[SinistraInRete] Giovanna Cracco: Acqua. La (ir)razionalità del capitalismo

Rassegna 24/05/2024

Giovanna Cracco: Acqua. La (ir)razionalità del capitalismo

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Acqua. La (ir)razionalità del capitalismo

di Giovanna Cracco

acqua 1020x680Da gennaio 2023 a gennaio 2024, di­ciannove Paesi africani hanno segna­lato focolai di colera: Etiopia, Mozam­bico, Tanzania, Zambia e Zimbabwe tra i più colpiti, con migliaia di morti. In Zambia, l’epidemia è concentrata soprattutto nelle aree urbane come Lusaka, la capitale, afferma Viviane Ru-tagwera Sakanga, direttrice di Amref Zambia, “dove la densità di popola­zione e la mancanza di servizi igienici e accesso all’acqua pulita, soprattut­to negli insediamenti informali, ha contribuito alla diffusione dell’infezio­ne in maniera devastante”: da otto­bre scorso a marzo, 20.000 casi (1). Oltre al colera, epatite A, tifo, polio­mielite e diarrea acuta sono le prin­cipali malattie causate dall’uso di ac­qua contaminata e dalla mancanza di servizi igienici adeguati; gli ultimi da­ti Unicef riportano che la diarrea a­cuta, da sola, uccide ogni giorno 700 bambini sotto i 5 anni (2) ed è la cau­sa dell’80% delle morti infantili nel continente africano, dove 779 milio­ni di persone sono prive di servizi igienici di base e 411 milioni non hanno accesso a un servizio di acqua pota­bile (3).

Secondo il report Unesco uscito a marzo (4), tra il 2002 e il 2021 la sic­cità ha colpito 1,4 miliardi di perso­ne, ha provocato la morte di oltre 21.000, e oggi circa metà della popo­lazione mondiale vive in condizioni di grave scarsità idrica per almeno una parte dell’anno. Tre proiezioni conte­nute nel rapporto del 2021 (5) ipotiz­zano differenti scenari, nessuno otti­mista: il primo stima che l’uso mon­diale dell’acqua continuerà a cresce­re a un tasso annuale di circa l’1%, con un conseguente aumento del 2030% entro il 2050; il secondo preve­de che la domanda globale di acqua dolce crescerà del 55% tra il 2000 e il 2050; il terzo afferma che il mondo affronterà un deficit idrico globale del 40% entro il 2030: più domanda che offerta.

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Alessandro Lolli: L’epoca della vulnerabilità di Gioele Cima

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L’epoca della vulnerabilità di Gioele Cima

di Alessandro Lolli

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cafe.jpgCome va? Siete stressati in questo periodo? Magari un po’ depressi? Avete poi risolto con quel narcisista patologico del vostro ex-partner? Questa terminologia ha invaso il linguaggio quotidiano a tal punto che non la registriamo quasi più. Gioele Cima, nel suo ultimo libro L’epoca della vulnerabilità, parte proprio da qui, dal rilevare con preoccupazione che la “psicologia ha invaso la nostra vita”.

Il che è singolare considerato che l’autore alla psicologia ha dedicato la sua, di vita: Gioele Cima in psicologia ci si è laureato, è psicologo e ricercatore indipendente. Potremmo aspettarci che sia felice della colonizzazione della società da parte del suo campo di studi; in genere gli esperti di qualsivoglia disciplina si lagnano dell’esatto contrario, dell’insufficiente centralità che la loro prospettiva ha per il resto del mondo. Invece per Cima il problema è proprio questa vittoria tennistica del lessico e dell’apparato concettuale psicologico sul linguaggio con cui oggi, tutti, esperti e non, esprimiamo le nostre emozioni. “L’epoca della vulnerabilità” di cui parla Cima, che comprende gli ultimi vent’anni circa, è il punto di arrivo di una storia iniziata oltre un secolo fa.

Titolo forte, che oggi non può che suonare provocatorio e risuonare con letture critiche del presente provenienti da una certa parte politica. Sulla bacheca di un amico, di fronte alla copertina e tre citazioni estratte da un testo, un commentatore ha dato voce al timore che l’operazione possa diventare la “bibbia dell’Alt-Right”. È forse Cima un Vannacci che ha studiato? Un Jordan Peterson con Lacan al posto di Jung? Un Joe Rogan senza background in arti marziali miste? Non ho intenzione di nascondere Cima dietro un dito e diverse delle conclusioni cui giunge nella sua analisi potrebbero essere condivise da costoro e risultare oltremodo irritanti per chi li avversa.

