“Acque potabili siciliane sull’orlo del fallimento”

Acque potabili siciliane è sull’orlo del fallimento. A cinquanta giorni dal referendum Torino si trova a vivere i primi effetti di quel che potrebbe accadere presto su vasta scala.

Smat investe a Palermo,  buco da 14 milioni di euro

Acque potabili siciliane, costituita nel 2007, è sull’orlo del fallimento. A cinquanta giorni dal referendum Torino si trova a vivere i primi effetti (in questo caso negativi) di quel che potrebbe accadere presto su vasta scala quando il decreto Ronchi – che impone la liberalizzazione dei servizi pubblici locali – verrà applicato in tutta Italia. Nel 2007 Acque Potabili spa – società controllata al 30,86 per cento da Smat e al 30,86 da Iride Acqua Gas – ha partecipato alla gara per gestire il servizio idrico a Palermo e dintorni. L’ha vinta, costituendo Acque Potabili Siciliane, società guidata da Acque Potabili spa al 56,77 per cento e partecipata anche da Mediterranea delle Acque (controllata da Iren) e dalla stessa Smat (9,83 per cento).

Dopo nemmeno quattro anni l’Autorità d’ambito di Palermo ha dichiarato chiusa la convenzione. Acque potabili siciliane ha accumulato un buco di 14 milioni di euro ed è sull’orlo del fallimento. L’assemblea straordinaria dei soci ha deliberato lo scioglimento della società, che è ora in liquidazione e qualche giorno fa ha fatto richiesta di concordato preventivo al tribunale di Palermo, ultimo tentativo per salvarsi. «Tale perdita non potrà non gravare, direttamente o indirettamente, anche sui cittadini torinesi», scrive l’Agenzia per i servizi pubblici locali di Torino nella sua relazione annuale. Il perché è presto detto. La città, in quest’operazione, potrebbe rimetterci due volte: come azionista unico di Smat – che ha partecipato sia in prima persona sia dentro Acque potabili spa – e come azionista di Iren. Quanto? Le perdite – dato non ufficiale – dovrebbero ammontare a 8 milioni. Resta il fatto che Smat, società che da anni macina utili, si trova alle prese con un’operazione che non inciderà sul servizio idrico torinese ma potrebbe influire negativamente sui fondi a disposizione per gli investimenti.

Per la città è un segnale da non sottovalutare, almeno secondo l’Agenzia per i servizi pubblici locali, che lo scrive nella sua relazione: «Episodi come questo, con le incognite e le turbolenze che può subire un’impresa che voglia fare il suo ingresso sul mercato nazionale e internazionale, potrebbero suggerire alle aziende e alla politica torinese di interrogarsi sui rapporti tra espansione territoriale e collegamenti con il territorio di provenienza, tra crescita del rischio industriale e aumento dell’azzardo al quale viene esposto il patrimonio degli azionisti-contribuenti». Un monito che dà linfa al fronte del «sì» nel referendum sull’acqua del 12 giugno. «Gli atti del Consiglio comunale e le delibere popolari parlano chiaro», ha detto Enzo Cugusi (Sel), presidente della commissione Ambiente, nell’ultima seduta in Sala Rossa. «Vincolano a garantire che la gestione del servizio idrico sia operata senza scopo di lucro ed esclusivamente mediante soggetti interamente pubblici». La battaglia sarà aspra, anche a livello politico.

Il fronte del «sì», in città, aggrega sinistra e buona parte del Pd ma non, ad esempio, il sindaco. Sergio Chiamparino è tra i sostenitori del decreto Ronchi. La sua giunta ha percorso questa strada prima ancora che diventasse obbligatoria, cominciando dal trasporto locale, messo a gara a gennaio. Ora, dovrebbe procedere con rifiuti, energia, e forse anche acqua. Le soluzioni sono due: l’affidamento del servizio tramite gara pubblica o l’individuazione di un socio privato che acquisisca almeno il 40 per cento del capitale.

La prima è più radicale: chi la sostiene è convinto che la concorrenza possa garantire un miglior servizio a tariffe più vantaggiose. Non mancano le incognite: cosa succederebbe se a vincere la gara non fossero le aziende comunali (Amiat, Smat)? Per le casse del Comune sarebbe uno sfacelo: azzeramento del patrimonio e degli investimenti. Gli assertori delle gare replicano che l’azienda comunale potrebbe comunque concorrere alla gestione del servizio per altri enti locali. Insomma, un comune che ha costituito un’azienda per gestire un servizio, affiderebbe la gestione di quel servizio a un’altra società, mentre la sua impresa si farebbe carico dello stesso servizio altrove, con tutti i rischi per la finanza pubblica derivanti da un’attività imprenditoriale di quel tipo. Pura teoria, dirà qualcuno. Secondo molti, a cominciare dall’Agenzia diretta da Carlo Foppa, il rischio c’è. E il caso Palermo lo proverebbe.

http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/399360/

 

(Andrea Rossi – La  Stampa di Torino)

 

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