[Aginform] La Russia di Putin

Aginform – 4 luglio 2023

 

La vicenda della Wagner ha messo in luce nuovamente le questioni che da tempo sono sul tappeto riguardo al futuro della Russia di Putin. A suo tempo, quando iniziò l’operazione militare speciale in Ucraina, qualcuno ci ricordava che la Russia non è l’URSS, per dire che in fondo l’aggressione andava vista come una faccenda tra imperialismi e le dinamiche erano diverse da quelle della seconda guerra mondiale.

Ebbene, sullo specifico ci siamo preoccupati dal febbraio 1922 di mettere in evidenza le ragioni per cui la Russia è andata a vedere le carte rispetto alla strategia di accerchiamento americana e NATO. E questa è risultata una scelta obiettivamente necessaria per le conseguenze che la strategia imperialista occidentale comportava non solo sulla situazione interna russa, ma anche negli equilibri internazionali. Difatti Putin dichiarava in più occasioni che bisognava rompere la logica del governo unipolare americano nel mondo e arrivare a un governo multipolare delle relazioni internazionali e l’Ucraina diventava un inevitabile banco di prova.

Ora però che la guerra è in corso, di fronte a fatti come quello della marcia verso Mosca della Wagner, si tratta di capire in che direzione si va sviluppando la situazione in Russia, come il suo governo riesce a far fronte alla guerra e in che modo si può delineare il futuro del paese rispetto alle scelte compiute.

Partiamo dunque dalla constatazione che la Russia non è l’Unione Sovietica. Constatazione ovvia, ma bisogna spiegare anche tutto il resto e in particolare due cose: perchè l’occidente ha spinto l’Ucraina alla guerra e perchè di conseguenza Putin ha deciso di correre il rischio che l’intervento militare avrebbe comportato. Perchè in sostanza l’occidente imperialista ha costretto la Russia alla guerra e l’ha considerata come nemico alla stregua dell’Unione Sovietica? Ricordiamo che alla vigilia dell’intervento, a fronte dell’iniziativa NATO di portare fino in fondo la sua strategia di accerchiamento includendo anche l’Ucraina nel progetto, c’era stata l’esplicita richiesta del governo russo di mettere sul tappeto la questione della sicurezza del paese e solo la mancanza di una risposta ha spinto Putin ad agire. L’obiettivo per americani ed europei era e rimane in realtà quello di impedire che la Russia possa esercitare un ruolo importante in Europa e negli equilibri internazionali e bisognava quindi riportare le cose sotto l’egemonia americana come all’epoca di Eltsin, anche con una guerra magari per interposta persona. E impedire così che lo spettro di una nuova URSS potesse aleggiare ancora.

Di fronte all’aggressione tedesca nel 1941 la risposta dell’URSS fu la guerra patriottica che coinvolse tutti i popoli sovietici in uno scontro totale per la sopravvivenza. Quella guerra come sappiamo fu vinta con uno sforzo eroico che solo un paese rivoluzionario poteva produrre in quelle circostanze.

Nel caso dell’Ucraina la decisione di rispondere agli avvenimenti del Donbass, allo sviluppo di un fascismo organizzato militarmente ai confini, al progetto di fare del paese un avamposto militare del blocco USA-NATO ha assunto un carattere differente e non a caso ha preso la denominazione di operazione militare speciale, cioè non un impegno di guerra totale, ma un’azione mirata a bloccare un processo in corso che minacciava di diventare qualcosa di molto diverso e metteva in discussione la stessa sicurezza della Russia.

E’ ovvio che nel momento in cui l’esercito russo è entrato in azione si sono poste una serie di questioni sul terreno militare e politico. Sul terreno strettamente militare si sono evidenziate due necessità, tenere unito il fronte interno e misurare la portata delle azioni militari in rapporto all’obiettivo. Certamente non tutto poteva essere definito in partenza e bisognava andare alle verifiche sul campo. Quella del fronte interno, dopo qualche conato del pacifismo filoccidentale, ha messo in evidenza una sostanziale compattezza della società russa attorno alle scelte del governo anche se la drammaticità degli avvenimenti e dei morti in battaglia non poteva che lasciare dei segni.