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Steve Keen: Non c’è spazio per il pluralismo

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Non c’è spazio per il pluralismo

Ritagliarsi nicchie per sopravvivere o promuovere un cambio di paradigma?

di Steve Keen

In un’accademia dominata dai neoclassici, il pluralismo è una semplice tattica di sopravvivenza, non una chiamata a “far fiorire mille fiori”. Secondo Steve Keen, questo è un approccio troppo timido

Justus Sustermans
Portrait of Galileo Galilei Uffizi 1024x745.jpgUn ritornello frequente tra gli economisti non ortodossi è che l’insegnamento dell’economia dovrebbe essere “pluralista”. Cioè, dovrebbe presentare agli studenti varie scuole di pensiero economico, e non solo l’economia neoclassica. Questo è presentato dai suoi sostenitori come un obiettivo nobile. Per citare il sito web “Promoting Economic Pluralism”:

Il termine pluralismo è in genere usato in contrapposizione all’insegnamento dell’economia cosiddetta “mainstream”, che di solito si concentra solo su una scuola di pensiero economico, chiamata economia neoclassica.

Quest’ultima è basata su una serie di ipotesi chiave, centrali nel suo approccio, come il fatto che gli agenti economici cerchino di massimizzare la loro felicità individuale e che i mercati tendano all’equilibrio, portando generalmente a risultati efficienti.

Il pluralismo, invece, riconosce e insegna un ventaglio di approcci differenti per comprendere l’economia e la sua interazione all’interno dei sistemi sociali e ambientali in modo interattivo, riflessivo e coinvolgente.

A dire il vero, però, il pluralismo è una concessione al fatto che l’economia neoclassica domina l’insegnamento accademico dell’economia, è ostile a qualsiasi altro approccio, controlla i cordoni della borsa per i finanziamenti alla ricerca e agisce come guardiano contro l’adozione di paradigmi alternativi in tutte le università, tranne quelle di rango più basso. Quindi, l’unico modo in cui l’insegnamento e la ricerca non neoclassici possono sopravvivere nelle università sarebbe quello di chiedere pluralismo. Ciò si traduce nel chiedere ai dipartimenti neoclassici di non perseguitare gli studiosi non neoclassici, e di tollerare che alcuni corsi non siano strettamente neoclassici.

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Luca Pisapia: L’Ucraina, il laboratorio dell’intelligenza artificiale nei conflitti

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L’Ucraina, il laboratorio dell’intelligenza artificiale nei conflitti

di Luca Pisapia*

 

La guerra in Ucraina è stata definita un laboratorio per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nei conflitti. Per questo e per quelli a venire. È stato chiaro fin da subito, fin dai primi giorni dell’invasione russa, che questa guerra fosse contrassegnata dall’uso massiccio dell’IA, dispiegata da entrambe le parti. Soprattutto nelle armi letali. Ma non solo.

C’è un’altra dimensione del conflitto, forse meno evidente ma altrettanto decisiva, che ha a che fare con l’intelligenza artificiale e con le piattaforme tecnologiche che la sviluppano e/o utilizzano. È la propaganda.

Lo raccontava già Sun Tzu un paio di millenni fa che la miglior guerra vinta è quella che non si combatte con le armi. E oggi l’Ucraina ci racconta che sia le armi letali sia quelle retoriche sono gestite attraverso l’accumulazione di big data.

Il Ministero della trasformazione digitale

Ma andiamo con ordine. E partiamo da un personaggio. Il suo nome è Mychajlo Fedorov, ha appena compiuto 33 anni, ed è il ministro della Trasformazione digitale e vice primo ministro del governo di Denys Šmyhal.

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Piccole Note: Putin e Xi, note a margine

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Putin e Xi, note a margine

di Piccole Note

Intanto Biden mette i dazi sui prodotti cinesi e Kiev risponde “no” alla proposta di negoziati

Tanti gli aspetti significativi della visita di Putin in Cina, dalle nuove intese economico-finanziarie tra Pechino e Mosca alla molto più impegnativa “Dichiarazione congiunta della Repubblica popolare cinese e della Federazione Russa sull’approfondimento del partenariato strategico globale di coordinamento per una nuova era”, che traccia le direttrici della politica estera delle due potenze al fine di consolidare e sviluppare l’architettura geopolitica del mondo multipolare (sempre se ci sarà ancora un mondo da ristrutturare dopo la fine dell’unilateralismo Usa che nella sua fase agonica vede pulsioni da terza guerra mondiale).

