[SinistraInRete] Alberto Bradanini: “Unione” europea: su cosa (esattamente) siamo chiamati a votare?

Rassegna 09/06/2024

 

Alberto Bradanini: “Unione” europea: su cosa (esattamente) siamo chiamati a votare?

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“Unione” europea: su cosa (esattamente) siamo chiamati a votare?

di Alberto Bradanini

720x410c50kiuhbn.jpg1. La narrativa dominante propone il mito iconico di un’Unione Europea (UE) che sfiora il campo della religiosità, un mito destinato a sfarinarsi se solo si trovasse il coraggio di scendere sotto la superficie. Pochi lo fanno, i più preferiscono tenersi a giusta distanza, contenti di digerire le quotidiane menzogne per pigrizia, disinteresse o timore di scoprire che quell’imbroglio premeditato merita il cassonetto dell’indifferenziata!

È sufficiente lo sguardo di un adulto normale (nel senso etimologico, vale a dire che rispetta la norma e la logica) affinché la menzogna si sfaldi, facendo emergere la funesta realtà di una gigantesca mistificazione.

La macchina tecnocratica europea, con gli ingombranti deficit di democrazia, viene somministrata a una popolazione priva di consapevolezza (oltre che di strumenti di accesso) da parte di individui deprecabili, i quali – poco importa se consapevoli o meno – si piegano da decenni a un disegno devastatore in cambio di onori, carriere e prebende.

La pervasività di tale intelaiatura devastatrice possiede una portata che in alcuni paesi (l’Italia, ad esempio, mentre Francia e Germania si sono ben guardate di giungere a tanto!) sopravanza persino la dimensione giuridica e valoriale di una Costituzione straordinaria come la nostra, nata, è bene ricordarlo, dalla vittoria su fascismo e nazismo, che mirava alla costruzione di un mondo di pace e avanzamento sociale.

Ma veniamo al punto. Per una decente decifrazione degli accadimenti, vincendo la pratica di luoghi comuni ben più nocivi di un totale analfabetismo, occorre superare la barriera distorsiva che impedisce di incamminarsi sul percorso della comprensione. Un esempio manifesto di raggiro terminologico è costituito dal termine Unione (in corsivo il sostantivo).

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Mike Whitney: In Ucraina ogni escalation avvicina sempre più Washington alla sconfitta

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In Ucraina ogni escalation avvicina sempre più Washington alla sconfitta

di Mike Whitney

putin
guerriero.jpgC’è una grande differenza tra “non vincere” e “perdere” una guerra. Nel caso dell’Ucraina, “non vincere” significherebbe che il Presidente Zelensky e i suoi referenti a Washington scelgono di perseguire una soluzione negoziata che consenta alla Russia di mantenere il territorio catturato durante la guerra, soddisfacendo al contempo le modeste richieste di sicurezza di Mosca. (Nota: l’Ucraina deve a tutti i costi evitare di aderire alla NATO).

D’altra parte, “perdere” la guerra significa che gli Stati Uniti e la NATO continueranno sulla stessa strada di oggi – riversando in Ucraina armi letali, addestratori e sistemi missilistici a lunga gittata – sperando che l’offensiva russa venga progressivamente indebolita e che l’Ucraina possa prevalere sul campo di battaglia. Questo percorso alternativo – che equivale a un pio desiderio – è il percorso per “perdere” la guerra.

A differenza dello scenario del “non vincere” la guerra, il “perdere” la guerra avrà un effetto catastrofico sugli Stati Uniti e sul loro futuro. Vorrà dire che Washington non è stata in grado di impedire un’incursione militare russa in Europa, che è la principale ragione d’essere della NATO. Metterebbe in discussione l’idea che gli Stati Uniti sono in grado di agire come garanti della sicurezza regionale, ruolo di cui gli USA godono dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La percezione di una sconfitta degli Stati Uniti per mano della Russia innescherebbe inevitabilmente una rivalutazione delle attuali relazioni di sicurezza che porterebbe alla dissoluzione della NATO stessa e, molto probabilmente, anche dell’UE. In poche parole, perdere la guerra sarebbe un disastro. Ecco come, la settimana scorsa, il colonnello Daniel Davis ha riassunto la situazione:

