenMany Americans Believe the Economy Is Rigged, NYTimes, Feb. 21, 2024

Sappiamo che gli americani pensano questo perché gliel’abbiamo chiesto. Nel corso degli ultimi due anni un nostro (AAAS) gruppo ha condotto più di 30 conversazioni con piccoli gruppi di americani da ogni angolo del paese.

Mentre gli indicatori nazionali possono suggerire che l’economia è forte, gli americani con cui abbiamo parlato non sono in buone condizioni; non pensano che l’economia li sostenti. Piuttosto tendono a vederla come un ostacolo, un insieme di forze esterne fuori dal loro controllo che tuttavia controllano le loro vite. ‘Mi sento come un perdente che non riesce ad andare avanti, e dipende tutto da avidità e profitto’.’

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Elia Zaru: Postdemocrazia o de-democratizzazione?

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Postdemocrazia o de-democratizzazione?

Alcune riflessioni tra storia e politica sul dibattito contemporaneo

di Elia Zaruelia.zaru2@unibo.it Università di Bologna

joel peter witkin the aleph.jpgAbstract. Il saggio ricostruisce e analizza alcuni snodi del dibattito contemporaneo sulla crisi della democrazia, alla luce delle idee di «postdemocrazia» e «de-democratizzazione» e del legame tra crisi della democrazia e neoliberalismo rispetto al rapporto tra politica, democrazia, uguaglianza e azione collettiva. Il primo paragrafo è dedicato al lemma «postdemocrazia» e ne rintraccia le radici storico-teoriche nella «semantica del post». Il secondo paragrafo mostra il modo in cui in ottica neoliberale la crisi della democrazia non rappresenti un problema (come inteso dalla «postdemocrazia»), ma una soluzione a un problema rappresentato dall’eccesso di democratizzazione della società. A questo scopo, si traccia un collegamento tra le considerazioni espresse nel Report della Commissione Trilaterale (1975) e le proposte epistocratiche più recenti. Infine, dopo una breve analisi delle critiche all’epistocrazia, esposte nel terzo paragrafo, il quarto delinea alcune conclusioni che riallacciano il discorso della crisi della democrazia alla questione dell’uguaglianza e dell’azione collettiva.

* * * *

1. Crisi della democrazia e semantica del «post»

Che esista, nelle società occidentali, una «crisi della democrazia» è acclarato. Il primo e più immediato indicatore di tale crisi consiste nel calo costante della partecipazione elettorale1, a cui si affiancano altri fenomeni come, per esempio, lo sbilanciamento dei poteri in favore dell’esecutivo a scapito dei Parlamenti, o quella che in ambito giuridico è stata definita «decostituzionalizzazione»2. Sul piano materiale si assiste da alcuni decenni al progressivo smantellamento dei diritti sociali acquisiti nel contesto del welfare state, un processo che ha determinato «la drastica compressione della libertà e dell’uguaglianza dei lavoratori, e degli spazi di partecipazione reale dei cittadini»3.

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Thierry Meyssan: Gli ultimi rantoli del fascismo ebraico

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Gli ultimi rantoli del fascismo ebraico

di Thierry Meyssan

220536
c5213.jpgChiunque in buona fede si rende conto che l’uccisione di 30 mila innocenti non può essere il prezzo per eliminare Hamas.

Per cui l’operazione Spade di Ferro si rivela per quello che è: una copertura per realizzare il vecchio sogno dei fascisti ebrei, da Jabotinsky a Netanyahu: espellere la popolazione araba dalla Palestina. Questo crimine di massa, commesso per la prima volta in diretta tivù, sconvolge lo scacchiere politico mondiale. Sentendosi minacciati, i suprematisti ebrei minacciano a loro volta gli Stati Uniti. E questi, intenzionati a rimanere i padroni del «mondo libero», si preparano a far cadere i suprematisti ebrei.

