[SinistraInRete] Francesca Simi: Origine e sviluppi della globalizzazione neoliberista

Rassegna 11/06/2024

Francesca Simi: Origine e sviluppi della globalizzazione neoliberista

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Origine e sviluppi della globalizzazione neoliberista

di Francesca Simi*

Dalla fine di Bretton Woods all’attuale rivalità Usa-Cina: evoluzione geoeconomica e disuguaglianze globali. Attività effettuata nell’ambito del progetto Contemporanea… mente.

 

L’origine della globalizzazione

La genesi del processo di globalizzazione viene ricondotta da autorevoli economisti, come il prof. Bruno Amoroso, al 15 agosto 1971 quando il presidente statunitense Nixon, a causa delle corpose spese della guerra in Vietnam, dichiarò la fine della convertibilità del dollaro in oro e dei cambi fissi fra le valute, stabiliti negli accordi di Bretton Woods del 1944. Questi ultimi avevano come terzo pilastro fondante la centralità del dollaro come moneta di riferimento degli scambi internazionali. Questi accordi avevano stabilito le regole della nuova fase economica e finanziaria che si sarebbe aperta dopo la Seconda guerra mondiale.

La possibilità per la Federal Reserve di poter stampare moneta per coprire le spese di bilancio senza vincoli rispetto alle riserve auree possedute, creò le condizioni affinché il sistema finanziario mondiale venisse inondato da una grandissima quantità di dollari, soprattutto dopo la crisi petrolifera del 1973. Infatti, l’impennata di 3 volte e mezzo del costo del greggio, essendo quest’ultimo quotato in dollari, aumentò copiosamente la richiesta e l’emissione di biglietti verdi legati al petrolio che, per questo, vennero definiti petrodollari.

Così, i soggetti istituzionali, come governi, banche e fondi d’investimento, che possedevano o avevano in deposito ingenti quantità di dollari, iniziarono a fare pressione affinché venissero tolte le barriere alla libera circolazione dei capitali, come in effetti avvenuto negli anni successivi. Questo possiamo definirlo come il fenomeno che ha innescato la globalizzazione nel settore finanziario.

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Paolo Ferrero: Fermare il genocidio e smascherare le cattive narrazioni che lo giustificano

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Fermare il genocidio e smascherare le cattive narrazioni che lo giustificano

di Paolo Ferrero

035.jpgDa oltre 6 mesi lo stato israeliano sta massacrando i palestinesi a Gaza. Un tempo lunghissimo in cui un giorno segue l’altro in una brutalità che ha assunto un tratto burocratico, pianificato, normale… Un tempo infinito che ci dice quattro cose:

1. Quella di Israele non è una guerra contro Hamas, ma un genocidio contro il popolo palestinese. In ogni guerra vi sono vittime civili, hanno addirittura inventato la definizione di “danni collaterali” per darne conto. In questo caso non vi è alcun danno collaterale: il centro dell’azione militare dell’esercito israeliano è rivolto contro la popolazione di Gaza con decine di migliaia di morti di cui oltre 13.000 bambini. Le bombe sugli ospedali, sul parlamento, sull’università, sul complesso delle infrastrutture che permettevano la vita a Gaza di due milioni di persone, non sono danni collaterali ma la drammatica normalità di una brutale azione genocida.

2. L’obiettivo del genocidio che lo stato israeliano sta compiendo, non è lo sterminio di tutti i palestinesi ma la pulizia etnica della striscia di Gaza. Israele vuole rendere impossibile la vita a Gaza a due milioni di palestinesi, terrorizzandoli con i bombardamenti, distruggendo le loro case e le infrastrutture, in modo da poterli sgombrare e occupare quel territorio con nuovi insediamenti illegali di coloni israeliani. Siamo dinnanzi a un genocidio finalizzato alla “sostituzione etnica” nel territorio di Gaza.

