[SinistraInRete] Fabrizio Marchi: Di bolina, contro un vento gelido e sferzante

Rassegna 16/05/2024

Fabrizio Marchi: Di bolina, contro un vento gelido e sferzante

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Di bolina, contro un vento gelido e sferzante

di Fabrizio Marchi

Abbiamo deciso di dare vita a un giornale che avesse un approccio critico alla realtà nella sua complessità, fuori da liturgie e schemi preconfezionati e consapevoli del fatto che è necessario aggiornare le categorie con le quali si analizza e si interpreta la realtà stessa e probabilmente – senza dimenticare mai le nostre radici – anche crearne delle nuove alla luce di una realtà che, appunto, diventando con il tempo sempre più complessa necessita di strumenti adeguati per essere compresa e possibilmente trasformata.

Senza questo metodo di lavoro si rischia, anzi si arriva inevitabilmente a capovolgere le cose. Si finisce cioè per applicare la realtà, necessariamente deformandola, all’ideologia pur di far quadrare i propri conti, cioè pur di confermare la giustezza e la validità del proprio paradigma ideologico. Questo è ciò che ha determinato e continua a determinare il dogmatismo. Viceversa, il nostro approccio metodologico è sempre stato quello di cercare di entrare in una relazione dialettica con la realtà per comprenderne le dinamiche sociali, economiche, culturali, politiche e ideologiche che la caratterizzano.

E’ applicando tale metodo che siamo arrivati a individuare quella che per noi è l’ideologia attualmente egemone nelle società occidentali, cioè l’ideologia neoliberale di cui ciò che definiamo con il termine di “politicamente corretto” è il mattone o uno dei mattoni fondamentali.

Quali sono i capisaldi di tale ideologia?

  1. Il capitalismo, non più concepito come una forma storica dell’agire umano, è stato elevato a vera e propria condizione ontologica.

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Benoît Bohy-Bunel: La critica radicale del lavoro e la sua incompatibilità strutturale con il principio spettacolare

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La critica radicale del lavoro e la sua incompatibilità strutturale con il principio spettacolare

di Benoît Bohy-Bunel

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feudale.jpgPresentiamo uno scritto del 2016 di Benoît Bohy-Bunel1(originale francese qui) che ci sembra inquadri la questione del lavoro in modo appropriato, cioè come dispositivo che si caratterizza storicamente, e non come fattore trans-storico e naturale sic et simpliciter – lettura, quest’ultima, che comporta un’irreversibile ontologizzazione della categoria “lavoro”, rendendo dunque ogni idea sulla sua abolizione semplicemente folle2.

Sulla questione del lavoro la corrente internazionale della Critica del Valore, riprendendo il famoso Marx “esoterico”3, afferma chiaramente e – a nostro avviso – giustamente, come si tratti di una problematica che sorge in un determinato momento (e contesto) storico, quello in cui prende forma il sistema sociale conosciuto come “capitalismo”. Soltanto nel modo di produzione capitalistico, infatti, la categoria “lavoro” appiattisce e generalizza a sé le ampie, varie e ben più complesse sfere dell’attività umana. Soltanto nel modo di produzione capitalistico tutta la “sintesi sociale” è uniformata nel “lavoro”. Lavoro e capitalismo, lungi da essere veramente antagonisti, sono due facce di una stessa medaglia, e non potranno che estinguersi insieme. Detto ancora altrimenti, finché ci sarà “lavoro”, ci sarà anche capitalismo. La persistenza del “lavoro” va dunque interpretata come un segnale inequivocabile della “resilienza” (per usare un termine alla moda) del sistema del capitale.

Si tratta di capire, oggi, che fine abbia fatto il lavoro, quello “astratto” e produttivo per il capitalismo di cui parla l’articolo. Se, cioè, oggi questo tipo di lavoro esista ancora in misura sufficiente da soddisfare le brame capitalistiche, oppure – a causa della produttività a traino “microelettronico”, per dirla con Kurz – non sia di fatto stato “superato” dallo stesso sistema a cui appartiene, e ciò che ne resta sia un simulacro, tenuto in vita con inalazioni forzate di ossigeno sempre più rarefatto.

