Intervista a Walter De Cesaris: “Vogliamo che non venga messo in discussione il diritto alla casa per gli assegnatari e che non si introducano né forme di precarietà, né mobilità forzate”.
Intervista a Walter De Cesaris, Segretario Nazionale Unione Inquilini sulla questione “vendita all’asta case popolari”, sospensione e modifica del decreto, proposte del sindacato alle regioni.
Per il decreto attuativo dell’art 3 Piano Lupi dopo l’incontro del sindacato al Ministero delle Infrastrutture si parla di una modifica a favore degli inquilini. Di fatto si tratta di un nuovo coinvolgimento della Conferenza Unificata, Stato e Regioni. Possiamo parlare di un vero e proprio ritiro del decreto?
Il Ministero delle Infrastrutture ha dichiarato formalmente che il decreto verrà modificato rispetto a quello su cui era stata sancita l’intesa con la Conferenza Unificata lo scorso ottobre. Pertanto, ci sarà un nuovo testo sul quale la Conferenza Unificata dovrà di nuovo sancire l’intesa. Politicamente, dunque, si può parlare di un ritiro del vecchio decreto malgrado i rappresentanti del Ministero non vogliano ammetterlo attaccandosi a una mera questione formale. Tecnicamente, infatti, si ritira un provvedimento già emesso mentre quello di cui stiamo discutendo, anche se già firmato dal Ministro, era tecnicamente “in corso di pubblicazione” ma non ancora promulgato. Diciamo che siamo riusciti a bloccare la macchina un attimo prima che finisse nel burrone. Al di là dei tecnicismi, quello che ci interessa è che siamo riusciti a fermarlo in quanto presentava punti sostanziali molto negativi.
Cosa avete proposto al Governo?
Al governo abbiamo posto una questione generale e 4 specifiche. Quella generale è la seguente: manteniamo un giudizio critico sulla necessità di accelerare la dismissione del patrimonio. Serve il contrario: incrementare l’offerta di alloggi sociali al fine di rispondere alla domanda oggi inevasa di abitazioni a canone sociale. Per questo, secondo noi, occorrerebbe sospendere le procedure di vendita e non pensare a come accelerarle.
Le questioni specifiche quali sono?
Procedure di alienazione: riteniamo pericoloso il meccanismo che prevede l’asta pubblica come criterio di alienazione in quanto si permette a parti cospicue del patrimonio ERP, costruito con finanziamenti specifici per garantirne l’uso sociale, di finire nella disponibilità di soggetti che non c’entrano nulla con l’edilizia popolare. Salvaguardia degli assegnatari: riteniamo che debba essere prevista espressamente e in ogni caso la salvaguardia dell’assegnatario, in possesso dei requisiti per la permanenza nell’ERP, di rimanere nell’alloggio in cui vive, qualora non eserciti il previsto diritto di prelazione. Esercizio del diritto di prelazione: riteniamo che sia fortemente penalizzante per gli assegnatari prevedere che il diritto di prelazione si possa esercitare solo dopo la conclusione dell’asta pubblica e al prezzo da essa definito. Pensiamo che invece vada mantenuto il criterio che l’alloggio, eventualmente in dismissione, debba essere in ogni caso offerto preventivamente all’assegnatario. Determinazione del prezzo di vendita: riteniamo non corrispondente alla realtà degli accordi sindacali in materia di alienazione del patrimonio anche di enti pubblici privatizzati, la previsione che il prezzo base venga rapportato ai valori di mercato senza prevedere clausole specifiche di abbattimento del prezzo (in base al criterio che si tratta di alloggi abitati, alla vetustà, allo stato manutentivo, ecc.). Inoltre, il già ricordato meccanismo dell’asta pubblica rende precaria qualsiasi determinazione del prezzo, essendo infatti quello finale, il risultato non preventivabile del gioco delle offerte.
