“È il momento di spalancare la porta”

C’è un’Europa che ha finto per anni di non sapere cosa accadeva in Afghanistan. C’è un’Europa che oggi piange per le sindache e le giocatrici di cricket in pericolo e poi gira lo sguardo davanti ai ragazzi con i piedi congelati lunga la rotta balcanica. Un’Europa che si strappa le vesti per le donne che a Kabul non possono andare a lavoro e poi resta indifferente di fronte ai nuclei familiari che non riescono ad arrivare a Istanbul. “Questo è il momento di guardarsi allo specchio e di essere capaci di reggere il proprio sguardo – scrive Angela Tognolini, per diversi anni operatrice per rifugiati con l’associazione Centro Astalli di Trento (e autrice del libro Vicini lontani. Otto racconti di anime in viaggio) – Questo è il momento di un gesto radicale, potente e definitivo: è il momento di spalancare la porta…”

 

Ho aspettato a lungo a scrivere qualcosa sull’Afghanistan. Ho aspettato perché non sono un’esperta, non ho studiato abbastanza, ci sono molte altre persone che hanno di più e di meglio da dire, sulla questione. Ho aspettato anche per un altro motivo, però. Ed è perché il filo della lama delle notizie del mese scorso ha spellato una ferita cicatrizzata male, dentro di me. La ferita delle decine di storie ascoltate negli anni passati, storie di ragazzi fuggiti nel 2013, nel 2015, nel 2017 da un Afghanistan che ci piaceva pensare sicuro. E che sicuro non era.

Perché nelle sacche di territorio controllate dalle milizie talebane i ragazzi sono sempre stati arruolati a quattordici anni per sparare sui civili. I padri sono sempre stati rapiti, per essere ritrovati morti in strada, con gli occhi strappati e le mani tagliate. I raccolti sono sempre stati dati alle fiamme, le donne sono sempre state lapidate in strada. Queste non sono le storie degli attivisti, dei giornalisti, dei politici afghani. Sono le storie dei contadini, dei pastori, dei muratori afghani. Sono le storie delle persone che non sono potute salire su quegli aerei che abbiamo visto alla televisione, le persone che sono rimaste a terra. E che adesso hanno cominciato ad abbandonarla a piedi, quella terra, per imboccare il tritacarne di una Rotta Balcanica che è chiusa da troppo tempo.

Queste cose che succedevano nelle enclave talebane, presto saranno ovunque. La gente lo sa e per questo fugge. E davanti si trova un muro. Non solo il muro di roccia delle montagne dove presto sarà inverno. Non solo quello di cemento che la Turchia ha cominciato a costruire sul confine. Ma un muro impalpabile, eppure letale: quello del doppio standard dell’Europa. Un’Europa che piange per le sindache e le giocatrici di cricket in pericolo e poi gira lo sguardo davanti ai ragazzi con i piedi congelati in Bosnia. Che si strappa le vesti per le donne che non possono andare a lavoro e poi si infischia delle famiglie disperate che non riescono ad arrivare a Istanbul. Che ha cominciato un’operazione ributtante, atroce: quella di fare distinzioni tra persone afghane meritevoli di protezione e persone afghane che non lo sono.

Ma chi ha ascoltato le loro storie, di Ali, di Abdallah, di Shamshul lo sa, che non c’è distinzione che tenga. Che in un Afghanistan dilaniato dal conflitto e schiacciato dalla dittatura, sono tutti in pericolo. Soprattutto quelli di cui non ci giunge notizia.

Basta piangere lacrime di coccodrillo. Basta pulirsi la coscienza con una mano e con l’altra rimestare nel torbido dell’avarizia e della chiusura. Questo è il momento di guardarsi allo specchio e di essere capaci di reggere il proprio sguardo. Questo è il momento di un gesto radicale, potente e definitivo: è il momento di spalancare la porta.

 

Angela Tognolini

16 Settembre 2021

È il momento di spalancare la porta – Comune-info

 

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