3. La strumentazione che lo stato di Israele sta utilizzando per realizzare i suoi obiettivi a Gaza non è solo militare. Oltre alle bombe, man mano che passa il tempo, la strategia terroristica dello stato israeliano si esprime sempre più attraverso il blocco dell’ingresso a Gaza dei generi alimentari, dell’acqua, nei medicinali e di quant’altro sia necessario per permettere la nuda vita ai palestinesi intrappolati in quell’immenso campo di concentramento che è Gaza.

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comidad: Chi paga il conto quando il potente fa il demente

comidad

Chi paga il conto quando il potente fa il demente

di comidad

Purtroppo noi italiani ci facciamo sempre riconoscere. Tutte le altre democrazie occidentali vibrano di ardori guerrieri, concedono a Kiev di usare le armi atlantiche per colpire il suolo russo, parlano persino di inviare truppe sul terreno; qui da noi invece la Meloni invita alla prudenza, Tajani dice che non siamo in guerra con la Russia, Salvini canta “Blowin’ in the wind” e si mette addirittura a insultare Macron e Stoltenberg. Insomma, una sguaiata esibizione della propria strizza, e giustamente il professor Parsi se ne indigna sulle colonne del “Foglio”. Comunque Parsi non deve disperare: dopo le elezioni europee, una volta passato il rischio di regalare voti alle opposizioni, vedrà che i leader del governo di destra torneranno alla piena disciplina atlantica; anche perché nelle cose importanti il governo conta poco e il Consiglio Supremo di Difesa è presieduto da Mattarella, al quale Crosetto deve rispondere.

A smentire le volgarità di Salvini c’è nientemeno la parola di Putin in persona, che in una conferenza stampa ha dichiarato di aver incontrato Stoltenberg quando questi era nel governo norvegese, per risolvere con lui questioni inerenti al Mare di Barents; ebbene, a detta di Putin, in quegli incontri Stoltenberg non gli aveva mai dato l’impressione di soffrire di demenza.

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Giuseppe Masala: Il “mastino della guerra” degli Stati Uniti colpirà ancora

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Il “mastino della guerra” degli Stati Uniti colpirà ancora

di Giuseppe Masala

Procedendo nell’analisi di questa enorme crisi che coinvolge il continente euroasiatico e africano ci siamo accorti di come fosse necessario suddividere le aree del conflitto in quattro diversi quadranti; quello europeo, quello caucasico, quello mediorientale e quello africano. Naturalmente questo va fatto senza mai dimenticare che il conflitto in corso vede sempre impegnati gli stessi protagonisti principali, con gli attori locali che cambiamo a seconda del quadrante che si vuole analizzare.

La logica proposta è valida – a nostro avviso – anche nel quadrante mediorientale, che, va detto, è comunque quello che offre il mosaico più complesso da ricomporre, a causa del fatto che al suo interno si intrecciano questioni storiche di lunga data, oltre che questioni di natura culturale e religiosa.

Come sappiamo, la crisi in Medio Oriente è deflagrata in tutta la sua violenza a causa dell’attentato del 7 Ottobre dell’anno scorso, quando i commandos di Hamas riuscirono a evadere i controlli israeliani attorno alla striscia di Gaza e a perpetrare alcune stragi in degli insediamenti israeliani e, addirittura, in un raduno per giovani appassionati della musica tecno.

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Matteo Bortolon: Luciano Canfora: Dizionario politico minimo

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Luciano Canfora: Dizionario politico minimo

di Matteo Bortolon

Il Dizionario politico minimo di Luciano Canfora (Fazi 2024, a cura di Antonio di Siena) è un agile volume di 230 pagine organizzato come voci enciclopediche in ordine alfabetico. È un libro accattivante, scritto con meravigliosa semplicità e svelte note a piè di pagina che soccorrono il lettore nei termini che il professor Canfora tende a dare per scontate (tipo COMECON o la Conferenza di Baku). Si tratta del risultato di una lunga intervista, pazientemente trascritta e resa accessibile dal curatore; la matrice orale risulta presente con la freschezza e comunicatività del risultato finale, per cui si tratta di una lettura adattissima per chi non è troppo addentro alle sue dinamiche.