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Fabrizio Casari: Dalla Nakba al Palazzo di Vetro

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Dalla Nakba al Palazzo di Vetro

di Fabrizio Casari

La Palestina è qualificata a diventare uno stato membro delle Nazioni Unite. A dirlo sono 143 paesi ai quali si oppongono in 9. A girare la testa altrove sono invece 25, che dietro un’apparente equidistanza, esibiscono la loro totale inadeguatezza alla gestione della governance internazionale. Per certi aspetti, la coscienza civile e la civiltà giuridica sono offese più dai 25 astenuti che dai nove contrari. Perché se tra i contrari vi sono Paesi che sarebbe più onesto definire appezzamenti di terra coloniali degli USA (Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea, Ungheria, Argentina e Repubblica Ceca), nelle astensioni (Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Svezia, Austria, Canada, Svizzera, Finlandia, Ucraina, Albania, Bulgaria, Romania, Croazia, Moldavia, Georgia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Paraguay, Isole Marshall, Fiji, Vanuatu, Malawi, Principato di Monaco) risiede un pezzo importante dell’Europa e di altri paesi richiedenti a urgenza variabile l’inserimento nella UE.

L’equidistanza di fronte a una carneficina di civili innocenti non pare atteggiamento coerente con i valori fondativi dell’Unione Europea contenuti nella Dichiarazione di Ventotene del 1941, redatta da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi; però trova aderenza nei principi politici messi a terra dall’attuale Ue, trasformatasi in pochi decenni da alternativa pacifica al bipolarismo ad attore militare dell’unipolarismo occidentale.

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Francesco Pallante: Il divorzio tra rappresentanza e democrazia

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Il divorzio tra rappresentanza e democrazia

di Francesco Pallante

«Tra rappresentanza e democrazia è in corso un divorzio»: è netto il giudizio espresso da Valentina Pazé nelle pagine di apertura del suo ultimo libro, I non rappresentati. Esclusi, arrabbiati, disillusi (Ega, Torino 2024, 144 pp., euro 14), una riflessione incalzante sull’astensionismo, ma più in generale sulla disaffezione dall’idea stessa di partecipazione collettiva: probabilmente, il male principale della politica contemporanea. Rappresentanza e democrazia non per forza si implicano reciprocamente. Rappresentare può significare molte cose diverse. Nel suo studio di riferimento sull’argomento, Hanna Pitkin distingue quattro possibili concezioni di rappresentanza: (1) formale: agire per conto di altri, con loro autorizzazione (dal basso); (2) sostanziale: agire per conto di altri, senza loro autorizzazione (dall’alto); (3) descrittiva: stare per conto di altri (renderli presenti) “a specchio” (rappresentanza plurale); (4) simbolica: stare per conto di altri (renderli presenti) carismaticamente (rappresentanza singolare). La prima – quella formale – è la concezione su cui si sofferma Pazé, perché è quella che più si presta a essere configurata democraticamente (mentre oggi a dominare è la quarta: l’idea che la rappresentanza debba esaurirsi nella scelta di un capo).

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Dom De Mar: La Casa Bianca ha paura degli studenti e manipola la narrazione

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La Casa Bianca ha paura degli studenti e manipola la narrazione

di Dom De Mar

Il Segretario di Stato americano contemporaneamente a un potente milionario, padrone di aziende produttrici di sistemi e software per la sorveglianza, inoltre membro del Bilderberg hanno entrambi ammesso preoccupazioni in merito al crescente movimento di solidarietà per fermare il genocidio dei palestinesi di Gaza, per cui gli Stati Uniti lo sostengono e ne sono quindi complici.

Il potente di turno, straricco, amministratore delegato della Palantir, è intervenuto inveendo contro gli studenti universitari all’Ash Carter Exchange on Innovation and National Security dichiarando pubblicamente che se coloro che sono dalla parte dei manifestanti vinceranno il dibattito su questo tema, l’Occidente perderà la capacità di condurre guerre. L’uomo potente e milionario è molto preoccupato.