La rinnovata stretta tra i due Paesi è tutta simboleggiata dalla foto dell’abbraccio tra Xi Jinping e Putin, inusuale per il presidente cinese, come sottolinea il New York Times. La contromossa di Biden al summit è stato il subitaneo innalzamento dei dazi doganali su alcuni settori strategici che, come evidenzia il Nyt, “segna la fine dell’era dei beni cinesi a basso costo”, con ovvia criticità per i consumatori, rileva l’articolo.

Da notare che quando Trump avviò la politica dei dazi sulle merci cinesi, gli ambiti attualmente al potere strepitavano contro quella follia, che metteva a rischio gli scambi globali e minava le basi stesse della globalizzazione, allora oggetto di devozione dai tratti religiosi. Così va il mondo.

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Leopoldo Salmaso: Covid: è marcio l’intero cesto, non solo qualche mela

lantidiplomatico

Covid: è marcio l’intero cesto, non solo qualche mela

di Leopoldo Salmaso

Due mesi fa ho denunciato qui le mezze verità (eufemismo per bugie) dell’EMA (European Medicines Agency) sui falsi vaccini Covid.

Ora trascrivo la traduzione della conferenza stampa (versione breve) in cui Marcel De Graaf e altri sei parlamentari europei chiesero le dimissioni del governo olandese per aver ingannato i propri cittadini e aver messo in pericolo la loro vita.

Un discorso identico vale per ogni altro governo dell’Uccidente, Italia in testa. Che è successo al governo Olandese? Niente ! Che è successo ai governi italiani che si sono passati la staffetta di questa strage premeditata? Niente! Che altro bisogna fare NE CIVES AD ARMA VENIANT (perché i cittadini non impugnino le armi)?

La conferenza stampa integrale (28 minuti) si trova qui In versione breve (4 minuti) si trova qui.

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Il Pungolo Rosso: Sono (quasi) al panico. Occhio, perciò, alle squadracce sioniste

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Sono (quasi) al panico. Occhio, perciò, alle squadracce sioniste

di Il Pungolo Rosso

Come è chiaro ormai a chiunque, la causa palestinese ha conquistato nel mondo una popolarità che non ha mai avuto in precedenza come simbolo universale della resistenza indomita degli oppressi all’oppressione coloniale, e di conseguenza mai come ora ha goduto di altrettanta riprovazione e odio la macchina di guerra e sterminio del colonialismo sionista di Israele (e i suoi protettori).

Se negli Stati Uniti sono arrivati a fermare a Detroit per due ore lo storico israeliano anti-sionista Ilan Pappé per riuscire a sapere da lui se è o no un sostenitore di Hamas (come sembra all’FBI), allora non è esagerato affermare, come lo stesso Pappé ha fatto: “Azioni come questa odorano di puro panico e disperazione in relazione al fatto che Israele diventerà presto uno stato paria con tutte le implicazioni di un tale status”.

Non siamo certi che questo accadrà, ed è per noi dopotutto secondario se questa dinamica avrà o no una sanzione giuridica internazionale dal Tribunale dell’Aja. Quel che è certo, però, è l’incontenibile rabbia e sorpresa (di qui il quasi-panico) del mondo sionista in Israele e in tutto l’Occidente per la diffusione della condanna del genocidio in corso a Gaza, che per noi incontentabili è ancora troppo passiva e moderata, benché certamente ampia.

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Il Pungolo Rosso: Italia: riarmo e ampliamento delle forze armate, primi passi (ma decisi!)

ilpungolorosso

Italia: riarmo e ampliamento delle forze armate, primi passi (ma decisi!)

di Il Pungolo Rosso

Militari italiani 1Come si colloca l’Italia nel quadro dell’incremento mondiale delle spese militari? La risposta è semplice: ai primi posti! E se perfino il Sole24ore ci sommerge di dati in proposito, allora possiamo esserne certi. Nella graduatoria mondiale dei primi trenta big della “difesa” (ma bisognerebbe smetterla con questa ipocrita dizione e chiamarla col suo vero termine: guerra!) quindici di essi sono statunitensi, dieci sono europei e cinque asiatici; ma tra la decina UE due sono italiani, e chi, se non Leonardo e Fincantieri?