I momenti in cui un gigante intellettuale si concede a una comunicazione più divulgativa spesso non vanno bene, spaziando da una semplificazione eccessiva (che in tal caso potrebbe coinvolgere figure di minor spessore ma più a loro agio con le tempistiche del vasto pubblico) a concetti troppo difficili. In questo caso l’operazione riesce, presumibilmente in gran parte per la mediazione del curatore.

I termini sviluppati spaziano attraverso tutto il lessico politico, dalla A di antifascismo alla Z di Zeitgeist, pienamente visibili sulla copertina stessa.

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Giorgio Agamben: Sulle cose che ci-non-sono

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Sulle cose che ci-non-sono

di Giorgio Agamben

Cristina Campo ha scritto una volta: «che altro veramente esiste in questo mondo se non ciò che non è di questo mondo?». Si tratta verisimilmente di una citazione da Giov.18, 36, dove Gesù dichiara a Pilato : «Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei inservienti avrebbero combattuto per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei. Ora il mio regno non è qui». Decisivo è allora interrogarsi sul significato e sul modo di esistenza di ciò che è non di questo mondo. È quello che fa Pilato, che, quasi volesse comprendere lo statuto di questa speciale regalità, subito gli chiede: «Dunque tu sei re?». La risposta di Gesù, per chi la sa intendere, fornisce una prima indicazione sul senso di un regno che esiste, ma non è di qui: «Tu lo dici che io sono re. Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo: per testimoniare della verità». E a questo punto Pilato pronuncia la famigerata domanda, che Nietzsche ha definito «la battuta più sottile di tutti i tempi»: «che cos’è la verità?». Il regno che non è di questo mondo esige che noi testimoniano per la sua verità e quello che Pilato non riesce a capire è che qualcosa possa essere vero senza esistere nel mondo. Che ci siano, cioè, delle cose che in qualche modo esistono, ma non possono essere oggetto di un giudizio giuridico di verità o non verità fattuale, come quello che è in questione nel processo che Pilato sta conducendo.

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Luca Busca: Alle Europee hanno vinto loro

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Alle Europee hanno vinto loro

di Luca Busca

Per comprendere meglio il reale sentimento della popolazione italiana espresso in occasione delle elezioni europee, è necessaria, al contrario di quello che fa il mainstream, un’analisi numerica dei risultati che tenga in considerazione l’astensione. Infatti, se la maggioranza assoluta dell’elettorato italiano non trova adeguata nessuna delle rappresentanze proposte, hanno poco senso quelle valutazioni che assegnano la vittoria alla destra, sostengono la tenuta della sinistra e il tracollo del M5S e della Lega.

Un’altra premessa è necessaria prima di esporre i dati numerici, tutti rilevati dalla fonte ufficiale, il Ministero dell’Interno (https://elezioni.interno.gov.it/europee/scrutini/20240609/scrutiniEX). Il ministero riporta come dato numerico degli aventi diritto 51.313.834. La somma dei numeri dei votanti e degli astenuti come risultano dalle percentuali dà invece 46.259.555, con una differenza di 5.054.279. All’appello, al momento del rilevamento, mancano, tra Italia ed estero 1.228 sezioni. Tenendo presente che all’estero l’astensione è ancora più forte il risultato non dovrebbe poi essere molto differente. Al momento non sono riportate, tranne che per 21.699 “fuori sede”, le schede bianche e nulle che potrebbero coprire il gap tra votanti e voti attribuiti ai partiti. Ecco i risultati.

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Giacomo Marchetti: Elezioni. Il terremoto politico tedesco

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Elezioni. Il terremoto politico tedesco

di Giacomo Marchetti

I risultati delle elezioni politiche europee in Germania sono un atto di sfiducia conclamata nei confronti dell’attuale maggioranza che governa a livello Federale.

La coalizione “semaforo” che raggruppa socialdemocratici, verdi e liberali esce con le ossa rotte dalle europee, così come le singole formazioni che la compongono, ottenendo insieme meno di un terzo dei voti totali.

