Che la “sinistra” abbia trovato il suo nuovo messia in uno che se ne va in giro in Lamborghini a tirare spiccioli ai barboni poco mi interessa. Salvo il fatto che riesca a darci la cifra della fine che ha fatto.
Quello che, invece, sarebbe interessante discutere è a cosa stia effettivamente servendo tutto il polverone di ieri.
Perché, al netto di ciò che appare in superficie (per inciso una roba allucinante e assolutamente deprecabile), a me sembra chiaro che tutto questo casino sia riuscito a portare a casa alcuni risultati abbastanza evidenti.
Primo: spostare, ancora una volta e per giunta durante il Primo maggio, l’attenzione dell’opinione pubblica giovanile dal gigantesco dramma sociale del lavoro che non c’è a quello dei diritti civili. Un depistaggio ormai marchio di fabbrica della sinistra liberale da molti anni.
Secondo: ribaltare completamente quello che accade quotidianamente nella realtà. Nel mondo di tutti i giorni, infatti, chi rischia non solo la censura, ma persino il linciaggio, è colui che si mette contro certi temi. Non chi è a favore. Perché, vedete, quello della censura è un problema complicato. E quasi sempre si interseca con le dinamiche di produzione della “fabbrica del consenso”.
Presentare come presunta vittima uno che problemi di bavaglio non ne ha mai avuti è assolutamente fuori dalla realtà. Fedez non è un censurato.
E nemmeno un censurabile. Ma, al contrario, un artista/influencer con milioni di followers. Ruolo che ricopre proprio perché non ha mai proferito mezza parola contro il pensiero dominante. Quello che, per intenderci, è rappresentato e costantemente veicolato molto più sui social network che sulla tivù pubblica. Diversamente bisognerebbe spiegare perché Trump viene agevolmente oscurato da Twitter (mentre è ancora presidente USA) fra gli scroscianti applausi dei “difensori della libertà di espressione”, e gente come Fedez non ha mai subito neanche lontanamente la stessa sorte.
State pur certi che se Fedez, negli anni passati, anziché lanciare verdura nei supermercati avesse mai denunciato il modello economico che ha distrutto il diritto al lavoro oppure assunto una posizione critica su temi come l’Unione europea, la moneta unica, il libero mercato, la globalizzazione, l’iconoclastia delirante della cancel culture, i diritti civili come paravento per la distruzione di quelli sociali ecc. quella tribuna di cui ora gode in totale libertà gli sarebbe stata prontamente tolta. Requisita. Per impedirgli di veicolare idee contrarie allo status quo.
Terzo: polarizzare il dibattito sui diritti civili relegando i critici del DDL Zan al ruolo di fondamentalisti, ultraconservatori e oscurantisti. Se non direttamente paranazisti. Quando in realtà le voci critiche sul provvedimento si alzano con forza anche da sinistra, in particolar modo da comunisti e mondo femminista.
In conclusione, quindi, il vero problema dell’intera vicenda non sta nella presunta censura verso certo temi. E chi sostiene il contrario dovrebbe semplicemente guadare Sanremo, il programma nazional-popolare per eccellenza. Nonché il più seguito in assoluto.
Quanto piuttosto nella condizione miseranda in cui versa la Rai.
Un servizio pubblico ostaggio della politica, in cui non è possibile affrontare alcun argomento in modo completamente libero. Ma che, al contrario, subisce pressioni tali – e da tutte le direzioni – da costringere chiunque voglia prendere posizione su temi “sensibili” a cesellare, ammorbidire, controbilanciare, per non scontentare nessuno.
Ragion per cui, se proprio ci si deve indignare per qualcosa, sarebbe opportuno farlo per l’atavica mancanza di una televisione di Stato incapace di esercitare in piena autonomia il libero pensiero. Promuovendo il dibattito critico – svicolato dalla lottizzazione partitica e dall’influenza della Chiesa – in modo anche aspro, politicamente scorretto e dissacrante.
Diversamente si rischia di polemizzare totalmente fuori fuoco. Facendo passare per “antagonista” un pensiero ormai sdoganato in tutti gli strati della società, dal Vaticano alla scuola, quando in realtà è l’esatto contrario. E si sa che, quando si aizza l’opinione pubblica contro qualcosa, la si sta distogliendo da qualcos’altro.
ANTONIO DI SIENA
Avvocato, blogger e autore di “Memorandum. Una moderna tragedia greca” (Gruppo L.A.D.)