E’ il boss della Palantir, azienda tecnologica per la sorveglianza e data mining sostenuta dalla CIA con legami stretti sia con il cartello dei servizi segreti statunitensi che con Israele, svolge un ruolo cruciale sia nella rete di sorveglianza dell’impero degli USA che nelle atrocità israeliane contro i palestinesi. Il suo nome è Karp è un miliardario che fa parte del Comitato direttivo del Gruppo Bilderberg e partecipa regolarmente al Forum economico mondiale e ad altre piattaforme di gestione dell’impero plutocratico.

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Enrico Tomaselli: Guerra in Ucraina, atto secondo

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Guerra in Ucraina, atto secondo

di Enrico Tomaselli

Anche se era atteso, e in parte anche annunciato, l’apertura di un secondo fronte offensivo da parte delle forze armate russe rappresenta il passaggio a una fase ulteriore del conflitto, che probabilmente possiamo leggere come conclusiva.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla propaganda occidentale, la Russia non ha mai avuto ambizioni territoriali: è la nazione più estesa al mondo, ed ha semmai un deficit di popolazione rispetto al territorio. Non le aveva neanche rispetto alle regioni russofone dell’Ucraina, tant’è che sino alla vigilia dell’inizio dell’Operazione Speciale Militare proponeva un accordo che prevedesse uno statuto speciale autonomo per quelle regioni, ma nell’ambito dello stato ucraino. Ed essendo anche un paese ricchissimo di risorse, non aveva neanche un particolare bisogno di accaparrarsi quelle del Donbass (da questo punto di vista, l’area più ricca dell’Ucraina). Forse l’unico aspetto sotto il quale le zone russofone sono appetibili è proprio quello dell’apporto demografico.

Ovviamente, una volta iniziata la guerra, pagata con decine e decine di migliaia di caduti, anche i territori liberati sono diventati irrinunciabili.

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Simone Furzi: Missili e banconote. La finanza à la guerre

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Missili e banconote. La finanza à la guerre

di Simone Furzi

Silvano Cacciari ci racconta il neo-tribalismo della finanza, le sue origini e il suo agire orientato a una guerra permanente per predare ricchezze. Agire con cui rischia però di far crollare l’edificio sociale che produce quelle ricchezze e rende possibile la sua esistenza

finanza 1 1536x915.jpgIl libro di Silvano Cacciari indaga con sguardo ampio e tagliente un buco nero tanto poco esplorato quanto capace di influenzare l’ordine gravitazionale delle norme sociali che articolano il mondo. Questo buco nero, l’ambiente della finanza, che l’autore descrive come dominato da “dinamiche antropologiche neotribali” (pag. 8) – su questa definizione tornerò alla fine – dove il vettore principale è quello della “guerra annidata negli scambi e nei servizi in moneta e suoi derivati”, identificando appunto “nell’intreccio tra conflitto sul campo e guerra finanziaria la chiave di lettura delle complessive distruzioni sociali e materiali della parte di secolo in cui viviamo” (pag. 9).

In questo mio intervento proverò ad analizzare alcuni fili di tale intreccio, partendo dai punti di contatto, dalle similitudini, dalle contraddizioni e dai ribaltamenti di senso riscontrabili a partire da un’osservazione del linguaggio.

Incomincio allora da un primo riscontro – ironicamente ossimorico rispetto al leit motiv del libro e del nostro discorrere – che sta proprio nell’origine etimologica del termine finanza, dal latino finantia, derivato da finare-finire, col significato di “definizione amichevole di una controversia” (solo poi ha assunto il significato, per primo nella lingua francese, di transazione pecuniaria, denaro contante). L’opposto di guerra, quindi, che nell’origine germanica di verre indica una baruffa violenta e confusa e in quello latino di bellum, da duellum, la risoluzione in armi di una disputa tra due soggetti.

In questo primo contatto linguistico tra i due enti, dunque, sembra essere la guerra ad aver incistato e mutato la natura della finanza. La finanza nello strutturare un suo gergo – come è tipico di ogni gruppo tribale o neo-tribale – attinge infatti proprio al vocabolario della guerra.