Il Ministero ha dichiarato di voler modificare il decreto proprio su questi punti che avete sollevato…
Sì, adesso aspettiamo le risposte. Al di là dei formalismi, infatti, ci interessa la sostanza: come il governo ripresenterà il nuovo testo e su quello daremo il nostro giudizio. Per tali motivi, abbiamo detto che, benché siamo chiaramente soddisfatti del fatto che siamo riusciti a bloccare l’uscita del decreto, non fermiamo la mobilitazione. Infine, abbiamo chiesto che il governo applichi quanto previsto dall’articolo 4 della stessa legge Lupi per quanto riguarda il decreto applicativo del piano di recupero degli alloggi oggi non assegnati in quanto bisognosi di interventi di manutenzione straordinaria (si tratta di circa 40 mila alloggi in tutta Italia). Abbiamo contestato che, malgrado i tempi previsti siano ampiamente scaduti, in questo caso il governo non abbia ancora fatto concreti passi in avanti. Insomma, non ci va la storia dei due pesi e delle due misure: si sbrigano per quanto riguarda le procedure di dismissione (e ripeto l’Unione Inquilini è riuscita in extremis a bloccare il decreto con la mobilitazione degli assegnatari) e invece vanno a passo di lumaca quando si tratta di interventi che incrementano il patrimonio disponibile per l’affitto sociale.
Nei territori, in particolare seguendo la scena romana, i cittadini rivelano molta paura al pensiero che li possano allontanare dalle case in cui vivono anche da trent’anni. Di contro si stanno muovendo organizzando assemblee perché, quasi tutti, con forza gridano: “Piuttosto che farmi levare la casa mi incatenerò!”.
L’espressione “Piuttosto che farmi levare la casa, mi incatenerò” esprime benissimo la ribellione alla precarietà che viene prodotta dalle politiche neoliberiste. Nei picchetti contro gli sfratti, ripetiamo uno slogan che esprime una profonda verità: “chi perde il lavoro, perde la casa”. Il diritto al lavoro e quello alla casa esprimono bisogni primari e insostituibili che danno la dignità alle persone. Dire che le case popolari possono essere vendute all’asta e che quindi possano diventare proprietà di soggetti privati produce oggettivamente una precarietà per chi vi abita. La possibilità di essere spostati eventualmente in un altro luogo, sicuramente più periferico e marginale, sradica dal contesto sociale e dalle relazioni umane. Per questo, riteniamo che avere il diritto di rimanere nell’alloggio in cui si vive, rappresenti un punto irrinunciabile delle richieste di modifica del decreto in esame. Nella mobilitazione di queste settimane, anche con l’iniziativa simbolica di salire sui tetti delle case popolari, abbiamo voluto far esprimere questo sentimento di rabbia e tramutarlo verso una protesta che si fa resistenza e dalla resistenza propone un nuovo protagonismo degli assegnatari delle case popolari.
Qual è il messaggio?
Il messaggio è il seguente: non solo non vogliamo andare via dalle nostre case ma vogliamo interventi di recupero che sconfiggano il degrado dei palazzi e degli alloggi e migliorino con servizi e spazi sociali i quartieri in cui viviamo. E’ del tutto evidente che si esprime in questo contesto anche un sentire più generale rispetto alla crisi e alle sue pesantissime ripercussioni sulle fasce più povere ed emarginate. Io penso che dobbiamo insistere su questo punto perché nelle assemblee e nelle mobilitazioni si stanno vivendo momenti di intensa partecipazione popolare. Dobbiamo rimanere un sindacato attaccato alle vertenze e alle lotte concrete. Per tale motivo, non molliamo la presa: vogliamo che non venga messo in discussione il diritto alla casa per gli assegnatari e che non si introducano né precarizzazioni né mobilità forzate. Al tempo stesso, vogliamo anche andare oltre questa vertenza e passare dalla difesa all’attacco. Vogliamo il recupero degli immobili degradati e una riforma dell’intervento pubblico nella politica sociale della casa che incrementi l’offerta di alloggi sociali attraverso il riuso del patrimonio pubblico in disuso.
E’ possibile capire l’iter di questo ritiro del decreto e una tempistica sulla sua modifica?