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Jacques Bonhomme: La Resistenza palestinese e i movimenti antimperialisti 

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La Resistenza palestinese e i movimenti antimperialisti 

di Jacques Bonhomme 

palestina
11.jpg1. Perché la Palestina resiste 

Perché la Palestina resiste? È questa la domanda che, riemersa da un vecchio titolo, si fa strada in molti di noi. Il vecchio titolo, giova ritornarci, era quello di un piccolo volumetto sulla lunga e travagliata storia anticoloniale del popolo vietnamita, scritto da Jean Chesneaux. La stessa domanda dopo sessant’anni, con altri luoghi e un altro popolo, con un popolo, quello palestinese, che già allora si specchiava in quello vietnamita, come del resto in quelli dell’Africa e dell’America latina; la stessa domanda, certo, ma con un mondo dove le restaurazioni sembrano subentrate alle rivoluzioni che allora scuotevano e percuotevano la catena imperialistica mondiale e che nella moltiplicazione dei Vietnam avevano la loro metaforica parola d’ordine. Ed è una domanda, inoltre, che avvicina i mondi complementari delle masse metropolitane dell’Occidente, disarmate dalla scomposizione tecnologica dei luoghi dell’unità di classe, e dei popoli delle periferie coloniali, anch’essi derubati dei progetti di liberazione del secolo scorso, di quei progetti che, dapprima, furono interrotti e soffocati da una controrivoluzione imperialistica mondiale e che, successivamente, o a volte contemporaneamente, vennero disarticolati dal neocolonialismo.

La domanda, quindi, riunisce umanità sfruttate, svalutate e respinte – i sottouomini di Sartre, per intendersi – e fa riascoltare voci antiche nelle nuove, apre una prospettiva sulle forze che, nei mutevoli contesti storici, ridanno costantemente vigore alle lotte antimperialistiche. Infine, questa domanda, come avviene in ogni buona filosofia, avvia un’indagine e chiede repliche e proseguimenti, e, soprattutto, non sollecita una risposta che stringa in mano elementi saldi e univoci, poiché questi, mentre gli aerei israeliani bombardano rabbiosamente i palestinesi e i loro fedayyin, non sono afferrabili.

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Massimo Zucchetti: I rischi inaccettabili di una guerra nucleare, “spiegati bene”

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I rischi inaccettabili di una guerra nucleare, “spiegati bene”

di Massimo Zucchetti

Una lezione di un’ora e mezza di Massimo Zucchetti

Questa lezione è la più brutta fra quelle che devo fare ogni anno. In realtà per i miei allievi ingegneri energetici e nucleari della Laurea magistrale al Politecnico andiamo avanti ben più di un’ora e mezza, ma ho deciso di divulgarne questa versione per il pubblico.

Sono un prof. di Impianti Nucleari al Politecnico di Torino. La mia materia principale è la Protezione dalle Radiazioni.

Dato che trovo irresponsabile e atroce che – recentemente – più di un governante parli di una guerra nucleare come un’opzione sì estrema, ma possibile e praticabile, ho ritenuto necessario trasmettere e mettere in pubblico le mie conoscenze di (purtroppo) esperto nel settore.

Provo a raccontarvela io, per ribadire come l’uso di bombe atomiche, piccole, grandi, russe, cinesi, americane, francesi, inglesi non è MAI concepibile, per NESSUN motivo.

Non c’è bisogno di essere studenti universitari, per seguirmi: basta avere un po’ di basi di chimica e fisica, oltre che una grande pazienza.

