L’ILVA è la dimostrazione su grande scala che la gestione privata delle aziende è una cosa rovinosa per gli operai e per le masse popolari.
Comunicato CC 25/2019 – 10 novembre 2019
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L’ILVA è la dimostrazione su grande scala che la gestione privata delle aziende è una cosa rovinosa per gli operai e per le masse popolari. All’ILVA come alla FIAT, alla Whirlpool come all’Alitalia, la gestione privata delle attività economiche crea un terreno dove corruzione, malavita e speculazioni di ogni genere si intrecciano con il disastro ambientale, l’inquinamento e la disgregazione sociale.
Dall’ILVA alla crisi ambientale, dalla salute al lavoro per tutti!
Ogni crisi particolare è risolvibile, ma ogni soluzione particolare per durare ha bisogno della trasformazione generale politica, economica e sociale del paese!
ILVA e tutto il settore siderurgico (da Taranto a Piombino, a Terni, a Conegliano), Alitalia, Whirlpool, FIAT (con IVECO e le altre società connesse da Mirafiori a Termini Imerese), Bekaert, i 160 tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello Sviluppo Economico, l’indotto e la componentistica … è gran parte dell’apparato produttivo italiano che è in crisi, milioni i lavoratori direttamente coinvolti, dipendenti e autonomi, fino agli agricoltori e ai pescatori. Le aziende che “tirano” sono destinate a diventare aziende in crisi, in ridimensionamento, chiusura o delocalizzazione. L’operaio che non vede la crisi arrivare nella sua azienda, coinvolgere la sua azienda, si culla in illusioni e in speranze se non previene le mosse del padrone: i padroni guadagnano di più speculando che facendo produrre. In Italia il corso delle cose da dieci anni a questa parte non lascia spazio a dubbi. Il corso delle cose negli altri paesi imperialisti mostra lo stesso andazzo. Prima di cercare di chiudere l’ILVA e prenderne il mercato, il gruppo Mittal ha già chiuso le grandi acciaierie Arcelor, a Florange e a Gandrange in Francia. Globalizzazione (mondializzazione) significa che grandi gruppi imperialisti hanno preso in mano le singole aziende, a volte interi settori; hanno aperto gran parte del mondo ai loro affari, si guardano in cagnesco tra di loro e chiamano Stati canaglia quelli che ostacolano le loro scorrerie; fanno privatizzare i servizi pubblici e il settore pubblico dell’economia e ristrutturare al modo di aziende capitaliste quello che non privatizzano; spostano le aziende produttrici di merci dai paesi imperialisti dove gli operai e le masse popolari mantengono ancora una parte delle conquiste, salari e diritti che hanno strappato nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) quando il movimento comunista era forte, verso i paesi oppressi e i paesi ex socialisti dove i salari sono più bassi di quelli dei paesi imperialisti e per i lavoratori non esistono diritti; devastano, saccheggiano e costringono la popolazione a emigrare, moltiplicano le guerre e le “spedizioni umanitarie”. Ma già aumentano i paesi dove le masse popolari si ribellano: dal Cile al Libano, all’Ecuador all’Iraq, dalla Spagna alla Francia.
Nazionalizzare le aziende in crisi è la soluzione ovvia. Ogni azienda che i padroni vogliono ridurre, chiudere o delocalizzare va nazionalizzata senza indennizzo. Non una “nazionalizzazione temporanea”, che serve solo a caricare sulle spalle della collettività, cioè delle masse popolari, le perdite del padrone che lascia (il sistema delle cosiddette “bad e new company”) e a trovare un nuovo padrone da far subentrare … e tutto continua come e peggio di prima. Ma una nazionalizzazione per far funzionare l’azienda, producendo i beni e servizi che già forniva o riconvertirla ad altre produzioni che servono. Le aziende pubbliche non funzionano? Non funzionano dove lo Stato non vuole farle funzionare. Per decenni il settore pubblico dell’economia ha funzionato, è stato il settore trainante dei “miracoli economici” nel secondo dopoguerra. Per l’Italia è più evidente che per gli altri paesi a chiunque ha memoria o va a studiare la cosa. Ma non si tratta di prendere in mano singole aziende. Non basta. Bisogna nazionalizzare il sistema economico, cioè gestirlo secondo un piano d’insieme: cosa produce la singola azienda, a chi serve, per chi produce, a chi lo vende, chi lo usa, chi la rifornisce. Ci vuole uno Stato che voglia far funzionare l’intero settore produttivo del paese (e che funzioni esso stesso).