* * * *

L’amministrazione Biden assiste paralizzata alla reazione di Israele all’attacco della Resistenza palestinese – comprensiva di Hamas – denominata Diluvio di Al Aqsa (7 ottobre). L’operazione Spade di Ferro inizia con il bombardamento a tappeto della città di Gaza, d’intensità mai vista nel mondo e nella storia, nemmeno durante le due guerre mondiali. Il 27 ottobre, ai bombardamenti, si aggiungono l’intervento di terra, i saccheggi e le torture di migliaia di civili di Gaza. In cinque mesi i civili uccisi o scomparsi sono 37.534, di cui 13.430 bambini e 8.900 donne, 364 tra medici e personale sanitario, e 132 giornalisti [1].

Inizialmente Washington reagisce sostenendo senza esitazioni «il diritto di Israele a difendersi», minacciando di opporre il veto a ogni richiesta di cessate-il-fuoco e fornendo le bombe necessarie alla distruzione generalizzata dell’enclave palestinese. Gli Stati Uniti non possono infatti permettersi un’altra sconfitta, dopo quelle di Siria e Ucraina. Ma sui cellulari gli statunitensi assistono in diretta agli orrori compiuti da Israele.

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Fulvio Grimaldi: Mal d’Africa. E suo bene

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Mal d’Africa. E suo bene

Un continente conteso verso la seconda liberazione

di Fulvio Grimaldi

“Metapolitica – Il fuoriscena del potere” di Francesco Capo, con Gigi Lista, editore “L’Identitario”, Fulvio Grimaldi, giornalista, Antonio Pellitteri, docente universitario

https://www.youtube.com/live/CsioUXSqPq4?si=BvIMKs2J6ZeGjHY_

https://youtu.be/CsioUXSqPq4

Il mio contributo a questa trasmissione di Francesco Capo riguarda la situazione geopolitica di Africa e dintorni, con i suoi primattori, i suoi figuranti, i suoi complici. Il dato certo è che l’Africa è una volta di più il continente giovane e nuovo, in attesa che riprenda e completi il suo percorso di liberazione, tra andate e ritorni, anche l’America Latina da Haiti in giù.

I punti cruciali sono noti: Il Sahel glorioso che si è liberato dalla manomorta colonialista e predatrice francese basata sul pericolo jihadista dallo stesso Occidente creato, allevato, impiegato qua e là. La Libia che, dopo averla rasa al suolo e privata di benessere e felicità, ne hanno provocato lo squartamento tra un regimetto banditesco fantoccio caro a ONU, Occidente e Roma, e un governo regolare che ne controlla tre quarti e viene sabotato dalla NATO.

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Giuseppe Masala: La coalizione dei “volenterosi” e la variabile (impazzita) polacca

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La coalizione dei “volenterosi” e la variabile (impazzita) polacca

di Giuseppe Masala

Ormai da anni andiamo spiegando che, purtroppo, non vi è alcuna possibilità che il conflitto nell’est europeo si concluda con l’eventuale capitolazione del regime di Kiev. Questo può essere affermato con ragionevole certezza in considerazione di innumerevoli ragioni. Innanzitutto i motivi di fondo che hanno fatto deflagrare il conflitto – sarebbe forse più corretto dire, che hanno spinto Washington a farlo deflagrare – sono ancora tutte irrisolte. Mi riferisco, chiaramente, al profondo squilibrio commerciale tra l’Europa e gli USA che vedono questi ultimi soccombere nei mercati mondiali di fronte alla ipercompetitività europea. Il profondo rosso dei conti con l’estero di Washington che sta portando – lentamente ma inesorabilmente – all’abbandono del dollaro da parte di molti investitori internazionali, a partire da quelli appartenenti ai BRICS (mi riferisco in particolare a Cina, Russia, Arabia Saudita ed EAU).

