Reportage da Damasco. “Ecco i martiri dimenticati dall’occidente”

La Spoon River del quartiere Tabbaleh, un rione popolare di Damasco è registrata su un molto normale tabellone stradale sul quale appaiono ben 192 facce, per la precisione: soldati, ragazzi, casalinghe, anziani, bambini. Sono i morti del quartiere, che ricevono da lassù l’omaggio dei passanti e degli automobilisti.

Reportage di Fulvio Scaglione da Damasco.

“Ecco i martiri dimenticati dall’occidente”

 

La Spoon River del quartiere Tabbaleh, un rione popolare di Damasco segnato da una forte presenza cristiana, è registrata su un molto normale tabellone stradale.

Solo che qui a terra c’è un missile inesploso e disinnescato, uno di quelli che piovevano dai quartieri occupati dall’Isise da Al Nusra, e sul tabellone non c’è la pubblicità dei jeans ma una fitta serie di facce. Sono 192, per la precisione: soldati, ragazzi, casalinghe, anziani, bambini. Sono i morti del quartiere, che ricevono da lassù l’omaggio dei passanti e degli automobilisti.

Se guardate la foto inserita in questo articolo (è brutta, lo so, l’ho fatta col telefonino) vedrete, più o meno al centro, il volto di una ragazzina. Ha il capo leggermente piegato e sorride, non potete sbagliarvi. Si chiamava Chantal, era cristiana. Poco più sotto c’è anche la sua mamma, nella foto sorride anche lei, doveva essere un pregio di famiglia. Chantal, la mamma e il papà, un giorno del 2014, stavano attraversando in auto il quartiere di Jaramana quando hanno incrociato la strada di uno dei primi kamikaze della guerra siriana. Sono saltati in aria, loro e tanti altri. Il papà è rimasto illeso e ha cominciato a cercare moglie e figlia. La moglie l’ha trovata subito: il C4, l’esplosivo del terrorista, l’aveva carbonizzata a pochi passi dall’auto. Ma era Chantal che non si trovava.

Il papà ha setacciato il luogo della strage, aggirandosi tra i cadaveri e nel sangue, ma della figlia non c’era traccia. Così ha cominciato a correre da un ospedale all’altro, in cerca di notizie, sempre più stravolto. Alla fine ha trovato la sua Chantal: l’esplosione l’aveva sbriciolata e i suoi poveri resti era in una busta di plastica, una di quelle della spesa, a sua volta appesa alla maniglia di una porta.

Sullo stesso tabellone, più defilato, c’è Doni, un ragazzone coi baffi scuri che nella foto sembra più vecchio dei suoi 20 e pochi anni. Anche lui cristiano, aveva accompagnato a Damasco la madre (vedova) e la zia (nubile), fuggite da Homs dove gli scontri erano feroci.

Doni sapeva che arrivare nella capitale significava arruolamento quasi certo, perché aveva l’età e le caratteristiche per andare soldato. Ma non poteva abbandonare le due donne, povere e sole. Così loro furono sistemate e lui acchiappato e mandato in prima linea. Lì Doni fece amicizia con Muhammed, recluta pure lui, musulmano sunnita.

I suoi genitori godevano di un po’ più di benessere così, arrivato l’inverno, col pacco di Muhammed arrivò una coperta in più, un regalo per Doni. Qualche tempo dopo i due, insieme anche in pattuglia, finirono sotto il fuoco di un cecchino. Muhammed cadde, colpito a una spalla. Doni cominciò a tentare di trascinarlo al sicuro, anche se Muhammed gli diceva di non rischiare, che potevano colpirlo. Niente da fare, Doni voleva salvare l’amico che gli aveva dato aiuto contro il freddo. Riuscì a metterlo al riparo ma il cecchino, aggiustata la mira, lo fece secco. E Muhammed, sopravvissuto alla guerra, non sa più come piangerlo.

Mentre ascolto queste storie, si avvicina al tabellone una donna. Ha le lacrime agli occhi. Chiedo se lassù c’è la foto di qualcuno che conosce. Lei risponde solo: “Mio figlio”. Due anni fa, era la Festa della Mamma. Lui la chiama, la saluta, le manda tanti baci. Ovviamente le dice che sta bene e che tutto va a meraviglia. Qualche ora dopo la chiama un ufficiale per informarla che il figlio è caduto in azione. Chissà se lui sa che la sua mamma, ora, va su e giù tutte le sere qui davanti per piangerlo in pace?

Mentre ci allontaniamo, un anziano signore ci saluta, seduto accanto alla porta di un caffè. È il proprietario e anche suo figlio Hassan sorride dal tabellone. Lavorava anche lui qui, al caffè. Una mattina si è allontanato per una commissione ma ha fatto poca strada. Giusto i cinquanta metri per arrivare al crocicchio dove una bicicletta imbottita di esplosivo lo ha fatto a pezzi. Suo padre, ora, ce l’ha davanti agli occhi in ogni momento, perché la Spoon River di Tabbaleh l’hanno tirata su proprio davanti al suo caffè. E poi c’è la cuoca falciata dalle schegge d un colpo di mortaio, i bambini della scuola armena massacrati nello scuolabus colpito da un missile, e tanti altri. Una piccola parte di quelli che abbiamo disprezzati da vivi e dimenticati subito da morti, perché dovevamo contare all’infinito gli ultimi pediatri e gli ultimi bambini esperti di Twitter.

Damasco, 18 giugno

di Fulvio Scaglione Occhi della guerra

da: www.lantidiplomatico.it
 

Sharing - Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *