[Sinistrainrete] Fabrizio Capoccetti: Come «spiegare» il popolo neoliberale

Fabrizio Capoccetti: Come «spiegare» il popolo neoliberale. La politica al tempo della sua polverizzazione

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Come «spiegare» il popolo neoliberale. La politica al tempo della sua polverizzazione

di Fabrizio Capoccetti

spiegare il popolo[…] come nello Judo la migliore risposta ad una mossa dell’avversario non è mai quella di rifiutare il contatto ma di riprenderlo a nostra volta, di riutilizzarlo a nostro vantaggio come base d’appoggio per la mossa seguente (Michel Foucault, 1975)

In alto, invece, l’anima canta la gloria di Dio, percorrendo le sue stesse pieghe senza mai giungere a svilupparle interamente, «poiché esse vanno all’infinito» (Gilles Deleuze, Leibniz et le Baroque, 1988)

Se si vuole avere ragione del neoliberalismo bisogna smettere di contrapporsi ad esso: ciò non significa convalidare il noto detto thatcheriano «There is no alternative», quanto piuttosto denunciarne l’assoluta mendacità, non più, però, da un punto di vista morale (spesso scambiato per politica, quella stessa politica ridotta a morale che rappresenta il più riuscito successo del neoliberalismo[1]), ma da un punto di vista dell’azione che perverte il discorso, che agisce parlando un altro linguaggio senza cambiare discorso, che parla facendo dire allo stesso discorso cose diverse. Non si tratta, dunque, di abbandonarsi all’ordine neoliberale come se non ci fosse nulla da fare, ma di fare in modo che il neoliberalismo non abbia più nulla da dire su quello che lo si costringerà a fare rendendolo disfunzionale.

Occorre concepire il terreno ontologico della lotta politica come la sostanza riletta da Deleuze che interpreta il pensiero di Leibniz[2]. La sostanza è infinita, ma è infinita in due modi, o meglio, vi sono due infiniti: quello della materia e quello dell’anima: la sostanza è fatta di pieghe, ed è sempre una piega a dividere i due infiniti.

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Leonardo Bianchi: Complotti!

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Complotti!

di Leonardo Bianchi*

Dai Protocolli dei Savi di Sion alla pandemia, passando per QAnon e l’assalto al Congresso degli Stati Uniti. “Complotti!” di Leonardo Bianchi costruisce un quadro organico delle teorie del complotto, spiegando come e perché nascono e si diffondono, cosa rivelano della società in cui viviamo

joiuvgefL’idea generale sul complottismo è che si tratti di un fenomeno estremamente marginale, alimentato da un manipolo di pazzoidi. Una convinzione che conforta la maggior parte delle persone: noi non siamo come loro. Ma la realtà è un’altra, che i complottismi affondano le loro radici in un lontano passato e le dispiegano nella contemporaneità a un livello più trasversale di quanti si pensi. Chiunque – in una o più fasi della sua vita – ha creduto ad almeno una favola cospirazionista: in gergo, è finito «nella tana del Bianconiglio».

Già autore di La Gente (Minimum Fax, 2017), Leonardo Bianchi – uno degli indagatori più autorevoli sul tema, una delle voci più credibili del giornalismo italiano per rigore e capacità d’analisi – in Complotti! Da QAnon alla pandemia, cronache dal mondo capovolto (Minimum Fax, 2021) costruisce un quadro organico delle teorie del complotto scavando a fondo e decostruendo in superficie, per spiegare come e perché nascono e si diffondono. Soprattutto: cosa rivelano della società in cui viviamo.

Su gentile concessione di autore e casa editrice, che ringraziamo, pubblichiamo di seguito un estratto da Complotti!

Il libro inoltre sarà presentato dall’autore insieme a Christian Raimo martedì 7 dicembre h.18 presso la Sala Venere di Più Libri Più Liberi (la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria che si terrà a Roma, al Convention Center – La Nuvola di viale Asia 40, dal 4 all’8 dicembre 2021).

* * * *

Introduzione: dentro la tana del Bianconiglio

Sebbene le definizioni si sprechino, ormai il campo è stato sufficientemente circoscritto in decenni di studi e pubblicazioni.

