Fulvio Grimaldi: “Catastrofe comunicativa”

Quando cade il livello deontologico, culturale, morale di un’attività professionale, se ne inabissano anche le componenti qualitative, contenutistiche e formali.

Gli schermi unificati secernono pus. Eravamo abituati a nebbie oscuranti, polveri infette,  balle sesquipedali, Mentana in maratona su ostacoli di cretinate e dileggi di inconseguenti.

Lo spaventoso becerume, la gaglioffaggine comunicativa, lo sbrindellamento di qualsiasi rigore espositivo, l’inettitudine grammatico-lessicale, che ormai infettano perfino veterani di tempi, non dico della BBC e perfino RAI della mia prima scuola, ma di un minimo di specifico tecno-estetico televisivo, ancora coltivati nel secolo scorso.  E si parla di Bernabe’.

Tronfia come tacchini da festino celebrativo, questa ciurmaglia di scappati di casa, dismessi i ridicoli addobbi marziali esibiti tra gente a passeggio, spurga in automatico quanto gli auricolari virtuali degli squadristi dalla redazione Blackrock, quella del megadirettore galattico (altro che Giannini o Molinari), o dalla dependance del bunker SS di Kiev, gli insufflano.

Serve competenza conoscenza, retroterra, consapevolezza di vero, verosimile, falso totale, dubbio? A che pro? Mica si deve informare. Mica ce lo chiede l’Ordine che ci ha fatto il praticantato e l’esamino, a scanso di essere radiati se poco deontologici. Come no!

E il sindacato, custode di diritti e correttezza? Manifesta per Giulio Regeni e porta carrettate di piombo di stampa al cocaboss del varietà ucraino.

All’altro piombo ci pensa Draghi, pacificatore eccelso attraverso lo stramazzamento dell’intendere, volere, sapere e muoversi del paese affidato alla sua mannaia di custode di patibolo a forma di caveau.

A Baghdad 2003, marzo, c’erano pochi disobbedienti. Bush aveva deciso che l’informazione di guerra si fa “embedded”, letteralmente “a letto” con i militari. Da cui: “presstitute”, nell’agile lingua di Shakespeare.

Monica Maggioni stava calda calda “embedded”. Arrivò  a Baghdad seduta sul tank.

I pochi reprobi che avevamo tenuto duro accanto agli iracheni in resistenza e polverizzazione bombarola all’uranio e fosforo, veniamo centrati dalla vendetta del figliolo idiota: prime cannonate sull’hotel Palestine, dove stavamo tutti. Per il bel nome?

Centrati Ayub, mio collega iracheno e amico del te’ alla menta e due colleghi spagnoli, un giornalista e un tecnico. Processo ancora in corso, ahahah.

Il migliore di noi, Peter Arnett, quello di Desert Storm, cacciato prima dalla CNN e poi dalla CBS (se non ricordo male), perché anticipatore di Julian Assange su falsità e crimini degli unici veri perpetui criminali di guerra presenti sul pianeta, sempre solo quelli, mi spiegò: “Alla CNN in redazione e in tutte le redazioni c’è un agente dei Servizi. Dispone di tre bottoni: verde, giallo  rosso. Il semaforo. Legge i dispacci dal fronte. Poi schiaccia. Bottone e…libertà d’informazione”.

Anche in Israele, Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967) c’era la censura militare. Annerivano qualche riga. Ma noi rettificavamo per telefono. Niente di che. E potevamo andare e vedere dove ci pareva.

A proposito, qualche arma ai palestinesi, no, Draghi? O agli yemeniti? O ai serbi seviziati di Mitrovica? Che differenza c’è?

Da allora siamo messi così. È stato il primo grande passo globalista strategico, decisivo. Mentre quelli manifestavano per uno mandato dai servizi.

E da una sorellona musulmana MI6 di Oxford, a buttare all’aria un paese scatenando la forza progressista dei Fratelli Musulmani (Al Qaida, Al Nusrah, ISIS, Bokoaram, eurocellule a fini di stragi tipo Bucha-Parigi-Bruxelles-Monaco-Tunisi e andare).

Tranquilli, ora ci pensa la Procura di Roma a sistemare i trucidi torturatori egiziani e a impedire che  oltre a quello russo non ci arrivi nemmeno il gas di Zhor egiziano, scoperto dall’Eni.

Del resto, che ce ne facciamo. Una guerra val bene un condizionatore.

Chiudo il funerale Informazione, con una grandiosa parata di carrozza a tiro 16 degli Spada-Zelenskyi, petali di rose dai droni, banda con Draghi alle nacchere.

Stavo dal garbato stritolatore Floris a Di Martedì.

Bersani , impeccabile saggio di regime, rintronato quanto basta dopo 40 anni di incontri con la mucca nel corridoio, ma anche vecchio democristocomunista furbacchione, ripeteva che gli interessa la cronaca,  mica la Storia (di 8 anni di genocidio Nato-nazi in Donbass). Maria  Montessori,  quella dei “dettagli “, dei puntini da unire, del CONTESTO, turbina nella tomba.

Alla mia sinistra, scaturito da una giostra in cui ha roteato per 40 anni da un cavalluccio all’altro,  schivando perfino l’arresto votato dal parlamento, un Tabacci di stagione si gloria di stare nella parte “giusta” del mondo, quella lib lib lib libera(l).

Gli avevo appena chiesto una riflessione (mai avrei dovuto!) su tutti gli 11 partiti ucraini proibiti dal pipetta nazi-Nato, tranne i tre nazisti del suo sgabello UE-USA. E anche su tutti i canali mediatici azzerati e fusi nell’unico di regime. Quello della sistemazione dei cadaveri di ucraini non sufficientemente nazi, all’indomani della partenza dei russi  just in time per la Maratona di Mentana.

Avevo accennato anche che sotto il dittatore, Zar, autocrate, macellaio da eliminare, i russi si potevano documentare su CNN,  CBS, NYT, WP, BBC, perfino sulla fetecchia spionistica “Open” dei delatori a un tanto al chilo di Mentana, perfino sul fogliaccio sorosian-hillarian-pfizeriano più fetecchia di tutti, il Manifesto, mentre noi no, neanche un dazebao russo: verboten!

Floris, vagamente turbato, si arrampica su una signora che si dice faccia la storica. “Cosa risponde  a Grimaldi?” La signora fa spallucce, boccucce, occhiucci: si riprende lancia il petto, alza la fronte: “Io a Grimaldi non rispondo!” Tonitruante.

Ma, ragazzi,  quando non sghignazza dal brutto di corte, Zoro, Marco Damilano, dopo Elkann ora Blackrock (sempre guerre, armi e vaccini sono), qualcosa di essenziale ce l’ha da dire. Magari sempre la stessa fregnaccia, quanto passano quei conventi, ma oggi come non mai repetita juvant. Vedi Putin.

Ha sentenziato Damilano: “La storia è lineare “, mica “circolare”, come dice quello squinternato di Grimaldi. E anche un po’ di filosofi. Finisce dove c’è il dollaro e prima? Boh. Ah, no, ci sarebbe anche il Giudizio Universale.

Dopodiché basta,  abbiamo rotto i coglioni al creatore. E chi s’è visto s’è visto. Lineare.

Stagisti dell’evacuazione e dello spargimento di psico- tossici, prodotti negli stessi laboratori nei quali il ramo farmaceutico gemello studia i composti per l’annientamento delle nostre difese immunitarie.

Per poi affidarne la rassegnazione indotta e la passivizzazione socioculturale al remotismo isolazionista digitale.

Fulvio Grimaldi

12/04/2022

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