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Giacomo Gabellini: Escalation senza strategia: la pericolosissima deriva della Nato

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Escalation senza strategia: la pericolosissima deriva della Nato

di Giacomo Gabellini

Nei giorni scorsi, droni ucraini hanno preso di mira due stazioni radar di cui si compone la rete strategica di allerta precoce della Russia, colpendone una. Le strutture costituiscono parte integrante della rete strategica di allerta precoce della Russia e il loro danneggiamento, anche temporaneo, deteriora la capacità del Paese di rilevare con il dovuto tempismo minacce atomiche in arrivo. La dottrina nucleare russa identifica qualsiasi attacco al sistema essenziale di primo allarme nucleare come una ragione sufficiente per legittimare una ritorsione diretta e proporzionale. Il senatore russo Dimitrij Rogozin ha dichiarato in proposito che l’attacco ha preso di mira «un elemento chiave dell’ombrello nucleare della Russia», ed aggiunto che «il profondo coinvolgimento di Washington nel conflitto e il controllo totale esercitato dagli americani sulla pianificazione militare di Kiev significa che le affermazioni secondo cui gli Stati Uniti non sono a conoscenza dei piani ucraini per colpire il sistema di difesa missilistico russo possono essere escluse».

Parallelamente, una quota maggioritaria di Paesi membri della Nato ha autorizzato Kiev ad avvalersi dei sistemi d’arma occidentali forniti nel corso del conflitto per sferrare attacchi in profondità in territorio russo.

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Piccole Note: Zelensky al G-7 e il fallimento del summit svizzero

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Zelensky al G-7 e il fallimento del summit svizzero

di Piccole Note

Le tensioni tra la Casa Bianca e Zelensky. Biden preferisce una raccolta fondi in California al “summit” svizzero

Zelensky ha fallito. Il vertice previsto in Svizzera da il 15 e 16 giugno che dovrà dibattere della sua piattaforma per la pace in Ucraina si preannuncia una débacle. Lo conferma l’annuncio di ieri della sua presenza al G-7 che si terrà in Italia nei giorni precedenti, che ha tutta l’aria di una contromossa per tentare di arginare la portata del fallimento. Gli serve una photo opportunity con Biden, che appare ancora intenzionato a non intervenire al suo summit, preferendogli una convention di donatori della California.

La disperazione del presidente ucraino è emersa in tutta la sua plasticità nel suo “Discorso ai leader mondiali alla vigilia del vertice di pace” del 26 maggio, registrato tra le rovine di una casa editrice bombardata a Kharkov, nel quale ha invitato il presidente Biden e il presidente cinese Xi a intervenire in Svizzera.

“Per favore, fai vedere la tua leadership nel portare la pace: la vera pace, e non una pausa delle ostilità”, ha detto Zelensky rivolto a Biden. Ripetendosi il 28 maggio, quando ha affermato che l’assenza del presidente degli Stati Uniti “sarà applaudita da Putin” e aggiungendo “con tutto il rispetto, ritengo che la decisione di non partecipare al vertice non sia una prova di forza”.

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Alessandro Iannucci: La colpa di Antigone

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La colpa di Antigone

di Alessandro Iannucci

Eva Cantarella: Contro Antigone o dell’egoismo sociale, pp. 120, € 13, Einaudi, Torino 2024

Antigone, come suggeriva già Steiner, è il nome di un personaggio universale e riconosciuto come attuale in ogni tempo e in ogni cultura; da millenni, attraverso Antigone, poeti e scrittori, artisti e drammaturghi, filosofi e giuristi, leggono la storia del conflitto tra individuo e potere, tra ragioni e leggi della natura, la physis, e quelle del diritto positivo, spesso arbitrario, il nomos. Soprattutto tra XIX e XX secolo le nuove Antigoni diventano protagoniste della coscienza inquieta di una contemporaneità che ancora dura; Brecht, in particolare, ne fa un’eroina della ribellione che sa resistere alla violenza del sopruso totalitario e la consegna a un immaginario in cui rappresenta il segno femminile, pacifista e intimamente declinato sul privato di un’umanità in profonda crisi.

Eppure questo mito, una narrazione che si espande e si trasforma a ogni sua nuova riscrittura, sembra non aver nulla a che fare con il personaggio messo in scena da Sofocle per il pubblico di Atene nell’omonima tragedia. Nella sua Antigone si profilava un personaggio affatto diverso, ostile alla comunità e prigioniero dei propri incubi di figlia nata dall’incesto, destinata a trascinare con sé nella propria rovina il promesso sposo Emone e il padre Creonte, incolpevole reggente di una città colpita da un male inesorabile: le vicende e gli errori di una famiglia che ricadono sull’intera comunità.