I dati dell’anno scorso sono già superati da quelli del primo trimestre del ’24. Il rialzo medio dei titoli dei produttori di armi è del 22,8%, più del triplo dell’indice azionario globale che misura il 7,1%. In questa media mondiale il primo posto tocca all’UE con il 42,3% contro l’8,6% degli Usa. Inutile aspettare: il temuto effetto Trump che vedrebbe, forse, un disimpegno degli Usa nel finanziamento dell’armamento Nato viene considerato come una realtà di fatto e l’Europa, “culla mondiale di pace e civiltà”, sfodera tutta la sua grinta con l’Italia in ottima forma. I titoli di Leonardo si piazzano al quarto posto superando quel 42,3% di media europea e sfiorando il 56%. Fincantieri è al nono posto raggiunto con la recente acquisizione della linea di armamenti per sottomarini cedutale da Leonardo e di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo1. Ma quello che caratterizza l’impresa italiana sono gli alti ricavi che portano Leonardo all’8° posto nel mondo con 11,5 miliardi di euro2.

I maligni mormorano che questo sia dovuto ai bassi salari e alle condizioni di aspro sfruttamento dei proletari d’Italia e quindi i nostri sinistri, per non essere accusati di opportunismo, di codismo, di aver abbandonato perfino la difesa degli interessi minimi delle masse, si sono lanciati con ardore rivoluzionario in una battaglia per il salario minimo a nove euro (lordi, si badi!).

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Andrew Ahern: Difendere l’indifendibile: Il capitalismo può risolvere la crisi ecologica?

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Difendere l’indifendibile: Il capitalismo può risolvere la crisi ecologica?

Creare grafici per compiacere l’élite globale

di Andrew Ahern

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Ritchie.jpgDue nuovi libri sostengono che il capitalismo risolverà la crisi climatica ed ecologica. Pur avanzando tale tesi con stili e focus diversi, Climate Capitalism: Winning the Race to Zero Emissions and Solving the Crisis of Our Age, di Akshat Rathi, giornalista di Bloomberg, e Not the End of the World: How We Can Be the First Generation to Build a Sustainable Planet, della scienziata Hannah Ritchie, portano il lettore a una conclusione simile: il nostro attuale sistema sociale ed economico (il capitalismo) produrrà i cambiamenti tecnologici necessari, grazie alle forze di mercato, alle macchine più economiche e agli incentivi governativi, per portare a un’era di abbondanza, al progresso umano e alla «prima generazione sostenibile» del mondo.

Sia Rathi che la Ritchie sono due tecno-ottimisti e politico-pessimisti che nascondono il cambiamento sociale e politico dietro il paravento della sostituzione tecnologica.

Climate Capitalism è più esplicito rispetto a Not the End of the World nell’appoggiare il capitalismo per risolvere la crisi climatica (anche se, come sostengo, ognuno dei due fa il tifo per il capitalismo in una misura o nell’altra). Diviso in dodici capitoli, il libro di Rathi descrive l’ambito in cui i capitalisti del clima stanno cercando di affrontare il cambiamento climatico e di «vincere la corsa verso lo zero netto». Lo fa tracciando, il più delle volte, il profilo di singoli imprenditori o capitalisti, utilizzando il suo background giornalistico per creare una narrazione del tentativo del capitalismo di diventare “verde” ed evitare il peggio della crisi climatica.

Le soluzioni del capitalismo verde sono note a chiunque presti attenzione: dai veicoli elettrici, alle energie rinnovabili e alla cattura del carbonio, fino agli individui e alle istituzioni che si vantano delle loro credenziali di capitalismo verde, come Bill Gates e Unilever.

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Piccole Note: Iran, il mondo a un passo dall’abisso

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Iran, il mondo a un passo dall’abisso

di Piccole Note

I rapporti tra Iran e l’Azerbaigian e i legami di questo con Israele. Il presidente “martire” e il processo di distensione con gli Usa

Decapitata la leadership dell’Iran, dal momento che, oltre al presidente Ebrahim Raisi, sull’elicottero che si è schiantato sulle montagne dell’Azerbaigian orientale viaggiava anche il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian.

L’elicottero tornava dal vicino Azerbaigian, dove Raisi aveva inaugurato la diga di Qiz Qalasi insieme al suo omologo azero Ilham Aliyev. Viaggio importante, altrimenti non avrebbe portato con sé anche il ministro degli Esteri, presumibilmente non limitato a quanto recitano i report ufficiali.

L’Iran, l’Azerbaigian, Israele

Al di là dell’ignoto, resta però che Baku è importante per Teheran, dati i vincoli che legano i due Paesi a motivo della prossimità e dal fatto che l’Azerbaigian è l’unico paese a maggioranza sciita oltre l’Iran.