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Carlo Bordoni: La distruzione della ragione

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La distruzione della ragione

di Carlo Bordoni

L’Europa è attraversata da una ventata di irrazionalismo. Assistiamo al crollo delle idee illuministe che avevano forgiato un mondo, quello occidentale, aperto alla ragione e confortato dalla luce della scienza

Che cosa succede in Europa? Ma si potrebbe ugualmente chiedere che cosa succede nel mondo occidentale? Sembra sia attraversato da una ventata di irrazionalismo. La pandemia è più un’occasione che una causa, e l’aggressività, la rabbia, la violenza emergenti appaiono come il frutto di un atteggiamento sopito che attendeva solo la classica goccia che fa traboccare il vaso per manifestarsi.

Non c’è neppure una ragione politica. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di una recrudescenza di fascismo, fornita dai sovranismi, dall’odio razziale e dalla chiusura delle frontiere, mentre alcuni gruppi consistenti accusano gli Stati che restringono le libertà e obbligano a mostrare il green pass, applicando in tal modo uno stringente controllo di massa.

Secondo Charles Tilly c’è il timore che una volta emanate disposizioni restrittive dei diritti democratici per ragioni d’emergenza (come nel caso del Covid-19), le restrizioni rimangano attive e si trasformino in una significativa riduzione di democrazia. Quella che si definisce infatti un processo di “de-democratizzazione”.

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Maurizio Franzini: Il consumismo e il nuovo potere: il tormento di Pasolini

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Il consumismo e il nuovo potere: il tormento di Pasolini

di Maurizio Franzini

Nella seconda metà degli anni Sessanta l’Italia completò la sua transizione da società rurale a società dei consumi. Rispetto al decennio precedente il reddito della famiglia media crebbe considerevolmente e così i suoi consumi che cambiarono profondamente anche nella composizione: se nei primi anni Cinquanta più della meta della spesa per consumo era destinata a beni che si potevano considerare essenziali (soprattutto alimentari e bevande) un decennio dopo quella quota era scesa a circa il 35%. Questa contrazione derivava dalla crescente importanza di beni che si potevano considerare superflui, la cui proliferazione è una delle cifre distintive del consumismo.

Ma la novità non era soltanto economica, non si trattava soltanto di consumismo così inteso. Cambiavano i valori e i comportamenti sociali, cambiavano le forme e le manifestazioni del potere. Pier Paolo Pasolini anticipò quasi tutti nell’individuare questi cambiamenti; lo sguardo lucido che posò su di essi gli restituì una profonda preoccupazione che espresse, anche con toni accorati, in una serie di interventi della prima metà degli anni Settanta. Quelli a cui mi riferirò sono ora raccolti in due volumi: Scritti corsari e Lettere luterane.

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Piccole Note: Covid-19: omicron, la variante dell’11 novembre

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Covid-19: omicron, la variante dell’11 novembre

di Piccole Note

La variante omicron del Covid-19 è arrivata come una mazzata per il mondo, proprio quando sembrava che il peggio fosse alle spalle. Infatti, come segnalava l’articolo del Financial Times che abbiamo rilanciato, si iniziava a prendere coscienza che il pianeta non poteva più vivere di restrizioni tanto invasive ed era arrivato il momento di trovare un modo di convivere col virus.

Il fatto che a scrivere ciò fosse il giornale della City – insieme a tanti altri segnali che andavano in questa direzione (vedi ad esempio la recente intesa Biden-Xi sulla necessità di “porre fine alla pandemia“) – aveva aperto uno spiraglio.

Un sollievo, però, subito incrinato dall’allarme sulla nuova ondata che si stava abbattendo sull’Europa, con stime dell’Oms che prospettavano oltre due milioni di morti nel Vecchio Continente.

E, però, sembrava che il mondo potesse ancora reggere all’urto. Pur riproponendosi misure restrittive, sembrava che si potessero evitare chiusure draconiane in stile prima ondata.

Ma è arrivata l’omicron e tutto è tornato buio. come evidenzia il subitaneo crollo delle Borse internazionali. Anche la data della prima emersione della nuova variante porta inscritto il sigillo dell’infausto: è stata scoperta in Botswana l’11 novembre, per poi diffondersi in Sudafrica.

