“Se Silvia Romano fosse africana e si trovasse ora in Libia”

Non si può che essere felici per il rilascio di Silvia Romano, la ragazza italiana di 25 anni rapita in Kenia nel novembre 2018 e liberata il 10 maggio scorso in Somalia.

Qualche giorno fa ci hanno inviato questa foto di un ragazzo sudanese. Dall’estate 2018 sono in contatto con centinaia di cosiddetti migranti che mi scrivono dal suolo libico. E’ bastato mettere a punto un piccolo accorgimento e attraverso la geolocalizzazione riesco a parlare con chiunque si colleghi a internet dalla Libia. Ho stretto rapporto con molti Libici, ma sono centinaia i giovani africani con cui ho parlato.

A molti di loro ho chiesto di inviarmi dei messaggi vocali per raccontarmi le loro storie, le loro aspirazioni, le loro ragioni. E’ così che è nato “Exodus – fuga dalla Libia”, un lavoro che ridà parola ai migranti, li riconosce soggetto politico e, come per incanto, la prospettiva e la narrazione si è ribaltata.

A Exodus non chiedono navi in mare o porti aperti. A Exodus hanno sempre e solo chiesto una cosa: evacuazione urgente!

Il ragazzo nella foto non solo si trova di fatto in stato di sequestro, ma come si vede chiaramente da questa foto, è sottoposto a tortura a scopo di estorsione.

Significa che questa foto, scattata dai carcerieri libici legati o quantomeno protetti dalle milizie di Sarraj sostenute da Europa e Turchia, è stata spedita ai parenti in Sudan, perché li spingesse ad affrettare i tempi per la spedizione dei soldi chiesti per il riscatto: 4.000 dollari (beh, si sa, la vita di un Africano vale molto meno di quella di un Europeo)

Lui, come altre decine, forse centinaia di migliaia di ragazzi africani presenti sul suolo libico negli ultimi anni sono passati attraverso il sequestro di persona a cui ha fatto seguito la tortura a scopo di estorsione.

In loro soccorso nessuno governo è intervenuto, tantomeno quello dei loro Paesi. Se si sono salvati è solo perché le loro famiglie sono riuscite a racimolare la somma necessaria per il loro rilascio, stipulando debiti con le banche, vendendo proprietà o chiedendo soldi in prestito.

Quand’anche questo ragazzo avrà la fortuna di essere presto “liberato” (insieme alla famiglia abbiamo promosso una raccolta fondi per pagare il riscatto), verrà semplicemente lasciato in mezzo a una strada dove, chissà quando, forse domani, forse tra una settimana, forse tra un mese, verrà probabilmente sequestrato di nuovo e ricomincerà tutta la trafila daccapo.

Si chiama, come detto, sequestro e tortura a scopo di estorsione, ed è uno dei modi attraverso cui le milizie, ma anche molti cittadini privati libici, usano fare soldi sulla pelle delle persone.

Nel fare questo godono della più totale impunità, perché il potere è loro, delle milizie. E questa impunità gliela garantiamo noi Europei, con il sostegno al governo Sarraj.

Ma com’è possibile? Fino a tanto l’esternalizzazione della frontiera produce dolore e morte?

No, non è esattamente così. Ci hanno spiegato che l’Europa paga i Libici per fermare i migranti. Ma la storia, raccontata da chi vive, o meglio sopravvive, sul suolo libico, è un po’ diversa.

Da quando il governo Sarraj si è insediato, nel dicembre 2015, in seguito all’accordo di Skhirat, non riconosciuto da tutte alle forze libiche ma il cui risultato è stato imposto dalle Nazioni Unite, al fondo della questione la funzione principale di questo governo non è stata l’unità della Libia. Tanto meno fermare migranti.

Mustapha Sanalla, direttore del NOC (National Oil Corporation), l’ente di Stato libico che controlla la produzione e la vendita di gas e petrolio, da alcuni anni ci informa che le milizie riescono a sottrarre fino al 40% delle risorse libiche (qualcuno dice molto di più) e immetterle nel mercato clandestino attraverso una sofisticata triangolazione che coinvolge Malta e infine Europa e Turchia (non a caso i più convinti sostenitori del governo Sarraj).

Le milizie di fatto hanno il controllo militare del territorio in Tripolitania. Sono loro a decidere sulla vita e la morte di chiunque. Anche del premier Sarraj. Lo riconoscono come il volto internazionale di Tripoli, a cui garantiscono sostegno politico in cambio dell’impunità.

Impunità necessaria innanzi tutto per trafugare questa ingente somma di gas e petrolio libico e svenderla sotto banco e sotto costo a Europa e Turchia.

Di conseguenza la massima preoccupazione non è stata mai quella di fermare i migranti. Tant’è vero che, parlando francamente, l’Europa e l’Italia negli ultimi anni non hanno investito in Libia alcun fondo. Sono solo parte dei soldi che hanno risparmiato nell’acquisto del petrolio libico che sono stati reinvestiti in Libia nominalmente per l’aiuto ai migranti, ma di fatto sono finiti dritti dritti nelle tasche delle milizie.

In altre parole la potremmo definire una enorme tangente per oleare ancor meglio il meccanismo. Sì, perché i proventi di questa vendita non finiscono al popolo libico, al quale appartiene il petrolio che dai tempi di Gheddafi in Libia è di Stato, ma solamente nelle tasche delle milizie.

Con questi soldi le milizie comprano armi per imporre ancora di più il proprio potere. E con questi soldi pagano anche le mafie africane, quelle che negli ultimi anni hanno adescato centinaia di migliaia di giovani africani verso la Libia.

