Il covid-19: un nuovo strumento per calpestare i diritti dei lavoratori del tessile 

La pandemia globale di COVID-19 continua a crescere e diffondersi. In questo momento, oltre un terzo della popolazione mondiale è interessato da una qualche forma di lock down o restrizione dei movimenti per controllare l’espansione del virus.

Dal Myammar all’Italia, dalla Cambogia alle Filippine
Il covid-19: un nuovo strumento per calpestare i diritti dei lavoratori del tessile 

La pandemia globale di COVID-19 continua a crescere e diffondersi. In questo momento, oltre un terzo della popolazione mondiale è interessato da una qualche forma di lock down o restrizione dei movimenti per controllare l’espansione del virus. I lavoratori tessili nelle filiere globali, già costretti in situazioni di vita precarie, affrontano una crescente insicurezza man mano che le fabbriche chiudono per il calo degli ordini e le misure governative restrittive per proteggere la salute pubblica. Anche nel segmento a valle della filiera, dove si addensano situazioni di rischio e vulnerabilità per quei lavoratori che nei magazzini processano gli ordini tuttora in corso per i grandi gruppi multinazionali, la situazione è diventata allarmante: nel polo logistico di Stradella, dove ancora sono smistati gli ordini H&M acquistati online, si sono già verificati due casi di contagio nonostante i lavoratori da tempo chiedessero la chiusura, denunciando le gravi inadempienze in materia di sicurezza

I lavoratori delle filiere globali sono stati colpiti da ciascuna delle tre ondate di questa pandemia. La prima si è verificata quando la Cina ha identificato il COVID-19 nella sua popolazione: smettendo di esportare le materie prime necessarie per la produzione di abbigliamento, ha costretto molte fabbriche nel sud e nel sud-est asiatico a chiudere temporaneamente e rimandare a casa i lavoratori, spesso senza preavviso e salari. La seconda quando il virus è arrivato in Europa e negli Stati Uniti: le aziende della moda hanno annullato gli ordini in corso senza pagarli e molte hanno smesso di effettuarne altri; le fabbriche di fornitori, che operano con margini ridotti a causa dei prezzi troppo bassi, sono state costrette ancora una volta a chiudere e mandare i lavoratori a casa senza paga. L’ultima ondata riguarda la diffusione del virus proprio nei Paesi produttori: alcuni di essi hanno chiuso gli impianti come misura precauzionale, ancora una volta lasciando a casa gli operai senza stipendio; altri hanno deciso di lasciarli aperti, nonostante il significativo rischio per la salute dei lavoratori nelle fabbriche affollate.

Anton Marcus, Sottosegretario del Free Trade Zones & General Services Employees Union, ha dichiarato: “L’impatto del COVID-19 sui lavoratori dell’abbigliamento in Sri Lanka è stato immenso. I lavoratori, tornati nei loro villaggi senza avere percepito i salari di marzo, stanno attraversando un momento molto difficile non riuscendo a sostenere le loro famiglie. I datori di lavoro stanno sfruttando questa situazione per licenziare e ridurre benefici e stipendi dei dipendenti, dando la responsabilità al ritiro o alla riduzione degli ordini dei loro clienti. In questa situazione i lavoratori a contratto saranno i più colpiti”.

In alcuni casi questi effetti sono stati esacerbati dalla cattiva gestione della crisi da parte dei governi nazionali. L’India ha improvvisamente annunciato un blocco nazionale, lasciando i lavoratori migranti domestici senza mezzi di sussistenza o accesso ai trasporti per tornare a casa. Alcuni di essi sono stati costretti a camminare per centinaia di chilometri verso le loro città e i loro villaggi. In altri paesi, come la Cambogia e le Filippine, le misure per combattere il virus stanno limitando ulteriormente lo spazio civico, compresa la libertà dei lavoratori di organizzarsi. In Myanmar gli imprenditori hanno usato la pandemia come pretesto per reprimere il sindacato, assicurandosi che i lavoratori sindacalizzati fossero i primi ad essere licenziati dalle imprese in difficoltà finanziaria.