Particolarmente compromessa appare la posizione della SPD – 14,1% – che diviene il “terzo” partito dopo l’estrema destra dell’AFD che conquista il 15,6% dei consensi.

Il risultato è uno smacco particolare per Scholz, il cui volto compariva nei manifesti elettorali accanto a quello della capolista Katerina Barley.

In netto calo, rispetto alle elezioni europee del 2019, sono i Verdi (solo il 12%), mentre i “liberali” della FDP di Christian Linder – che è il Ministro delle finanze – con il loro risultato del 5,3%, sono appena sopra la soglia di sbarramento per avere rappresentanti nel Bundestag.

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Redazione: Dopo le elezioni anticipate la Francia guiderà ancora il fronte dei “falchi” nel conflitto ucraino?

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Dopo le elezioni anticipate la Francia guiderà ancora il fronte dei “falchi” nel conflitto ucraino?

di Redazione

Alle 21 di domenica 9 Giugno, Macron, con discorso televisivo alla nazione, ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e ha convocato le elezioni politiche per il 30 giugno, con il secondo turno fissato al 7 luglio.

É un terremoto politico che potrebbe cambiare la funzione che, con Macron, la Francia si era assunta nel conflitto ucraino e che si stava ulteriormente consolidando con la recentissima visita di Zelensky a Parigi.

Andiamo con ordine.

Giovedì 6 giugno durante un’intervista televisiva su TF1 e France 2, a margine delle celebrazioni per l’80° anniversario dello sbarco del D-Day, Emmanuel Macron ha annunciato a sorpresa che la Francia avrebbe finalmente inviato aerei da combattimento in Ucraina.

Un “programma di trasferimento” di Mirage 2000-5 sarà lanciato “domani”, aveva dichiarato il capo di Stato, alla vigilia della visita a Parigi del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Mentre numerose fonti all’interno delle forze armate e dell’esecutivo hanno suggerito negli ultimi mesi di rinunciare ad una simile proposta, ritenuta troppo complessa, consigliando invece l’invio di F-16 americani proposto da altri Paesi – Belgio, Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia – questo annuncio aveva segnato una rottura nel grado di coinvolgimento dell’Europa nella guerra.

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Matteo Bortolon: Incubo UE: dal “pilota automatico” europeista a quello atlantista

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Incubo UE: dal “pilota automatico” europeista a quello atlantista

di Matteo Bortolon

48180137531 a3a62037b4 k.jpgA pochi giorni dalle elezioni europee l’unica vittoria di cui si può essere sicuri è quella della superficialità e approssimazione. Il dibattito procede a suon di luoghi comuni e cliché, con la proposta politica che assume la serica consistenza di un libro dei sogni; si dibatte non in base alla realtà effettiva ma su quello che si vorrebbe essa fosse.

Non si tratta (solo) di carenza di elaborazione nei contenuti, ma di una strategia di cattura del consenso. Molto comodamente, basta enunciare qualcosa di coerente coi valori predominanti nel proprio elettorato (apertura, europeismo, cosmopolitismo, oppure identità, nazione, protezione) per far presa su di esso, a dispetto della effettiva e concreta applicabilitá.

Un reale orizzonte programmatico dovrebbe tener conto della struttura dell’Unione e dei problemi da essa generati. Nessuno di essi è stato risolto in questi anni. Anzi se ne sono aggiunti altri.

 

A cosa serve il voto europeo?

Prima di tutto andrebbe ricordato che il voto di giugno elegge il Parlamento europeo, che non è il legislatore della Ue. Il processo di approvazione delle misure (regolamenti e direttive) passa per tre soggetti: Commissione, Parlamento, Consiglio. L’iniziativa è esclusiva del primo di essi, una sorta di esecutivo nominato dai governi in carica all’inizio della legislatura: ogni Stato manda un Commissario. L’europarlamento non può proporre nulla, ma solo approvare o modificare quello che la Commissione propone.