Una volta in Libia sono stati venduti ai Libici, sono diventati schiavi e oggi rappresentano solo la seconda fonte di reddito per le milizie, dopo il petrolio ovviamente. Le milizie fanno soldi sulla pelle dei migranti attraverso lavoro forzato non retribuito (altrimenti chiamato schiavitù) e attraverso la tortura a scopo di estorsione (come nel caso di questo ragazzo nella foto).

Negli ultimi anni l’OIM (Organizzazione Mondiale per le Migrazioni) ha rimpatriato più di 50.000 migranti dalla Libia al Paese d’origine. Si è trattato di rimpatri volontari. Ma molti di più sono le ragazze e i ragazzi africani ancora in Libia che implorano di essere riportati a casa. Sì, perché non sono tutti scappati dalle guerre. Non hanno tutti lasciato il loro Paese come unica alternativa.

Come decine di loro hanno raccontato a Exodus, avevano semplicemente fatto la scelta che era sembrata loro più vantaggiosa. Sì, perché il loro contatto, l’africano della rete mafiosa, un loro connazionale, gli aveva prospettato un rapido passaggio in Europa mostrando loro le foto dei salvataggi in mare: “Arrivano gli Europei a salvarti”. E così si erano convinti a partire. Ma un volta in Libia si sono ritrovati schiavi. E ora non sanno come uscire.

L’UNHCR dice che sono 650.000 gli Africani subsahariani in Libia. Di questi “solo” 60.000 sono rifugiati, ovvero scappano da guerre. La maggioranza di tutti gli altri sta chiedendo di essere riportata a casa, perché in un modo o nell’altro prima o poi tutti si sono ritrovati come questo ragazzo nella foto, appesi come un cristo, o frustati, elettrificati, al contempo filmati e fotografati e mostrati alle famiglie perché pagassero.

Dalla conferenza di pace di Berlino dello scorso 19 gennaio a oggi, la Turchia ha aviotrasportato in Libia 11.000 mercenari di Al Nusra, in qualche modo ormai inutili in Siria. Con i droni e centinaia di ufficiali del proprio esercito, ormai dirige le operazioni militari per conto del governo Sarraj.

Possiamo pertanto ragionevolmente affermare che questo congresso di pace sia servito solo per prendere tempo e consentire di allestire la difesa di Tripoli, prima che l’Esercito nazionale libico guidato dal maresciallo Haftar la conquistasse e mettesse fine a questo sofisticato sistema di sfruttamento delle risorse libiche.

Dal giorno precedente la conferenza, dal 18 gennaio, la produzione di petrolio in Libia è sospesa. Sì, perché le infrastrutture create all’epoca di Gheddafi fanno confluire tutto il petrolio a Tripoli. Pertanto ciò che è prodotto nelle aree controllate da Haftar viene poi svenduto nelle aree controllate da Sarraj. Non solo, ultimamente con quel petrolio si pagano pure gli stipendi ai mercenari siriani che poi sparano contro altri libici. Per questo il resto della Libia ha bloccato tutto.

Molto a Tripoli invocano la liberazione della città da parte del maresciallo. Ci hanno scritto e ci hanno inviato messaggi vocali che abbiamo pubblicato nella puntata radiofonica 0.9

In Europa queste cose non si possono raccontare. Però sì, la maggioranza dei libici sta con Haftar. E, se vogliamo, non è così difficile immaginarlo. Le milizie non tengono in ostaggio soltanto i migranti, ma pure gli stessi libici. Sottrarre fino al 50% del petrolio libico ha prodotto effetti su tutta la popolazione libica. Ora allo strapotere militare sul campo, si è aggiunta un’occupazione militare straniera. Troppo anche per i cittadini libici di Tripoli.

Il ragazzo della foto e la sua famiglia forse ignorano tutte queste cose. A loro preme solo di trovare 4.000 dollari al più presto. Sì, questi dollari finiranno nelle tasche delle milizie. E noi cittadini italiani forse abbiamo già dato, ogni volta che facciamo benzina in qualche distributore discount (è lì dove la maggior parte del petrolio libico confluisce da anni).

Però forse questa volta vale la pena. Per questa volta non salviamo solo una vita. Questa volta denunciamo un sistema di potere, sfruttamento e morte. Questa volta denunciamo il mai morto Colonialismo.

di Michelangelo Severgnini

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-se_silvia_romano_fosse_africana_e_si_trovasse_ora_in_libia/82_34866/

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Per contribuire alla raccolta fondi per la liberazione di Abdul, si può inviare al conto intestato a Michelangelo Severgnini
IBAN: IT22P3608105138250926550940
Causale: libertà per Abdul.
L’estratto conto con i soldi inviati e il versamento alla famiglia di Abdul verranno in seguito pubblicati sulla pagina facebook di “Exodus – fuga dalla Libia”

EXODUS – FUGA DALLA LIBIA
Puntata 0 (settembre ’18): vimeo.com/291242947

Puntata 0.1 (ottobre ’18): vimeo.com/297273950

Puntata 0.2 (novembre ’18): vimeo.com/302947109

Puntata 0.3 (dicembre ’18): vimeo.com/309679933

Puntata 0.4 (gennaio ’19): vimeo.com/311007925

Puntata 0.5 (febbraio ’19): vimeo.com/318169225

Puntata 0.6 (aprile ’19): vimeo.com/328980491

Puntata 0.7 (maggio ’19): vimeo.com/338450710

Puntata 0.8 (agosto ’19): vimeo.com/354986030

Puntata 0.9 (gennaio ’20): https://vimeo.com/384182483

“Schiavi di riserva” (35 min), documentario, presentato nel maggio 2018.
https://youtu.be/V64286Qq-9M

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