Due recenti report del Worker Rights Consortium, del Penn State Center for Global Workers’ Rights e della Clean Clothes CampaignWho will bail out the worker s that make our clothes?” and “Abandoned? The Impact of Covid-19 on Workers and Businesses at the Bottom of Global Supply Chains” mettono in luce le cause all’origine dei catastrofici effetti del Covid-19 nelle catene di fornitura. L’estrema interconnessione e l’asimmetria di potere tipica delle catene di approvvigionamento ha permesso ai marchi e ai distributori di  scaricare le conseguenze del calo della domanda sui fornitori. Le imprese di abbigliamento pagano solo alla consegna – con le fabbriche che sostengono i costi generali e di manodopera – e hanno il potere di decidere di non pagare gli ordini, anche se ciò significa, di fatto, una violazione contrattuale. Ciò significa che i proprietari delle fabbriche di tutto il mondo sono lasciati senza liquidità per pagare i salari dei lavoratori di marzo e ancora peggio sarà per i mesi a venire, quando nessun ordine probabilmente arriverà. Nella stragrande maggioranza dei paesi produttori di abbigliamento, meccanismi di protezione sociale come l’assicurazione sanitaria, l’indennità di disoccupazione o i fondi di garanzia in caso di insolvenza sono assenti o insufficienti, in parte a causa di decenni di pressione al ribasso sui prezzi pagati dalle imprese committenti. Anni di incapacità di intraprendere azioni significative sui salari hanno lasciato i lavoratori senza risparmi e senza rete.

Dalla pubblicazione di questi due documenti, un piccolo numero di marchi ha accettato di adempiere ai propri obblighi contrattuali e di pagare gli ordini che le fabbriche stavano già producendo: H&M, PVH Corp., che possiede Tommy Hilfiger e Calvin Klein, Inditex, proprietario di Zara, e Target.

Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti afferma “E’ fondamentale che i marchi in questo momento assolvano i loro obblighi contrattuali e paghino gli ordini effettuati e in molti casi già prodotti. In questa drammatica situazione, è urgente garantire a tutti i lavoratori nelle filiere globali risorse sufficienti a soddisfare i bisogni delle loro famiglie e a sopravvivere alla crisi, a partire dalla corresponsione dei salari e dei benefit dovuti per i mesi in corso. Le imprese multinazionali hanno costruito la loro ricchezza sull’utilizzo di milioni di lavoratori sottopagati in paesi dove non sono presenti le infrastrutture di protezione sociale necessarie a tutelare i lavoratori nei momenti di crisi. Questa crisi deve produrre un cambio strutturale del modello di business, a partire dalla introduzione di meccanismi di regolazione delle filiere global e di norme vincolanti per le imprese, a tutti i livelli

Le istituzioni finanziarie internazionali si stanno già impegnando a mobilitare miliardi di dollari per sostenere le economie dei Paesi produttori. È fondamentale che tale sforzo includa l’impegno di mettere al primo posto le esigenze dei lavoratori, unitamente a meccanismi che garantiscano che tale sostegno li raggiunga direttamente. I sindacati globali hanno formulato raccomandazioni su come queste istituzioni possano garantire una risposta urgente ed equa alla crisi. È della massima importanza che i lavoratori, nelle fabbriche di produzione, nella logistica e fino alla distribuzione, siano al centro delle soluzioni economiche per superare questa crisi e per garantire che le misure per salvaguardare la salute delle persone non acuiscano invece loro miseria e fragilità

Per informazioni e interviste 
Dott.ssa Deborah Lucchetti, Presidente di Fair e portavoce della Campagna Abiti Puliti, al numero +393381498490 oppure 010.2091376 o via email all’indirizzo deborah.lucchetti@faircoop.it

Link utili
– Scott Nova and Ineke Zeldenrust: Who will bail out the workers?
– Mark Anner, Abandoned:
– La Clean Clothes Campaign aggiorna quotidianamente un live blog sugli impatti del COVID-19 sulle filiere produttive del tessile
– La dichiarazione dei sindacati globali sulle istituzioni finanziarie:

 

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