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Gianluca Sorrentino: Sachertorte

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Sachertorte

di Gianluca Sorrentino

In questi ultimi giorni abbiamo assistito alla solita “infodemia” generata a seguito della scelta del governo austriaco di introdurre restrizioni ai soli cittadini non vaccinati, decisione che ha prodotto una fibrillazione nel panorama politico europeo ed italiano. In questa ultima settimana abbiamo assistito al “concerto” di molti presidenti di regione e di alcuni esponenti politici sulla impellente richiesta di introdurre misure restrittive anche da noi sul modello austriaco. Richieste gelate dallo stesso governo: il Ministro degli affari regionali, Mariastella Gelmini ha infatti dichiarato che l’attuale esecutivo non intende applicare misure simili, in virtù del consistente tasso di vaccinati. (1)

Per comprendere meglio quale sia effettivamente la misura introdotta dal governo austriaco del cancelliere Schallenberg va analizzato brevemente il quadro epidemiologico e vaccinale.

Negli ultimi trenta giorni in Austria si è registrato un aumento dei nuovi casi per Covid-19, con un picco, al 16 novembre, di 16.717 contagi giornalieri, e un incremento maggiore nella fascia “5-14” anni.

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Piero De Chiara: Società pubblica della rete intelligente

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Società pubblica della rete intelligente

di Piero De Chiara

Un grande progetto pubblico che risponda alle domande occupazionali e ai vincoli finanziari e usi la rete e il digitale per un grande piano di cura del territorio

No, stavolta non possiamo cavarcela maledicendo il lungo elenco di errori lontani e recenti di azionisti, manager e governi; le scalate a debito, le buonuscite milionarie dei capi d’azienda, le cordate do ut des costruite a tavolino a palazzo Chigi, la riduzione inesorabile della occupazione e del perimetro aziendale.

Stavolta siamo arrivati al capolinea e, anche se TIM è forse il caso più grave, non c’è nessuna impresa di telecomunicazioni in Europa che sia in grado di resistere allo spostamento di ricavi e di valore dai servizi di rete a quelli che si svolgono sopra la rete e sono interamente capitalizzati dagli Over the top.

E siccome purtroppo non è alle viste una azienda di dimensione europea, l’unica necessaria e sufficiente per negoziare i prezzi di accesso alla rete degli OTT, occorre prendere in considerazione in Italia anche soluzioni di politica industriale non ancora sperimentate all’estero.

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Paolo Rabissi: Quattro righe e due versi per l’operaismo, una memoria di poca Storia

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Quattro righe e due versi per l’operaismo, una memoria di poca Storia

di Paolo Rabissi

Tra memoria e Storia il resoconto di un ‘quadro intermedio’ della nascita di Potere operaio, 1969-1970

schermata 2021 11 19 alle 18.11.41…se poi mi chiedi che sorte ha avuto la mia scrittura in versi nel periodo della nostra partecipazione a ‘La classe’ e alla nascita di ‘Potere Operaio’, la risposta è molto semplice, quella della talpa ( decisamente contestuale al ‘ben scavato…’, assunto dagli operaisti!). E come altrimenti? Non credere che io l’abbia sotterrata subito. Vero è che Oreste[1], appena sbarcato a Milano e appena conosciuti i miei (tiepidi) tormenti letterari in prosa, mi propose di aggiustare la faccenda con un semplice “… dopo i tuoi Proust Musil Kafka Joyce ecc che romanzi si possono ancora scrivere?” Ma lui veniva dalla rivista “Quindici” dove con Balestrini la decostruzione dei linguaggi compresi quelli poetici, era sin troppo avanzata. Il mio vero tormentone era in realtà quello dei versi. Sicché in una delle occasionali riunioni a casa nostra, più o meno primavera ’69, approfittando di un momento favorevole, ho letto davanti a tutti quelli che c’erano dei versi di cui non ricordo quasi nulla tranne di averci prospettato una sorta di molteplicità dei percorsi che ritenevo avessimo davanti a rivoluzione imminente. L’accoglienza fu tiepida, Sergio[2] col quale avevo un po’ più di confidenza, abbozzò un sorrisino. Toni invece non ebbe alcuna esitazione e mi rispose argomentando intorno alla sua decisa simpatia verso l’Uno e non verso il molteplice. Tanto bastó, dopo quell’exploit la mia scrittura in versi l’ho davvero sotterrata. So quando è riemersa. Quando mi resi conto che il progetto che mi aveva legato direttamente all’operaismo milanese per me era concluso, dopo una stagione non brevissima, alla fine del 1970.