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Simona Borioni: Ma tu condanni il 7 ottobre?

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Ma tu condanni il 7 ottobre?

di Simona Borioni*

76 anni di apartheid, di violenze e assassinii perennemente impuniti da parte dell’esercito di occupazione, di risoluzioni ONU violate, di bambini arrestati e giudicati da tribunali militari. Vademecum sulle atrocità sioniste a uso di chi non sa che la storia non ha avuto inizio il 7 ottobre

Ma tu condanni il 7 ottobre?

E tu condanni le scorribande armate che già dagli anni trenta del secolo scorso mettevano a ferro e fuoco la Palestina, con l’idea di una terra da “liberare” per realizzare uno Stato di ebrei per soli ebrei? (Ilan Pappe e Gideon Levy)

Condanni la dichiarazione Balfour e l’illegittimità con cui l’Occidente ha avallato la creazione di uno Stato ebraico in Palestina, per la volontà di stabilire un avamposto occidentale nel cuore di un’area strategica come il Medio Oriente, con arroganza colonialista senza voce dei palestinesi, ma sulla loro pelle e sulle loro vite?

Condanni il Sionismo, già dall’Onu definito ideologia razzista, portatore di una idea di diritti esclusivi e suprematismo religioso?

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Tendenza internazionalista rivoluzionaria: Un passo dopo l’altro, verso lo scontro totale tra NATO e Russia

ilpungolorosso

Un passo dopo l’altro, verso lo scontro totale tra NATO e Russia

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

NATO SummitChe la NATO e la Russia siano in guerra aperta dal 24 febbraio di due anni fa è perfino banale. Lo è almeno per noi che dal primo momento abbiamo sostenuto che quando si dice Ucraina, si deve in realtà leggere NATO – questo, per somma sventura delle ucraine e degli ucraini convinti (sono ogni giorno di meno) di stare combattendo una guerra per la propria auto-determinazione. Altrettanto banale è che la prima fase della guerra si sta chiudendo con la secca sconfitta militare della NATO sul territorio ucraino. La Russia non ha difficoltà a tenere ed estendere le posizioni conquistate nel Donbass, e sta saggiando le difese di Kharkiv/Kharkov, la seconda città ucraina.

Non è soltanto una sconfitta militare, è una sconfitta su tutti i piani – anche se, come vedremo, tutt’altro che definitiva per la furiosa reazione del blocco occidentale. L’Ucraina come nazione è stata spinta al suicidio dai cinici oligarchi di Washington, Bruxelles e Kiev – pienamente complice l’Italia di Mattarella, Draghi e Meloni. L’Ucraina è oggi il terzo paese più indebitato al mondo con il FMI, uno stato fallito. La rete delle sue infrastrutture è a pezzi, come lo è la sua economia, inclusa la sua agricoltura un tempo fiorente, e oggi boicottata anche dai coltivatori polacchi. Gran parte delle sue fabbriche – parliamo di quelle scampate ai bombardamenti di Mosca – sono state private di personale, quindi disorganizzate, per le imperiose esigenze del reclutamento. Tant’è che si comincia a parlare di “spingere le donne e i bambini” (sì, i bambini) verso le fabbriche a corto di personale. Le perdite di soldati al fronte sono spaventose. La sempre più estesa fuga dal reclutamento rende ormai difficilissimi il rimpiazzo e la turnazione dei soldati esausti.

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Alastair Crooke: Il prossimo Novus Ordo Seclorum: il cambiamento è necessario, non c’è scelta!

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Il prossimo Novus Ordo Seclorum: il cambiamento è necessario, non c’è scelta!

di Alastair Crooke

720x410c50nkhufykDurante una visita a Oxford alcune settimane fa, Josep Borrell, l’Alto Rappresentante dell’UE, ha fatto un’osservazione interessante: “La diplomazia è l’arte di gestire i doppi standard”. Walter Münchau ha illustrato l’ipocrisia intrinseca di questo concetto, confrontando l’entusiasmo con cui i leader dell’UE hanno sostenuto la decisione della Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto contro Putin lo scorso anno e “il rifiuto di accettarla quando colpisce un membro del proprio team” (cioè Netanyahu).