Non basta. Tra i nodi che inesorabilmente verrebbero al pettine con la capitolazione di Kiev vi sarebbe la giustificazione dei costi devastanti delle suicide sanzioni imposte dall’Europa alla Russia. L’impossibilità di giustificare questi costi da parte delle élites europee di fronte alle proprie opinioni pubbliche spinge inesorabilmente verso la continuazione del conflitto per allontanare il più possibile il redde rationem.

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comidad: I “false flag” del colonialismo europeo

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I “false flag” del colonialismo europeo

di comidad

La locuzione “ha stato Putin” è diventata popolare, addirittura proverbiale, e indica il vezzo occidentalista di ritrovarsi un colpevole già pronto per l’uso, in modo da coprire le proprie responsabilità. Sarà difficile però spiegare la quasi unanime adesione del parlamento italiano alla missione navale “Aspides” nel Mar Rosso con un “ha stato Biden”, cioè nascondendosi dietro la consueta denuncia della servile fedeltà italica all’alleato americano. Una linea politica può non essere nelle condizioni di prevalere, ma deve comunque reggere sul piano comunicativo, cioè non smentirsi da sola. Se dico che sono contro ogni imperialismo compreso il nostro, e quindi anche contro le velleità dei nostri oligarchi di ritagliarsi uno spazio sub-imperialista all’ombra della potenza dominante, allora c’è un senso. Se invece faccio appello all’interesse nazionale, mi riferisco a un’astrazione fumosa che viene screditata dal fatto stesso che gli oligarchi di un paese ritengono di avere altri interessi da seguire.

Se la critica non ha una logica, poi te la dovrai rimangiare nella pratica. Nel dicembre scorso Giuseppe Conte aveva accusato il governo Meloni di “turbo-atlantismo” per la decisione di inviare una fregata nel Mar Rosso, e infatti ora i 5 Stelle si allineano al mantra ufficiale della “missione difensiva”.

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Miguel Martinez: Esistono guerre giuste, altroché!

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Esistono guerre giuste, altroché!

di Miguel Martinez

Io sono contrario a tutte le guerre, ma questo è un difetto mio.

Le guerre a cui io sono contrario si dividono in due tipi: le guerre sbagliate e le guerre giuste.

1940, ascolti alla radio la voce del Duce che annuncia “l’ora delle decisioni irrevocabili è arrivata!”

Poi un figlio lo perdi in Africa, un altro in Russia, gli statunitensi ti bombardano casa e tuo fratello finisce deportato in Germania.

Ecco, era proprio una guerra sbagliata, non ci piove.

Purtroppo da allora in Italia la parola guerra si porta dietro una cattiva nomea spesso immeritata.

Prendiamo invece la guerra statunitense in Afghanistan, 2001-2021.

Che è stata una guerra giusta, e vi spiego il perché.

La guerra sarebbe “costata” quattro trilioni di dollari, che è un po’ più del PIL della Germania. E sarebbe pure una guerra “persa”, nel senso che oggi il paese è governato dagli eredi di quelli che l’esercito USA cercò di cacciare nel 2001.

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Enrico Grazzini: Keynes “sovranista”: contro l’internazionalizzazione della finanza e per l’autosufficienza nazionale

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Keynes “sovranista”: contro l’internazionalizzazione della finanza e per l’autosufficienza nazionale

di Enrico Grazzini

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2a744b524b07.jpgPochi amano ricordare un fatto indiscutibile: John Maynard Keynes, il più grande economista del secolo scorso, era assolutamente contrario alla libera circolazione dei capitali e al dominio della finanza sull’economia, ed era anche decisamente a favore del “nazionalismo economico”, ovvero dell’autosufficienza delle nazioni. Il suo pensiero oggi è tornato di grande attualità: infatti tutte le più grandi economie, quella statunitense, quella cinese, quella russa, e buona ultima anche quella europea, puntano all’autosufficienza o, in ultima analisi, alla “non dipendenza”. L’autosufficienza che Keynes invoca nei suoi scritti era però finalizzata alla pace e allo sviluppo; l’autosufficienza che oggi cercano le grandi potenze è invece per prepararsi alla guerra.