La riassumo qui oggi, a ottantun’anni suonati, per tanti di quei motivi che non ha senso provare ad enumerarli. Scelgo però il più vicino nel tempo. E’ stata la storia di Potere operaio dello storico, ex-militante di Potere operaio, Marco Scavino,[3] consigliatomi da Sergio, a spingermi a scrivere. Delle memorie personali, si sa, occorre avere la giusta diffidenza, il tempo sovrappone e sovrappone. Personalmente godo però di due vantaggi. Anzitutto quanto scrivo è filtrato anche dalla memoria di Adriana, mia compagna dal ’66. Inoltre ho conservato e salvato dalle vicende una delle mie agende del ’69-’70.

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Nicola Casale: No pass, fascismo, fascisti

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No pass, fascismo, fascisti

di Nicola Casale

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri queste dense riflessioni di Nicola, già autore degli Appunti sulla maledizione pandemica, usciti in tre puntate anche sul nostro sito. Benché egli usi linguaggio e categorie diversi dai nostri, le sue riflessioni si segnalano per la pregnanza (e la salutare controtendenza) con cui colgono la natura radicale, inedita e totale del terreno su cui si gioca la scommessa rivoluzionaria oggi. Buona lettura

lasciapassare 300x205 1Tra i motivi più gettonati nella sinistra antagonista per prendere le distanze dal movimento contro il green pass (Gp) è che si tratta di un movimento egemonizzato dai fascisti, oppure di essere destinato a esserlo. La prima è semplicemente falsa, e chi abbia solo incidentalmente messo il naso nelle manifestazioni ha potuto verificarlo agevolmente. La seconda rientra, ovviamente, nel novero delle possibilità, al pari di altre di carattere diverso e persino antitetico. Che le mobilitazioni abbiano, in particolare dal 15 ottobre, un carattere prevalentemente proletario, con lavoratori di ogni settore, dipendenti o autonomi, apre, oggettivamente, alla possibilità che prevalga al loro interno un indirizzo classista, ma ciò non è un predestinato automatismo autoavverantesi per il semplice dato della composizione sociale. Dipende da un insieme di fattori, interni ed esterni al movimento, sui quali anche i fascisti possono, a determinate condizioni, giocare un proprio ruolo attingendo all’esperienza storica del mussolinismo e alla sua capacità di inquadrare il proletariato in quanto produttore, alla pari del capitalista nazionale, con un suo preciso ruolo nel sostegno della nazione e della sua economia (e adeguati riconoscimenti economico-sociali e politici).

È utile, perciò, ricordare i presupposti su cui il fascismo costruì il suo consenso anche in consistenti settori del proletariato, ma, non di meno, è necessario chiedersi se determinati processi sono destinati a riprodursi con le stesse modalità. E, primieramente, è necessario chiedersi cosa fu il fascismo.

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Jehu: Ancora sul problema della trasformazione…

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Ancora sul problema della trasformazione…

di Jehu

Heinrich1Nel 2013, Michael Heinrich ha scritto un saggio su quello che lui considerava fosse l’errore di base della teoria del valore del lavoro di Marx:

«Nella prima metà del XIX secolo, era diventato chiaro che le crisi economiche periodiche fossero una componente inevitabile del capitalismo moderno. Nel Manifesto Comunista, esse venivano considerate come una minaccia all’esistenza economica stessa della società borghese. Le crisi assunsero per la prima volta uno speciale significato politico per Marx nel 1850, quando egli tentò un’analisi più approfondita delle rivoluzioni fallite del 1848-1849. In quel periodo, egli considerava la crisi del 1847-1848 come il processo decisivo che aveva portato alla rivoluzione, e da questo trasse la conclusione per cui: “Una nuova rivoluzione è possibile solo come conseguenza di una nuova crisi. Essa è ad ogni modo altrettanto certa di questa crisi”.