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Raffaella Milandri: Nativi. Come le riserve indiane ispirarono i campi di concentramento nazisti

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Nativi. Come le riserve indiane ispirarono i campi di concentramento nazisti

di Raffaella Milandri

720x410c50buyvfiLa capacità dell’America di mantenere un’aria di robusta innocenza sulla scia della morte di massa dei Nativi Americani pare che abbia colpito Hitler come un esempio da emulare. Nel 1928, Hitler osservò, con approvazione, che i coloni bianchi in America avevano “ridotto i milioni di pellerossa a poche centinaia di migliaia”.

«L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari», diceva Antonio Gramsci. Aveva ragione, la storia non ha scolari che acquisiscano insegnamenti positivi ma, come vedremo, sono le ispirazioni negative e tragiche, invece, che spesso vengono riprese, replicate e “implementate”. Secondo molti studiosi, è questo il caso del trattamento riservato ai Nativi Americani e, in generale, delle leggi razziali statunitensi, tra cui le Leggi Jim Crow, che avrebbero quindi influenzato il regime nazista nella formulazione delle Leggi di Norimberga del settembre 1935.

Andiamo a vedere come.

Innanzitutto, occorre accennare all’ampio movimento dell’eugenetica, iniziato alla fine del XIX secolo, emerso nel Regno Unito, per poi diffondersi in molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia (paesi guarda caso in mano ai colonialisti), e la maggior parte dei Paesi europei (come Svezia e Germania). Le politiche eugenetiche, razziste, erano volte a migliorare la qualità del patrimonio genetico delle loro popolazioni e vi aderirono eminenti personaggi come Sir Winston Leonard Spencer Churchill e Dwight D. Eisenhower. La supremazia in tali politiche toccava agli Stati Uniti, come afferma James Q. Whitman, professore alla Yale Law School: “All’inizio del XX secolo, l’America era la principale giurisdizione razzista del mondo”.

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Giulio Chinappi: La risoluzione su Srebenica usata come arma contro la Serbia

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La risoluzione su Srebenica usata come arma contro la Serbia

di Giulio Chinappi

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato l’11 luglio come “Giornata Internazionale di Riflessione e Commemorazione del Genocidio del 1995 a Srebrenica”. La Serbia, rappresentata dal presidente Aleksandar Vučić, ha contestato la risoluzione, considerandola politicizzata e divisiva.

Lo scorso 23 maggio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sul genocidio di Srebrenica, designando l’11 luglio come “Giornata Internazionale di Riflessione e Commemorazione del Genocidio del 1995 a Srebrenica”. La risoluzione, adottata con 84 voti favorevoli, 19 contrari e 68 astensioni, condanna qualsiasi negazione del genocidio di Srebrenica come evento storico e le azioni che glorificano coloro che sono stati condannati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio da parte dei tribunali internazionali. Va comunque notato che la risoluzione ha ottenuto il voto favorevole di appena 84 Paesi sui 193 membri delle Nazioni Unite.

Senza volerci soffermare sui fatti storici, appare quanto meno curioso che Paesi come la Germania, principale promotore della risoluzione, che chiudono gli occhi di fronte al massacro di oltre 30.000 palestinesi da parte del regime nazisionista israeliano, trovino il tempo di scrivere e approvare una risoluzione su un avvenimento di quasi trent’anni fa, in cui, secondo le stime ufficiali, persero la vita circa 8.000 persone.

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Giacomo Gabellini: L’ambiguità strategica della Germania in Ucraina

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L’ambiguità strategica della Germania in Ucraina

di Giacomo Gabellini

Nei giorni scorsi, droni ucraini hanno preso di mira due stazioni radar di cui si compone la rete strategica di allerta precoce della Russia, colpendone una. Le strutture costituiscono parte integrante della rete strategica di allerta precoce della Russia e il loro danneggiamento, anche temporaneo, deteriora la capacità del Paese di rilevare con il dovuto tempismo minacce atomiche in arrivo. La dottrina nucleare russa identifica qualsiasi attacco al sistema essenziale di primo allarme nucleare come una ragione sufficiente per legittimare una ritorsione diretta e proporzionale. Il senatore russo Dimitrij Rogozin ha dichiarato in proposito che l’attacco ha preso di mira «un elemento chiave dell’ombrello nucleare della Russia», e aggiunto che «il profondo coinvolgimento di Washington nel conflitto e il controllo totale esercitato dagli americani sulla pianificazione militare di Kiev significa che le affermazioni secondo cui gli Stati Uniti non sono a conoscenza dei piani ucraini per colpire il sistema di difesa missilistico russo possono essere escluse».