L’esempio più eclatante di questo doppio standard riguarda la gestione occidentale delle realtà create. Un doppio standard – una ‘narrazione’ di noi che ‘vinciamo’ – viene costruito e poi contrapposto a una narrazione di ‘loro che falliscono’.

L’uso della creazione di narrazioni di vittoria (invece di ottenere effettivamente la vittoria) può sembrare piuttosto astuto, ma l’incertezza che causa può avere conseguenze potenzialmente disastrose. Ad esempio, le minacce deliberatamente confuse del Presidente Macron di inviare forze NATO a servire in Ucraina – che hanno solo contribuito a preparare la Russia per una guerra più ampia contro tutta la NATO, accelerando le sue operazioni offensive.

Invece di scoraggiare – come probabilmente intendeva Macron – ha portato a un avversario più determinato, con Putin che ha avvertito che la Russia eliminerebbe qualsiasi ‘invasore’ della NATO. Non è stato così astuto, dopo tutto…

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Nevio Gambula: Nessuna indulgenza nei confronti di chi giustifica Israele

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Nessuna indulgenza nei confronti di chi giustifica Israele

di Nevio Gambula*

Sono stato oggetto d’attenzione di un sostenitore di Israele, venuto da me per ripetere il mantra: è colpa di Hamas. Ora, di fronte a quanto sta accadendo – lo sterminio dei palestinesi, secondo la Corte penale internazionale – non sono più disponibile a essere indulgente; preferisco essere apocalittico: si tratta di una posizione ripugnante, sia in senso intellettuale che umano.

In fatto di giustizia, una tale posizione esprime una grande ignoranza del diritto, giacché l’aver subito l’orrore del 7 ottobre non rende Israele automaticamente impunibile; se vale il principio della legge “uguale per tutti”, allora ogni crimine di guerra – e contro l’umanità – va perseguito, chiunque sia a commetterlo.

Non serve neppure discutere; resta sempre presente il pronunciamento delle due corti più importanti al mondo, entrambe le quali hanno stabilito: la Corte Penale Internazionale che ci sono gli estremi per un mandato di cattura per i vertici israeliani, la Corte Internazionale di Giustizia che ci sono elementi che rendono “plausibile” l’esistenza di un genocidio.

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Leonardo Lugaresi: Mattarella e la “sacra” sovranità europea. Mi faccio due domande da semplice cittadino

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Mattarella e la “sacra” sovranità europea. Mi faccio due domande da semplice cittadino

di Leonardo Lugaresi

Il presidente della Repubblica Italiana, in un discorso ufficiale al corpo diplomatico accreditato presso il nostro stato, in occasione della Festa della repubblica ha dichiarato, con riferimento agli eventi del periodo 1943-1946, che «fare memoria del lascito ideale di quegli avvenimenti fondativi è dovere civico e preziosa opportunità per riflettere insieme sulle ragioni che animano la vita della nostra collettività, inserita oggi nella più ampia comunità dell’Unione Europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri popoli liberi del continente e di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento Europeo, la sovranità».

Salto a piè pari l’effimera polemichetta che ne è nata, perché è esclusivamente legata alle elezioni imminenti e tra pochi giorni sarà morta e sepolta. Guardo solo alle parole di Sergio Mattarella che, in quanto pronunciate dal capo dello stato in un discorso ufficiale, debbo pensare siano state attentamente ponderate e calibrate, e che, da quidam de populo quale sono, francamente trovo anch’io piuttosto problematiche nella forma e nella sostanza. Per quanto riguarda la forma, da cittadino italiano mi disturba che egli parli dello stato che presiede come di una «collettività», usando un termine quanto mai generico, evasivo e semanticamente debolissimo.

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Thomas Fazi: La svolta autoritaria della Germania. Un establishment disperato non tollera il dissenso

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La svolta autoritaria della Germania. Un establishment disperato non tollera il dissenso

di Thomas Fazi

Solo cinque anni fa, il 70° anniversario della nascita dello Stato democratico tedesco del dopoguerra fu accompagnato da celebrazioni euforiche in tutto il Paese. Questa settimana, invece, pochi tedeschi erano in vena di festeggiare. A parte i problemi economici della Repubblica Federale di Germania, l’opinione prevalente è che la democrazia tedesca non gode di ottima salute.