Negli anni successivi, Marx attese con ansia una nuova crisi profonda, che finalmente arrivò nel 1857-1858: tutti i centri capitalistici sperimentarono una crisi. Mentre Marx osservava attentamente la crisi e la analizzava in numerosi articoli per il New York Tribune, allo stesso tempo tentava anche di elaborare la sua critica dell’economia politica, che aveva progettato da anni. Il risultato di tutto questo fu il manoscritto senza titolo che è conosciuto oggi come i Grundrisse.

Nei Grundrisse, la teoria della crisi porta l’impronta dell’atteso “diluvio” di cui Marx scriveva nelle sue lettere. In una prima bozza della struttura del manoscritto, le crisi arrivano alla fine dell’introduzione, dopo il capitale, il mercato mondiale e lo stato, laddove Marx crea una connessione diretta con la fine del capitalismo: “Crisi. Dissoluzione del modo di produzione e della forma di società basata sul valore di scambio”.

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Andrea Zhok: Pragmatismo tecnocratico e inattualità della filosofia

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Pragmatismo tecnocratico e inattualità della filosofia

di Andrea Zhok

Per la prima volta nella storia dei finanziamenti nazionali nessun PRIN (Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale) è stato finanziato per l’area filosofica. I progetti di quest’area rappresentavano il 10% dei progetti presentati, ma sono stati bocciati tutti.

Al netto del dispiacere per i mancati finanziamenti, credo che ci si possa compiacere di questo evento almeno per il suo contributo a fare chiarezza.

Si tratta di una scelta che si inquadra perfettamente nell’atmosfera del nuovo pragmatismo emergenziale, che non ha più tanto tempo da perdere con le apparenze.

Dopo tutto, come ha detto il ministro Cingolani, basta studiare quattro volte le guerre puniche. Ci vogliono più conoscenze tecniche.

Questo nuovo “pragmatismo” sta rapidamente dismettendo tutti gli orpelli, tutti i passati omaggi alla Costituzione, ai diritti, alla libertà di pensiero ed espressione, e sta andando rapidamente al cuore del progetto tecnocratico contemporaneo, senza più infingimenti. L’imperativo è la rapidità d’esecuzione previa cancellazione di controlli, pratiche di mediazione, tempi di riflessione.

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coniarerivolta: Draghi taglia e l’Europa loda (ma non basta…)

coniarerivolta

Draghi taglia e l’Europa loda (ma non basta…)

di coniarerivolta

Come prevedibile, anche in queste settimane il ‘Governo dei migliori’ guidato da Mario Draghi sta proseguendo pedissequamente nel percorso di riforme previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): a fronte di poche risorse elargite dall’Unione Europea, largamente insufficienti a far ripartire un’economia falcidiata dalla crisi, il Governo ha accettato la via della piena adesione alle condizionalità europee, definitivamente istituzionalizzate attraverso l’accordo alla base del programma Next Generation EU. Rispetto alle 528 condizioni negoziate dall’Italia con la Commissione per accedere alle venti tranche di finanziamento previste dal suddetto programma, il Governo sta infatti lavorando di buona lena all’implementazione delle riforme strutturali richieste. Tra queste, ha già portato a casa: il decreto sulla concorrenza, che spiana la strada alla cessione dei monopoli naturali ai privati; una riforma delle pensioni che prevede il ritorno alla Legge Fornero; il depotenziamento del reddito di cittadinanza, che indebolisce ulteriormente la posizione contrattuale dei lavoratori; dulcis in fundo, la prima fase della riforma fiscale, che cambia poco per cambiare male, lasciando intaccati la scarsa progressività del sistema e i privilegi dei redditi da capitale (redditi d’impresa e rendite finanziarie).