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Federico Musso – Wolfgang Streeck: Il piano per la pace di Sahra Wagenknecht. Perché vuole liberare la Germania dalle grinfie di Washington

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La Ostpolitik che ricerca Sahra Wagenknecht: un commento di Wolfgang Streeck al piano per la pace proposto da BSW

di Federico Musso

Sahra Wagenknecht jacobin italia.jpgIn una Germania in piena recessione e colpita da una crisi sociale, la sorpresa alle prossime elezioni europee potrebbe essere il nuovo partito Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW, Alleanza Sahra Wagenknecht), guidato appunto dalla ex leader di Die Linke.

Obiettivo di Wagenknecht, storico volto della sinistra tedesca, è strappare il voto di cittadini estremamente critici verso le politiche del governo Scholz, formato dai partiti appartenenti all’Ampelkoalition (Spd, Verdi e liberali), dall’astensionismo e dal sostegno ad Alternative für Deutschland.

Tuttavia, il bersaglio preferito della lista BSW è il partito dei Verdi (Bündnis 90/Die Grünen), guerrafondaio e intransigente sulla transizione ecologica. Queste due caratteristiche rendono i Verdi tedeschi il partito più “anti-popolare” sulla scena politica, i perfetti “Selbstgerechten” (presuntuosi) ritratti nel libro del 2021 scritto proprio da Sahra Wagenknecht (tradotto in Italia con il titolo “Contro la sinistra neoliberale”).

BSW si caratterizza, inoltre, per un diverso approccio verso la Russia, volto alla distensione e alla ricerca di un equilibrio tra la Germania e Mosca. Questo tema è stato affrontato, con la consueta lucidità, da un articolo, comparso sui giornali Frankfurter Rundschau e The New Statesman, scritto dal Prof. Wolfgang Streeck, già direttore del Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung. Si ripropone il testo dell’articolo tradotto in italiano.

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Il piano per la pace di Sahra Wagenknecht. Perché vuole liberare la Germania dalle grinfie di Washington

di Wolfgang Streeck

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Piccole Note: Il fallito attentato a Zelensky? Cosa loro…

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Il fallito attentato a Zelensky? Cosa loro…

di Piccole Note

Dopo il fallito golpe, Zelensky licenzia il capo della sua sicurezza personale e allontana Zaluzhny da Kiev

Alcuni giorni fa, lo stesso giorno dell’insediamento di Putin, i media hanno annunciato che l’intelligence ucraina aveva sventato un attentato conto Zelensky e che i complottardi arrestati, due colonnelli della sua squadra di sicurezza, avevano agito in nome e per conto dello zar. Collegamento, quest’ultimo, che sarebbe stato confermato da confessioni e intercettazioni telefoniche.

Abbiamo già scritto che Mosca non c’entra nulla con il tentativo di eliminare Zelensky e che la notizia del complotto, sventato giorni prima, era stata data in quel giorno proprio per offuscare la cerimonia di inaugurazione della nuova presidenza di Putin.

Inutile ripetere i passaggi logici che escludevano la connessione moscovita, chi vuole può rileggere la nota, più utile riferire circostanze che confermano la pista interna. Subito dopo la rivelazione dell’attentato, infatti, è stato licenziato il capo della sicurezza di Zelensky, Sergiy Leonidovich Rud, ma cosa ancor più significativa, è stata formalizzata la nomina di Valery Zaluzhny ad ambasciatore della Gran Bretagna.

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Giuseppe Masala: La visita di Xi nelle “crepe” dell’Ue e della NATO

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La visita di Xi nelle “crepe” dell’Ue e della NATO

di Giuseppe Masala

Probabilmente le visite di stato del Presidente cinese Xi Jinping in corso in vari stati europei in questi giorni passeranno alla storia come il momento nel quale si è sancita la definitiva rottura tra la Cina e l’Unione Europea, oltre che per il tentativo cinese di introdurre – comunque – due cavalli di troia nell’architettura europea provando così a minarla dall’interno.