Di chi è la colpa? Il consenso liberal-centrista è che il Paese sta affrontando una minaccia senza precedenti da parte di forze nefaste populiste e di estrema destra, in particolare l’AfD, che mira, secondo il vice-cancelliere del Paese, a “trasformare la Germania in uno Stato autoritario”. Ma si può benissimo sostenere che la Germania sta già mostrando preoccupanti segni di autoritarismo, per mano di quelle stesse forze liberal-centriste che sostengono di difendere la democrazia dai barbari alle porte.

All’inizio di questo mese, un tribunale ha respinto un reclamo dell’AfD contro la sua classificazione da parte dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (BfV) come sospetto estremista di destra. Ciò significa che il BfV, il servizio di intelligence nazionale, può continuare a monitorare le attività e le comunicazioni dell’AfD. Il governo tedesco l’ha accolta come una vittoria. “La sentenza di oggi dimostra che siamo una democrazia che può essere difesa”, ha dichiarato il Ministro degli Interni Nancy Faeser.

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Francesco Cori: Crisi economica, economia di guerra e complessità del conflitto sociale

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Crisi economica, economia di guerra e complessità del conflitto sociale

di Francesco Cori

Perché la perdita d’egemonia dell’imperialismo occidentale non determina automaticamente la crescita del conflitto sociale e la riaggregazione politica in chiave antimperialistica delle masse popolari. Inizio di una riflessione

Nel corso degli ultimi dieci anni, e in particolare quest’anno, stiamo assistendo a una perdita di potere e di egemonia dell’imperialismo occidentale, sia sul piano politico internazionale che su quello delle idee. All’attuale sconfitta sul piano militare in Ucraina si aggiunge una perdita progressiva del consenso delle potenze occidentali per la ferocia e la brutalità con cui Israele sta conducendo un vero e proprio genocidio nei confronti della popolazione palestinese; un’iniziativa che ha prodotto un forte movimento di protesta, soprattutto nelle università e tra i giovani di tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti. Questi ultimi due anni di politiche di guerra, a partire dal 24 Febbraio 2022, inoltre, hanno determinato un impoverimento progressivo delle classi popolari, a partire dai lavoratori dipendenti, che ha visto accrescersi ancora di più la forbice sociale nel paese. Il divario tra ricchezza e povertà è ulteriormente cresciuto: gli extra-profitti ricavati nel settore energetico, in quello bancario e in una parte del settore industriale non sono stati minimamente tassati, mentre la crisi di sovrapproduzione perenne in area euro – con un tasso di crescita che è mediamente inferiore al 2% – determina un costante blocco degli investimenti che produce effetti devastanti sulla disoccupazione e, di conseguenza, sull’offerta di lavoro e sulla dinamica dei salari.

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Giorgio Agamben: L’invenzione del nemico

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L’invenzione del nemico

di Giorgio Agamben

Credo che molti si siano chiesti perché l’Occidente, e in particolare i paesi europei, cambiando radicalmente la politica che avevano perseguito negli ultimi decenni, abbiano improvvisamente deciso di fare della Russia il loro nemico mortale. Una risposta è in realtà senz’altro possibile. La storia mostra che quando, per qualche ragione, vengono meno i principi che assicurano la propria identità, l’invenzione di un nemico è il dispositivo che permette – anche se in maniera precaria e in ultima analisi rovinosa – di farvi fronte. È precisamente questo che sta avvenendo sotto i nostri occhi. È evidente che l’Europa ha abbandonato tutto ciò in cui per secoli ha creduto – o, almeno, ha creduto di credere: il suo Dio, la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, la giustizia. Se nella religione – con la quale l’Europa si identificava – non credono più nemmeno i preti, anche la politica ha perduto ormai da tempo la capacità di orientare la vita degli individui e dei popoli. L’economia e la scienza, che hanno preso il loro posto, non sono in grado in alcun modo di garantire un’identità che non abbia la forma di un algoritmo.

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