Instaurare un simile Stato è il problema che i lavoratori hanno di fronte. Questo è il problema che noi comunisti abbiamo di fronte, che dobbiamo mostrare ai lavoratori come lo possono risolvere, che dobbiamo guidare i lavoratori a risolvere, a organizzarsi per risolverlo. È principalmente la mancanza di volontà e di fiducia in se stessi che impedisce ai lavoratori di risolverlo. Oggi noi comunisti dobbiamo far valere che a sottostare alle pretese di ArcelorMittal, scudo penale, 5.000 esuberi o altro che sia, ci ritroveremmo punto e a capo tra un mese o un anno e nel frattempo lavoratori e cittadini continuerebbero a morire. Che è possibile risolvere il problema dell’ILVA combinando industria e ambiente: l’unica cosa che non è possibile combinare sono la produzione industriale, la sicurezza, l’igiene e la conservazione dell’ambiente con il capitalismo. Che il risanamento della situazione richiede un’opera duratura e costante che solo gli operai organizzati con un loro governo possono compiere, quindi che la lotta per “lavoro e salute” all’ILVA e a Taranto va condotta come parte della lotta per costituire un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate: o prendiamo noi l’iniziativa e diamo una svolta al corso delle cose o al massimo il cambiamento consisterà nel cambiare gli individui che eserciteranno lo stesso ruolo di carnefici ben pagati delle masse popolari. Che gli operai organizzati hanno in mano la soluzione del problema, all’ILVA come nel resto del paese, lo confermano i timori dei vertici della Repubblica Pontificia per la “bomba sociale” di Taranto, come anche la risoluzione del 19 settembre scorso del Parlamento europeo contro il comunismo e le “solenni” celebrazioni in corso della caduta del muro di Berlino e dell’annessione della Repubblica Democratica Tedesca.
È un problema economico ma anzitutto politico e sociale (dell’intero sistema di relazioni sociali). Bisogna risolverlo paese per paese collaborando con i paesi che cercano anche loro di risolvere lo stesso problema e stabilendo rapporti commerciali con gli altri, cacciando i predoni che vogliono approfittare e fare affari. Dobbiamo produrre solo quello che vogliamo usare e quello che ci serve per la collaborazione e lo scambio con altri paesi. Quanto meno tempo di lavoro sarà necessario, tanto meglio sarà: lavoreremo tutti di meno e dedicheremo tutti più tempo ad altro: alle relazioni umane, alle attività politiche e culturali, allo sport e alla ricerca. Dobbiamo in ogni paese porre il sistema monetario, bancario e finanziario al servizio di questa trasformazione. Ogni paese deve avere la sua moneta: non c’è sovranità nazionale senza moneta nazionale.
I primi paesi socialisti, in primo luogo l’Unione Sovietica, finché sono stati governati per farlo funzionare hanno mostrato che un simile sistema funziona. Per decenni i capitalisti di tutto il mondo e il Vaticano inutilmente hanno cercato di impedirlo. Ci sono riusciti solo dopo che con Kruscev, nel 1956, il Partito comunista cambiò orientamento: e ci hanno comunque messo trent’anni per arrivarci. Negli anni venti e trenta del secolo scorso quando i paesi capitalisti erano in crisi, l’Unione Sovietica costruiva e cresceva. La Repubblica Popolare Cinese a suo modo mostra anche oggi che un simile sistema funziona.
Oggi tutto, persone e organismi vanno misurati su questo: sulla soluzione dei problemi della crisi economica e ambientale. Quello che occorre fare oggi in Italia per risolvere problemi immediati, apparentemente non ha niente a che fare con il comunismo e il socialismo. Ma noi comunisti sappiamo che in realtà risolverli è far avanzare la rivoluzione socialista. La soluzione dei problemi immediati riesce solo se avanza la trasformazione generale del sistema sociale, se ogni soluzione particolare è fatta con l’occhio alla soluzione generale.
L’inquinamento dell’ambiente cresce con la crisi economica. L’economia in crisi che devasta il mondo e inquina è l’economia in mano ai gruppi imperialisti. Risoluzione della crisi economica è anche risoluzione della crisi ecologica. Il contrasto tra economia e ambiente, tra lavoro e salute è prodotto dal capitalismo.
I comunisti devono mobilitarsi per promuovere questa grande trasformazione di cui tutti i proletari e i lavoratori hanno bisogno!
I lavoratori avanzati devono organizzarsi in ogni azienda e mobilitare gli altri per compiere questa grande trasformazione!
Nessuna azienda deve essere chiusa, smembrata, ridotta di dimensioni, venduta a gruppi stranieri!
Nazionalizzare senza indennizzo le aziende che i capitalisti vogliono vendere, smembrare, ridurre, delocalizzare!
Impedire lo smantellamento dell’apparato produttivo del paese è il punto principale di una vera lotta per la sovranità nazionale!
Non c’è sovranità nazionale né benessere popolare né sicurezza personale senza direzione delle autorità italiane e dei lavoratori sulle attività economiche che si svolgono in Italia!
Costituire un governo deciso e in grado di far valere la sovranità nazionale iscritta nella Costituzione del 1948 contro la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti, le sue istituzioni (UE, BCE, FMI) e il suo braccio armato (la NATO)!
Il futuro del paese poggia sugli organismi operai nelle aziende capitaliste e gli organismi popolari nelle aziende pubbliche.
Osare lottare, osare vincere! Il futuro è nostro!
Riprodurre e affiggere ovunque, con le dovute cautele, la locandina di pag. 72 di La Voce 62: vedere che il (n)PCI clandestino è presente infonde fiducia nei lavoratori e smorza l’arroganza dei padroni!