In un suo articolo scritto nel 1933 – quando Mussolini e Stalin erano già al potere e Hitler cominciava a diventare capo assoluto della Germania – intitolato “National Self-Sufficiency”, Keynes non ebbe timore di valutare in maniera molto positiva il nazionalismo economico[1]. Scrisse infatti: “Io simpatizzo di più con coloro che vorrebbero ridurre al minimo le relazioni economiche tra le nazioni che non con quelli che le vorrebbero aumentare al massimo. Le idee, il sapere, la scienza, l’ospitalità, il viaggiare – queste sono le cose che per loro natura dovrebbero essere internazionali. Ma lasciate che le merci siano prodotte in patria ogni qualvolta è ragionevolmente e praticamente possibile, e soprattutto lasciate che la finanza sia prevalentemente nazionale”.  Per Keynes moneta, credito e finanza dovevano essere gestite innanzitutto a livello nazionale. Certamente il “nazionalismo economico” di Keynes non ha nulla a che vedere con l’autarchia di marca fascista o sovietica, che Keynes critica nel suo articolo.

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Carlo Formenti: Libere di vendere il proprio corpo a pezzi

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Libere di vendere il proprio corpo a pezzi

di Carlo Formenti 

151208KajsaEkisEkman29520.jpegNel mondo esistono due industrie che sfruttano i corpi di milioni di donne esponendole ad altissimi tassi di nocività (non di rado con conseguenze mortali). La condizione di queste “lavoratrici” non è molto migliore di quella dei neri nei campi di cotone del Sud degli Stati Uniti prima dell’abolizione della schiavitù. Sono l’industria della prostituzione e l’industria della maternità surrogata. Vediamo alcuni dati. L’industria della prostituzione impiega 400.000 donne nella sola Germania, dove coinvolge 1,2 milioni di clienti e genera un flusso annuo di denaro pari a 6 miliardi di euro. Il tasso di mortalità è 40 volte superiore alla media e le prostitute corrono un rischio18 volte maggiore delle altre donne di essere uccise nell’esercizio della propria “professione”. Secondo l’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) i profitti della tratta di esseri umani (donne e minori) sono valutabili in 28,7 miliardi dollari anno. Infine una ricerca condotta su 800 donne in nove paesi ha appurato che il 71% ha subito aggressioni dai clienti, il 63% sono state violentate, il 68% soffre di disturbi post traumatici da stress, l’89% ha dichiarato che vorrebbe cambiare vita se ne avesse la possibilità. Passiamo all’industria della maternità surrogata. Solo in India (il maggior fornitore mondiale di uteri in affitto) il giro d’affari è stato di 449 milioni di dollari nel 2006. Qui la nocività fisica è minore (anche se non trascurabile) ma è assai elevata sul piano psicologico: la brusca separazione dal figlio/a che si è portato in grembo per nove mesi, del quale non si potrà mai più avere notizia è per molte un’esperienza traumatica che i miseri compensi non bastano a lenire.

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Paolo Cleopatra: Crisi bancaria americana, profezia o verità?

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Crisi bancaria americana, profezia o verità?

di Paolo Cleopatra

falsomjuy.jpegL’imminente crisi sistemica attuale si spiega ricordando brevemente le ragioni e lo svolgimento della crisi sistemica del 2007, causata dall’assenza di regole prima di tutto nel sistema statunitense.

L’inizio di quella crisi può essere ricondotto alla volontà delle principali istituzioni bancarie americane di spingere ai massimi livelli la concessione di mutui per l’acquisto di case: il sogno americano doveva essere sostenuto, ma soprattutto le spese dei privati dovevano continuare ad alimentare un mercato che dava da tempo segni di cedimento.

Decisione, quindi, politica, ma dalle fortissime implicazioni finanziarie e speculative.