Ma proprio la prossimità ha reso i rapporti tra i due Paesi a volte ardui, anche per gli stretti rapporti tra Baku e Tel Aviv, l’antagonista irriducibile di Teheran, tanto che per Israele, come scriveva Hanshel Pfeffer su Haaretz, l’Azerbaigian costituisce “una ‘backdoor‘ estremamente utile per l’intelligence e per altre attività clandestine dirette verso il confinante Iran”.

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Fabio Mini: Blinken canta Neil Young però si dimentica il testo

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Blinken canta Neil Young però si dimentica il testo

di Fabio Mini

Le coincidenze saranno casuali, ma sempre significative. Il Segretario di Stato Blinken si è recato a Kiev a sorpresa, in treno, dalla Polonia. La sorpresa non è stata ovviamente per il presidente Zelensky, che lo attendeva puntualissimo e non poco preoccupato. Temeva che portasse cattive notizie sulla fornitura di armi, ma soprattutto sulla fornitura di dollari contanti per la “sua” gestione dello Stato e della guerra tutt’altro che lusinghiera almeno per quanto riguarda l’Ucraina. Nella ridda di miliardi di dollari che vengono promessi da Stati Uniti ed Europa è difficile capire come vengono spesi. Ma il dubbio che buona parte del contante finisca nelle tasche di chi considera gli aiuti come un profitto personale è lecito. E non si capisce perché ciò debba meravigliare o scandalizzare visto il livello di corruzione presente nel resto del mondo.

Zelensky deve aver accolto con sollievo le rassicurazioni formali: le armi tarderanno un po’, ma i soldi sono già qui. Kiev può continuare a vivere come se la guerra non ci fosse e non la toccasse. Prima coincidenza: il capo del governo slovacco “Bobo” Fico lo aveva già notato durante la sua ultima visita alla Capitale dopo due anni di guerra.

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Pierluigi Fagan: La cultura del tempo

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La cultura del tempo

di Pierluigi Fagan

Il decano dei “complessologi” italiani, Mauro Ceruti, invita ad aprirsi alla necessità di una nuova paideia in grado di comprendere il codice portante la nostra nuova epoca storica ovvero la sua “complessità”.

Siamo in una nuova epoca storica? Normalmente non ci domandiamo mai in che epoca storica siamo capitati anche perché da almeno cinque secoli, noi e tutti i nostri antenati siamo nati nell’epoca moderna. Non capita tutti i giorni o settimane o anni o decenni e anche secoli, nascere e vivere al trapasso tra un’epoca storica e un’altra. Tuttavia, è proprio ciò che sta succedendo.

L’umanità ha triplicato i suoi effettivi nei soli, ultimi settanta anni, evento che per dimensione, peso e brevità temporale, non si è mai verificato nella storia umana. Ha triplicato le sue forme istituzionali (Stati), alcune civiltà sono e stanno crescendo molto (asiatici, africani), altri perdono peso (occidentali). Si sono grandemente arborizzate molte reti del sistema umanità (trasporti, comunicazioni, scambi commerciali, finanziari, culturali), popolazioni prima ordinate da stili di vita pre-moderni hanno sincronicamente avuto accesso ai modi dell’economia moderna, particolarmente entropica. Nuove ricchezze che cambiano le società e gli stili di vita e che poi nel totale dei singoli stati portano a nuovi livelli di potenza che eccitano la ripresa della competizione geopolitica. Quindi sì, è innegabile e del tutto evidente che siamo entrati in una nuova epoca storica, nostro malgrado.

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Il Chimico Scettico: La scienza, il moralismo, la fede

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La scienza, il moralismo, la fede

di Il Chimico Scettico

Ho già citato questa sentenza:

«La conoscenza per amore della conoscenza» – è questo l’ultimo tranello che ci tende la morale: è così che ancora una volta ci si coinvolge completamente in lei.

Friedrich Nietzsche in questa sentenza di Al di là del bene e del male parlava in senso alto, un senso che percorre i lavori del filosofo, il senso in cui lo ho usato qua,

Si parva licet componere magnis al giorno d’oggi potrebbe essere parafrasato nel contesto basso dei mezzi di comunicazione piccoli e grandi:

La popolarizzazione della conoscenza scientifica – è questo l’ultimo tranello che ci tende il moralismo.

Si potrebbe mutuare dicendo che la differenza che c’è tra morale e moralismo è quella che c’è tra un sospiro e un rutto, o quella tra religione e clericalismo. Mi ricordo anni e anni fa un sacerdote che raggiunse un gruppo di vecchi colleghi e alla domanda “Come va?” rispose “Eh, c’è troppo, troppo clericalismo”.

Io nella scienza non ci credo.

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