Il percorso limpido è il seguente: il governo vara un nuovo testo, poi viene convocata la Conferenza Unificata che lo valuta ed esprime eventuali proposte di modifica. Dopo questa fase di confronto, ci deve essere un nuovo pronunciamento che esprime il testo definitivo su cui la Conferenza Unificata (Stato regioni Comuni) esprime il previsto concerto. Da lì, il decreto riprende l’iter istituzionale della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Naturalmente, noi non staremo a guardare come spettatori ma intendiamo giocare la nostra partita da protagonisti come abbiamo fatto finora. Il governo ha detto che modificherà il decreto nella direzione delle nostre richieste. Alle parole debbono seguire i fatti. E’ sempre possibile che possano riprodursi manovre inadeguate e insufficiente in cui magari si cambia qualcosa ma si lascia inalterato l’impianto. Noi possiamo agire però anche dal lato delle Regioni e dei Comuni, che sono attori fondamentali del confronto. Noi siamo riusciti ad accendere i riflettori e non lasceremo che si spengano. Abbiamo anche chiesto al governo e di converso alle regioni e ai comuni di valutare anche l’opportunità di lasciar cadere il decreto. E’ vero che una legge , il cosiddetto Piana Casa Lupi, all’articolo 3 ha introdotto questa possibilità (che noi abbiamo contestato) ma è altrettanto chiaro che siamo su un terreno scivoloso. Lo Stato non può legiferare dettando norme e criteri rigidi su un patrimonio che non gli appartiene e la materia dell’edilizia residenziale pubblica è una competenza specifica di Regioni e comuni. Lo Stato, invece di rendere precario chi una casa è riuscito ad averla, dovrebbe dettare regole generali e, cosa più importante, fornire gli strumenti utili a garantire i servizi dell’edilizia sociale in tutto il Paese. Lo Stato, quindi, dovrebbe individuare forme di finanziamento attraverso la legge di stabilità e dare impulso a un intervento pubblico che riesca a dare risposte a chi una casa non ce l’ha (700 mila nuclei familiari che avrebbero diritto a una casa popolare e non hanno risposte).
Come proseguirà in merito la battaglia del sindacato? L’Unione Inquilini Roma alla Regione proporrà maggiore finanziamenti, stabilità e la possibilità di autoricostruzione di immobili fatiscenti. Le altre regioni come si stanno muovendo?
Continueremo questa battaglia fino alla fine e finché non avremo ottenuto il risultato che gli assegnatari vogliono: la garanzia di rimanere nella casa dove abitano. Dopo la mobilitazione straordinaria: la giornata “sfratti 0” del 10 ottobre, le manifestazioni di inizio novembre, le tante prese di posizione, i passaggi televisivi e sulla stampa, il Ministero ha dovuto di fatto innestare la marcia indietro. Non era mai accaduto, a mia memoria, che un decreto già firmato dal Ministro venisse congelato per modificarlo. Significa che abbiamo colto nel segno. Ottenuto quello che dovevamo ottenere oggi dal governo (lo stop al decreto), siamo oggi all’attacco di regioni e Comuni e la nostra lotta in queste settimane si concentra in particolare sui livelli territoriali. Alcune Regioni (Campania e Lazio e alcuni comuni (per esempio Livorno e Roma) si sono già espressi nella direzione da noi indicata e altri lo stanno facendo. Giustamente, i compagni dell’Unione Inquilini di Roma, città in cui più forte è stata la mobilitazione, dopo aver ottenuto l’impegno di Regione e Comun a richiedere al governo nazionale di tornare indietro, ora già passano alla seconda fase: richiedere finanziamenti e interventi per l’incremento dell’edilizia residenziale pubblica. Anche a livello nazionale stiamo preparando per gli inizi del prossimo anno un evento in cui presenteremo le nostre proposte per il rilancio del settore pubblico e dell’affitto sociale in Italia. Sarà questo, poi, uno degli aspetti fondamentali del congresso di Livorno del prossimo aprile.
intervista a cura di Isabella Borghese, giornalista