Molte famiglie, rimaste scottate dalla crisi del 2001-2003, quando era scoppiata la bolla di internet, erano alla ricerca di altre forme di investimento e l’acquisto di una casa sembrava perfetto.

L’espansione del mercato immobiliare lasciava intravedere che la casa potesse sempre essere rivenduta a un prezzo maggiore; le agenzie immobiliari pensavano anche di poter incassare un numero crescente di intermediazioni.

Si è quindi messo in moto un mercato chiamato “NINJA”: “no income, no job or assets”, cioè mutui concessi a persone che non avevano un reddito, un lavoro o un’attività da dare a garanzia. Questa categoria fu chiamata “mutui subprime”, cioè con un’attendibilità al di sotto delle rate da pagare. Ingrossandosi, essa ha reso fragile la base economica delle successive operazioni finanziarie.

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Paolo Arigotti: Uno scenario di tipo ucraino per la Moldavia?

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Uno scenario di tipo ucraino per la Moldavia?

di Paolo Arigotti

Il territorio corrispondente all’attuale Moldavia, una superficie di poco superiore a un decimo di quella italiana, già facente parte dell’impero Ottomano, dopo alterne vicende seguite alla fine del primo conflitto mondiale, divenne nel giugno 1940 – per effetto del patto Molotov-von Ribbentrop e dell’ingresso dell’Armata Rossa in Bessarabia – parte integrante dell’Unione Sovietica, andando a costituire, assieme ad altri territori (compresa la Transnistria), la nuova Repubblica Socialista Sovietica di Moldova, una delle quindici entità federate dell’URSS.

Nell’agosto 1989 la Moldavia avviò il percorso verso l’indipendenza, adottando il rumeno (poi ribattezzato moldavo) come lingua ufficiale al posto del russo, e sostituendo il cirillico con l’alfabeto latino. Due anni dopo, approfittando del tentativo di golpe contro il leader sovietico Mikhail Gorbaciov, Chisinau dichiarò la propria indipendenza; per la cronaca, la Transnistria l’aveva preceduta di circa un anno, dichiarandosi indipendente già nel settembre del 1990, col nome ufficiale di Repubblica Socialista Sovietica Moldava di Pridnestrovia.

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Adriana Bernardeschi: La mutilazione di coscienza del radical chic

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La mutilazione di coscienza del radical chic

di Adriana Bernardeschi

In un mondo di diseguali che sprofonda nell’orrore di guerre, prevaricazioni, discriminazioni e violenze di ogni tipo, una certa “sinistra” borghese e benestante, spesso di valida provenienza militante, si fa compiaciuta portatrice di effimeri rammendi a una struttura irreparabilmente guasta. Lo fa da privilegiata, totalmente alienata da chi queste ingiustizie e questi orrori li subisce sulla propria pelle. Lo fa perché le è stata amputata la coscienza di classe. Come è avvenuta questa mutilazione e che cosa la alimenta e diffonde? Come contrastarla?

Vivendo per tanti anni a Milano, ho assistito, forse in modo più marcato che altrove, ma non si tratta certo di un fenomeno locale, alla progressiva fagocitazione della coscienza di classe della sinistra da parte del fenomeno cosiddetto “radical chic”.

Il benessere relativamente diffuso (ma sempre con i mendicanti distribuiti ogni pochi metri sui marciapiedi e i senza dimora a dormire nei ripari fortuiti dei mezzanini della metropolitana, a testimonianza delle violente diseguaglianze) degli anni che hanno preceduto l’esplodere della crisi economica (che era però già innescata da tempo) ha prodotto in un certo popolo di sinistra – per la mia esperienza posso testimoniare su quello milanese, ma in forme leggermente diverse, più o meno marcate, questo è successo ovunque – una falsa coscienza da “sabato in barca a vela, lunedì al Leoncavallo”, come recita una canzone degli anni Novanta di un gruppo milanese, per l’appunto.