Anche rispetto alle operazioni militari si è capito, con l’operazione militare speciale, che andava fatta una verifica sull’efficienza e la tenuta dell’esercito russo e non tutto era scontato. Incertezze tattiche come quelle su Kiev, Kherson e Kharkiv hanno evidenziato che la strategia russa sul terreno non era consolidata e soprattutto di fronte a un intervento sempre più massiccio di americani e NATO bisognava adeguare le forze e la strategia. Questo comportava anche organizzare una difesa all’altezza della sfida, che non veniva dall’Ucraina, ma dalla NATO. In questo contesto la brigata Wagner non poteva più svolgere quella funzione di punta che si era vista in particolare a Bakhmut-Artemovsk. Era l’intero esercito che doveva dimostrare la sua tenuta di fronte a quella che viene chiamata ‘controffensiva ucraina’ e questo passaggio coinvolgeva necessariamente il ruolo di Putin e del governo russo, del suo ministro della difesa e del capo di stato maggiore dell’esercito. Un banco di prova della tenuta del blocco di potere che sta attorno al presidente russo.

I fatti ci dicono che l’incidente Wagner è stato superato con pochi danni e sembrerebbe che da esso lo stesso governo ne esca rafforzato. Ma questo non esclude contraccolpi e soprattutto che qualcuno in occidente non sia convinto che la guerra possa essere vinta con l’azione della quinta colonna. In passato Putin ha dimostrato una grande capacità di arrestare la deriva in cui Eltsin e Gorbaciov avevano cacciato il paese. Questo ha preoccupato grandemente l’occidente imperialista a guida americana e da lì è partita la strategia dell’accerchiamento militare in Europa.

Quali saranno le prossime prove per Putin e soprattutto i rischi? La questione centrale, il punto debole, sta nella tendenza filo occidentale che è ancora presente nel blocco di potere che regge il governo russo. Coloro che sono abituati a fare affari con l’occidente non possono rassegnarsi a perdere i risultati conquistati con la contro-rivoluzione degli anni ’90 e di fronte alle difficoltà dovute alla guerra possono costituire un vero pericolo. In fondo la vicenda Wagner può essere considerata all’interno di questa tendenza dal momento che quando la guerra si è fatta più dura sono scattati discorsi sulla convenienza a proseguire e trovare il capro o i capri espiatori.

Non bisogna dimenticare però che, nonostante Gorbaciov e Kruscev, la Russia è il grande erede della rivoluzione d’ottobre e la memoria di un popolo, nonostante tutto, non va perduta. Qualcosa di simile era successo anche con la rivoluzione francese dopo il Termidoro. La restaurazione non fu possibile e la ruota della storia non tornò indietro. Certo, la forma che i nuovi passaggi in Russia prenderanno non è prevedibile, ma è difficile che un popolo che ha fucilato lo Zar possa ridiventare schiavo del sistema imperiale americano.

P.S. Un recente intervento di Yuri Afonin (primo Vice Presidente del CC del PCRF) a Radio Komsomolskaya Pravda  aiuta a farsi un’idea più precisa dei problemi che la Russia si trova ad affrontare per far fronte alla sfida dell’imperialismo e del modo in cui lavorano i comunisti russi. Riportiamo perciò la sintesi dell’intervento come appare sul sito del partito. In una frase: “Dobbiamo rompere con le ricette liberali occidentali che ci sono state imposte per tre decenni. Vogliamo battere l’Occidente? Allora non possiamo rimanere indietro, né economicamente né ideologicamente. L’alternativa è soprattutto l’esperienza del governo sovietico e della moderna Cina socialista”.

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