Parallelamente, il governo di Berlino ha autorizzato l’Ucraina ad avvalersi delle armi tedesche fornite nel corso dei mesi contro obiettivi militari in territorio russo, in seguito alle pressioni esercitate dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che il 27 maggio aveva invocato la revoca del divieto alle forze ucraine di impiegare armi occidentali per sferrare attacchi in profondità in suolo russo.

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Matteo Gaddi: Commento a “Oltre la produzione snella” di Kim Moody

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Commento a “Oltre la produzione snella” di Kim Moody

di Matteo Gaddi

In più passaggi Moody insiste su un presunto calo della produttività. (“La produttività manifatturiera negli Stati uniti è aumentata di circa il 4% all’anno fino alla Grande recessione del 2008-2010. Ma poi è crollata. […] L’aumento annuale della produttività manifatturiera è stato rimandato al 2019. È aumentato di nuovo nel 2021 con l’attenuarsi della pandemia, per poi diminuire nuovamente nel 2022 e nel 2023”). A supporto di questa affermazione non ci sono dati: per quanto mi riguarda nei pochi casi in cui la produttività è misurabile in termini fisici (seppur anche qui ci sarebbero da fare alcune precisazioni), essa risulta tutt’altro che in calo, anzi!

Una domanda sorge spontanea: la produttività citata da Moody come viene misurata? Il tema non è una questione tecnica, ma politica. La risposta – almeno in parte, non voglio forzare le sue parole – la troviamo poco dopo, quando menziona la “produttività multifattoriale”, in sostanza la Produttività Totale dei Fattori, un concetto chiaramente neoclassico, il cui calcolo si basa sulla funzione di produzione. Un concetto dal quale dovrebbe tenersi ben distante chiunque intenda collocarsi in un versante ben preciso della lotta di classe.

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Eros Barone: Vittorio Sereni e “la signora della porta accanto”

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Vittorio Sereni e “la signora della porta accanto”

Ritratto di un poeta lombardo

di Eros Barone

Era nato a Luino nel 1913 e a questa cittadina che è situata sulla sponda lombarda del Lago Maggiore e che rappresentava il suo “paese dell’anima” rimase legato per tutta la vita («Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema», canta con la consueta eleganza nella poesia intitolata “Un ritorno”). Compì gli studi a Milano, inserendosi nel gruppo di giovani filosofi che facevano capo ad Antonio Banfi e agli artisti di «Corrente». Aveva appena iniziato la carriera d’insegnante, quando l’Italia entrò in guerra ed egli fu richiamato alle armi. Fatto prigioniero dagli alleati in Sicilia nel 1943, venne deportato in Algeria e in Marocco. Sono queste le esperienze rispecchiate dalla raccolta di poesie «Diario d’Algeria», che è del 1947.

Finita la guerra, rientrò a Milano, dove lavorò prima come insegnante, poi come pubblicitario, infine come dirigente editoriale. Nel 1965, frutto di un lavoro di molti anni, vedrà la luce la raccolta Gli strumenti umani, un libro chiave della poesia del Novecento, dove le vicende private dell’autore appaiono costantemente proiettate sullo sfondo delle grandi trasformazioni culturali e sociali dell’Europa. In Stella variabile, che conclude nel 1981 il suo itinerario poetico, la riflessione, spesso amara, sulle “occasioni” della vita quotidiana prende corpo in un linguaggio ancor più essenziale, capace di grande concentrazione lirica. Muore nel 1983.

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