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Marco Pondrelli: Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari di Alessandro Pascale

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Comunismo o barbarie. Un manuale per ribelli rivoluzionari di Alessandro Pascale

di Marco Pondrelli

Il ponderoso libro di Alessandro Pascale è una lettura stimolante che chiunque può leggere, è però pensato innanzitutto per formare i futuri militanti e quadri comunisti. La formazione è stata, dalla nascita di Rifondazione Comunista in poi, la grande assente nella prassi delle organizzazioni comuniste. Ci si avvicina e si entra in un Partito senza essere comunisti formati, il compito del Partito è costruire i futuri quadri dirigenti. Lenin diceva che dopo una sconfitta i comunisti sono quelli che resistono meglio, perché sanno ritirarsi in modo organizzato, se questo negli ultimi decenni non è successo è anche perché in passato era mancato un lavoro di formazione. Il fatto che pezzi del gruppo dirigente del PRC siano finiti nel Pd o addirittura con Matteo Renzi spiega e dimostra questi limiti.

L’Autore ricorda come la nascita di alcuni recenti movimenti di protesta si stata segnata da una forte spontaneità, con il rischio concreto di ‘diventare strumenti manipolabili facilmente dal regime’ [pag. 14], è emblematico il caso di Podemos in Spagna. Questa capacità di manipolare diventa evidente quando si svuotano di significato alcune figure trasformandole in icone.

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Paolo Ferrero: L’occidente e il nemico permanente: il libro di Elena Basile è in sintonia con la linea del Papa

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L’occidente e il nemico permanente: il libro di Elena Basile è in sintonia con la linea del Papa

di Paolo Ferrero

Le reazioni dei media e dell’establishment all’appello che il Papa ha fatto al governo ucraino di arrendersi per porre termine e quello che è un insensato macello sono emblematici della follia che caratterizza il mondo occidentale.

Da un lato, i “cani da guardia” con l’elmetto che, in piena sintonia con il governo ucraino, considerano il Papa un traditore, un amico di Putin e così via. Dall’altra la tendenza “riformista”, di chi cerca di ingabbiare quanto detto da Francesco per ricondurlo alla normale amministrazione, all’inefficacia. Il Cardinale Parolin è la punta di lancia di questa tendenza, condizionando l’apertura delle trattative al cessate il fuoco russo. A compendio di queste due impostazioni il grosso dei media ha sottolineato come il Papa sia un uomo di fede e non un diplomatico o un politico, ma soprattutto ne ha praticata una terza: smettere di parlarne il più rapidamente possibile. Infatti il Papa è scomparso dagli schermi in un battibaleno.

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Luciano Bertolotto: Urbanistica e opposizione

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Urbanistica e opposizione

di Luciano Bertolotto

Perché?

Scelta obbligata, almeno per me. Piccola città. Deindustrializzata. Invecchiata. Come molti altri paesoni in Piemonte. La politica? Si vota ogni cinque anni, e tanto basta. Alle urne ci va metà, o poco più, degli aventi diritto.

Il volontariato è, in piccola parte, impegnato sul piano culturale. Molto di più nell’assistenza. Attività meritorie. Però non mi sembrano bastanti a porre (se non in piccola parte) rimedio alle deficienze di questo modo di vivere. E alle relative conseguenze… Vorrei incidere, concretamente, sulle cause. Per questo, anche se poco la conosco, mi occupo di urbanistica. Con la velleità di fare una (sia pur minima) opposizione. Che, poi, consiste nella resistenza a decisioni che altri hanno preso. Non c’è nulla(forse…) di scandaloso in quello che lor signori fanno. Almeno, niente di nuovo. I soldi ci sono. Qualcuno fatto in precedenza con il nero. Sia nei conti che in cantiere.

Forse c’è, pure, una fettina dei tanti miliardi che le mafie investono sul territorio nazionale. Ma di questo, in città, si parla poco e sottovoce…

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