Lo stesso Financial Times ha così commentato l’arrivo del Presidente Xi Jinping nel Vecchio Continente dopo cinque anni di assenza: «Xi is probing for cracks in the EU and Nato» [«Xi sta sondando le crepe nell’UE e nella NATO»].

– Secondo la disamina del giornale economico britannico la Cina, per ragioni strategiche ed economiche, vorrebbe rompere l’unità della NATO e dell’UE, ed è a questo che mirava con le visite in Francia, Serbia e Ungheria: «Each of these countries is seen as a potential lever to open cracks in the West» [«Ciascuno di questi paesi è visto come una potenziale leva per aprire crepe in Occidente».]

– Più Precisamente, argomenta FT, secondo Pechino, il Presidente Macron, “affascina” per la sua retorica sull’autonomia strategica europea rispetto agli Stati Uniti, ma poi conclude: «but the Chinese risk overestimating the radicalism of Macron’s ideas when it comes to NATO». [«ma i cinesi rischiano di sopravvalutare il radicalismo delle idee di Macron quando si tratta della NATO».]

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Kim Moody: Oltre la produzione snella

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Oltre la produzione snella

di Kim Moody

Finita l’epoca del just-in-time, la produzione si basa sull’iper-sfruttamento parcellizzato e sulla logistica. Ma chi lotta sui luoghi di lavoro deve sapere che i nodi di queste reti padronali sono vulnerabili

Per trentacinque anni, il lean management ha guidato la produzione e la circolazione delle merci. Ma adesso gli imprenditori della logistica e del settore manifatturiero stanno passando a un nuovo modello. I lavoratori dovrebbero prenderne atto, per rafforzare le loro lotte.

La produzione snella, introdotta negli anni Ottanta dalle case automobilistiche giapponesi, ha preso piede in molte industrie statunitensi. Si trattava di un insieme di tecniche per massimizzare il profitto, tra cui l’aumento dei carichi di lavoro e del ritmo fino al punto di rottura, e l’invito ai lavoratori a riflettere su modi per aumentare il proprio sfruttamento.

Una componente centrale era la consegna just-in-time (Jit), quindi le aziende non spendevano per fare extra o immagazzinare nulla finché non era necessario. Anche all’interno di uno stabilimento, i ricambi e le forniture sarebbero arrivati esattamente nel posto e nel momento giusto e nelle quantità necessarie. La produttività manifatturiera negli Stati uniti è aumentata di circa il 4% all’anno fino alla Grande recessione del 2008-2010.

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I russi aprono un nuovo fronte ed entrano da nord nella regione di Kharkiv

analisidifesa

I russi aprono un nuovo fronte ed entrano da nord nella regione di Kharkiv*

di Redazione

Le truppe ucraine perdono terreno nella regione di Kharkiv (Kharkov per i russi) sotto l’incalzare dell’offensiva russa scatenata il 10 maggio sul confine. Kiev ha ammesso l’avanzata nemica dopo due diversi attacchi oltre il confine. Nel primo, iniziato alle cinque di mattina del 10 maggio , i russi sono riusciti a penetrare per almeno un chilometro in direzione di Vovchansk, con l’obiettivo di creare una zona cuscinetto di dieci chilometri lungo il confine per proteggere dalle incursioni nemiche il territorio russo della regione di Belgorod, secondo una fonte militare ucraina citata da CNN.

Nella zona sono state dispiegate riserve ucraine. Una seconda fonte ucraina ha riferito che quattro battaglioni russi, per un totale di circa 2mila uomini, sono penetrati cinque chilometri nella direzione di Krasne, 75 chilometri a ovest, lungo il confine, di Vovchansk, e di altri due villaggi vicini.

Il portavoce del Comando ucraino nell’Est, Nazar Voloshyn, aveva sostenuto in precedenza che le forze di Mosca erano state “fermate” nella cosiddetta “zona grigia” negando fossero riuscite ad avanzare ma ammettendo combattimenti in quattro delle cinque località rivendicate da Mosca (esclusa Pletenevka).

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