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Il Rovescio: Viva la sollevazione nelle Antille

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Viva la sollevazione nelle Antille

di Il Rovescio

In un contesto di manifestazioni, scioperi e scontri in ogni parte del mondo, merita uno sguardo particolare ciò che sta accadendo in Martinica e in Guadalupa. Lì, ben più che nelle piazze europee, si concentrano sulla stessa linea del fronte gestione dell’epidemia, situazione sociale, misure militari, tecno-industria e lascito storico del colonialismo. E proprio perché nelle colonie, come è stato detto, la civiltà capitalistica si aggira nuda, dalle Antille in rivolta arriva il più preciso rapporto sul presente stato delle cose. A ragion veduta le televisioni e i giornali nostrani non ne parlano.

Gli scioperi e i primi blocchi contro l’obbligo vaccinale – imposto al personale sanitario e ai pompieri – e contro il lasciapassare sanitario hanno agglutinato attorno a quei “no” la rabbia di vasti settori della popolazione locale. I blocchi-presìdi davanti agli ospedali, animati dal preponderante protagonismo femminile, si sono estesi dalla metà di novembre ad altri punti delle città; gli sbarramenti hanno cominciato a prendere fuoco con l’arrivo della gioventù. L’introduzione governativa del coprifuoco (misura che nella “nuova normalità pandemica” non possiamo più riferire alle sole colonie…) ha poi letteralmente acceso le polveri, riempiendo di collera anche le notti, con saccheggi di negozi e agguati armati contro le squadre speciali di poliziotti e gendarmi inviate da Parigi.

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Eleonora Piergallini: Metaverso: la follia irreversibile

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Metaverso: la follia irreversibile

di Eleonora Piergallini

Sul Metaverso, la nuova frontiera della tecnologia, abbiamo scritto in altra nota. Ci ritorniamo per riportare quanto scrive Louis B. Rosenberg su BigThink, in un articolo interessante quanto inquietante.

Rosenberg, ingegnere informatico e CEO della Unanimous AI, un’azienda californiana che si occupa di intelligenza artificiale, sa bene cos’è il Metaverso, avendoci lavorato per anni, da cui l’interesse per quanto scrive: “Personalmente, trovo tutto ciò terrificante. La realtà aumentata cambierà tutti gli aspetti della società e non necessariamente in modo positivo”.

“Lo dico in quanto pioniere nel campo dell’Agumented Reality (AR). Trent’anni fa ho partecipato in qualità di ricercatore a un progetto pionieristico condotto dall’Air Force Research Laboratory (AFRL) con il sostegno dell’Università di Stanford e della Nasa. Durante l’esperimento, chiamato progetto Virtual Fixtures, gli utenti hanno avuto la possibilità di interagire con una realtà mista, fatta di oggetti reali e virtuali”. […].

La realtà aumentata, ma virtuale

“La ricerca è stata un successo, e ha dimostrato che è possibile aumentare le prestazioni umane fino a oltre il 100 per cento rispetto ad ora se si combinano il reale e il virtuale in un’unica realtà”.

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Thomas Fazi: Vaccinare i bambini?

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Vaccinare i bambini?

di Thomas Fazi

L’altro giorno il “Corriere della Sera” riportava a caratteri cubitali che il team di Milena Gabanelli ha analizzato i dati ed è giunta ad una conclusione inequivocabile: per quanto i rischi di complicazioni gravi da Covid nei bambini tra i 5 e gli 11 anni siano bassissimi e di fatto statisticamente in inesistenti – 44 su 100.000 ricoverati e 1 su 100.000 in terapia intensiva, mentre i decessi sono 0 virgola qualcosa (e riguardanti quasi sempre bambini che presentavano altre patologie molto gravi) –, «anche [in questa fascia di età] i benefici [della vaccinazione] superano i rischi», dice la Gabanelli.

In molti si saranno fermati al titolo e avranno pensato: «Perbacco, se lo dice anche la Gabanelli, nota proprio per il suo approccio lucido e scientifico alle cose, allora deve essere vero: corro a vaccinare mio figlio!». Qualcun altro, però, sull’uscio di casa, potrebbe essere stato colto da un dubbio amletico e potrebbe essersi chiesto: «Ma come fanno a conoscere quali sono i rischi da vaccino per la fascia d’età 5-11 anni?». E allora, magari, avrebbe continuato a leggere l’articolo per trovare una risposta a questa domanda. E avrebbe scoperto che… non lo sanno.

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