Non c’è pace nello Sri Lanka: Amnesty International denuncia la repressione post elettorale

Nello Sri Lanka si e’ aperta una nuova fase di repressione, soprattutto ai danni di giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani.

All’indomani della diffusione dei risultati delle elezioni, che il 26
gennaio hanno visto la riconferma del presidente Mahinda Rajapaksa, nello
Sri Lanka si e’ aperta una nuova fase di repressione, soprattutto ai danni
di giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani. Il
Centro di monitoraggio della violenza elettorale ha registrato oltre 85
episodi, tra cui due omicidi e diverse aggressioni.

I giornalisti dello Sri Lanka hanno fornito ad Amnesty International una
lista di 56 colleghi che hanno subito gravi minacce: alcuni di essi
lavorano per la Sri Lanka Broadcasting Corporation, di proprieta’ del
governo, altri per reti private come Independent Television Network, Lak
Hada Lake House.

Il 29 gennaio le forze di sicurezza hanno arrestato 13 ex ufficiali che
avevano sostenuto la candidatura dell’ex generale dell’esercito Sarath
Fonseka. Secondo il governo, Fonseka e i suoi seguaci stanno tramando un
colpo di stato.

Sempre il 29 gennaio, gli uffici di un portale molto popolare nel paese,
Lanka E News, sono stati chiusi. Due giorni prima delle elezioni, un
giornalista e analista politico che collaborava al portale, Prageeth
Eknaligoda, e’ stato sequestrato sulla via di casa e risulta tuttora
scomparso. Sua moglie, recatasi alla stazione di polizia di Homagama per
denunciarne la sparizione, e’ stata trattenuta per diverse ore.

‘Auspicavamo che dopo la vittoria contro le Tigri tamil e le elezioni, la
repressione politica nello Sri Lanka sarebbe cessata. Invece, stiamo
assistendo a un grave giro di vita nei confronti della liberta’
d’espressione’ – ha dichiarato Madhu Malhotra, vicedirettore del Programma
Asia e Pacifico di Amnesty International. ‘Il governo del presidente
Rajapaksa dovrebbe dimostrare seriamente l’intenzione di affrontare la
tragica piaga delle violazioni dei diritti umani, invece di scatenare una
nuova ondata repressiva’.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 2 febbraio 2010

 

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