“Discutere senza trovare scorciatoie”

Intervenendo nella vostra discussione [*] sui punti di programma che vi siete dati e che in gran parte condividiamo segnaliamo che da più parti si esprime l’esigenza di fare un passo in avanti per affrontare la nuova fase politica. Il segnale è dunque buono, ma a nostro parere bisogna evitare di sconfinare nel libro dei sogni e ridurci come sempre a costruire altre nicchie che coinvolgono solo gli addetti ai lavori. Un passaggio politico vero presuppone che ci si misuri, non solo a parole, con un progetto che sappia delineare una prospettiva politica, che raccolga le esigenze di questa fase e sia convincente per settori popolari e progressisti significativi.

Inevitabilmente, questa scelta esclude ogni ipotesi identitaria che promette il paradiso prossimo futuro e inchioda la militanza politica a schemi puramente ideologici, oppure si appoggia su un movimentismo retorico che si riduce a pura testimonianza.

Il passaggio che si auspica quindi sta nella consapevolezza che bisogna sciogliere questi nodi, altrimenti si ripropone la solita minestra riscaldata. I punti che seguono sono elementi di riflessione che servono, a nostro parere, per aprire una discussione.

1) La questione oggettiva. La domanda è questa: esistono le condizioni perchè si superi l’esistente e si riesca a determinare un nuovo protagonismo politico di massa che non sia effimero e ponga le basi per cambiare effettivamente qualcosa in Italia? La vicenda elettorale del 2018, con il sorprendente risultato dei 5 Stelle, ha indicato che esiste una spinta in tal senso. Non è un caso che la feroce campagna liberista e filoatlantica che si è conclusa con la caduta di Conte si è scatenata perchè chi tiene le redini del potere effettivo ha capito che certi equilibri potevano cambiare ed è corso ai ripari. Il sussidistan e lo statalismo dovevano essere bloccati.

Chi non aveva capito quello che stava succedendo è stata una certa sinistra identitaria e/o alternativa che dall’alto della sua inconsistenza ha continuato a insistere sulle giaculatorie anticapitalistiche e non si è accorta che veniva introdotto il reddito di cittadinanza, si arrivava a modificare la legge Fornero e si tentavano approcci multilaterali che venivano però subito denunciati dal gendarme americano.

Questo vuol dire che l’Italia è entrata in una fase rivoluzionaria? Sarebbe demenziale pensarlo, ma non si può negare che qualcosa si era messa in moto tanto che i nostri avversari hanno continuato a bombardare il nuovo quadro politico e assoldato un killer come Renzi per spianare la strada a Draghi e poi a Letta per normalizzare la situazione. A questo punto per i compagni che si limitano a sopravvivere nelle nicchie ‘antagoniste’ si aprono due prospettive: o rimandare a tempi migliori una risposta al nuovo corso liberista e atlantista oppure ravvisare la necessità di raccogliere i cocci e tentare una risalita, ritenendo che ancora sussista lo spazio di una opposizione che non sia di pura testimonianza, ma politicamente efficace. Noi pensiamo, senza eccessivi ottimismi, che vada valutata questa seconda ipotesi che potrebbe trovare una base oggettiva laddove i 5 Stelle hanno dimostrato di non saper reggere l’urto delle contraddizioni. Molti di noi, peraltro, questa cosa l’avevano prevista, ma limitarsi a dire ‘ve l’avevamo detto’ non è lungimiranza, ma incapacità di muoversi su un terreno politico che non coinvolga solo una cerchia di amici.

2) Realtà e progetto politico. Se non vogliamo mettere le braghe al mondo e capire invece su quale ipotesi muoversi, bisogna partire da come la situazione si è presentata in questi ultimi anni.

Il terremoto che ha scosso l’Italia, di cui anche la Lega di Salvini e il partito della Meloni sono una parte, rappresentandone l’ala più reazionaria e demagogica di cui bisogna tener conto e saperla combattere, nasce da una diffusa insofferenza di larghi strati di popolazione, socialmente composita, verso il modo in cui il governo del paese è stato gestito. La deriva liberista di questi decenni ha prodotto disoccupazione, povertà, supersfruttamento e impoverimento del ceto medio quindi l’insofferenza si è espressa col voto, sia a destra che in direzione 5 Stelle.

Quello che bisognerebbe fare è agganciare questa situazione con un progetto politico che sposti quest’area sociale nella nostra direzione e porsi anche una domanda: perchè da questa situazione, come già negli anni ’70 del secolo scorso, non è nata una forza politica progressista e popolare che rappresenti le forze in campo? Già questa domanda dovrebbe farci riflettere e forse indurci a qualche forma di autocritica.

Noi abbozziamo una ipotesi che è quella che purtroppo si insiste su certi strumenti di azione politica che non sono in grado di dare risposte credibili alle esigenze dell’oggi. L’arretratezza degli schemi domina sulla necessità di fare l’analisi concreta della situazione concreta. I settori sociali che esprimono disagio e rabbia vogliono invece capire da chi gli propone un cambiamento come ci si arriva, tenendo conto del grado di maturazione della coscienza collettiva dei problemi e degli strumenti a disposizione per risolverli. In altri termini bisogna saper coniugare la proposta politica con le spinte al cambiamento e dentro questo processo saper risolvere il dilemma dell’uovo e della gallina dell’organizzazione politica. Da questo punto di vista i 5 Stelle ci hanno insegnato qualcosa, anche se poi bisogna evitare di arrivare nudi alla meta come è successo con la vicenda Draghi.

3) Passaggi necessari e possibili. Nell’abbozzare concretamente un progetto di fase, a nostro parere, bisogna tener conto di queste due cose:

a) che senza la creazione di una vera forza politica non si va da nessuna parte e quindi coloro che dichiarano di voler cambiare le cose non possono prescindere da questa esigenza. Bisogna avere la pazienza di seguire un processo aggregativo che, liquidando le vecchie e opportuniste esperienze di nicchia, porti al risultato evitando scorciatoie che lascerebbero il tempo che trovano;

b) la proposta che ci sentiamo di avanzare per dar vita ad un processo politico e organizzativo unitario la abbiamo riassunta nel progetto di formazione di un ‘fronte politico costituzionale’ che realizzi tre punti fondamentali che la Costituzione prevede: una politica di pace e di amicizia nelle relazioni internazionali, il controllo pubblico dell’economia contro la logica liberista, l’attuazione dei principi costituzionali su tutela del lavoro, diritti sociali, istruzione, ambiente.

Su tutti questi temi occorre recuperare anche, superandone le frammentazioni e le improvvisazioni, le esperienze – passate o in corso, – dei movimenti di lotta, che rimangono comunque la base di massa di ogni processo politico di cambiamento.

Aginform
24 marzo 2021

[*] Il riferimento è all’appello “Per una svolta politica e sociale” pubblicato su LEF (Liberté, Egalité, Fraternité), rivista on line [qui].

 

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