Amnesty International: “Basta repressione in Perù”

Amnesty International – 20/01/2023

PERÚ: DECINE DI PERSONE MORTE NELLE PROTESTE

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La storia

A seguito di una crisi politica di lunga data, il Perú è entrato in una spirale di violenza che sta causando sistematiche violazioni dei diritti umani, soprattutto contro i manifestanti a Lima e in altre importanti città. Questa crisi politica si è intensificata quando, il 7 dicembre 2022, l’allora presidente Pedro Castillo ha annunciato lo scioglimento del Congresso nazionale (il parlamento). La Corte costituzionale e lo stesso Congresso hanno respinto tale decisione e Castillo è stato arrestato il giorno stesso.

La vicepresidente Dina Boluarte ha rapidamente prestato giuramento come presidente e le autorità locali l’hanno formalmente riconosciuta come la nuova presidente.

Subito dopo, una parte della popolazione è scesa in piazza per chiedere l’immediato scioglimento del Congresso e nuove elezioni. La risposta delle autorità è stata quella di dichiarare lo stato di emergenza e usare il pugno duro contro le persone che manifestavano.

Dal 13 dicembre, quasi 50 persone sono morte per mano delle forze di sicurezza e un numero ancora maggiore è stato ferito. Molti i minorenni tra le vittime.

Solo il 9 gennaio sono morte 18 persone durante le proteste nella città di Juliaca, nella regione di Puno; per ritorsione, un agente di polizia è stato bruciato vivo.

Una situazione fuori controllo che non può essere affrontata usando la forza in modo sproporzionato.

Chiediamo alla presidente Boluarte di porre immediatamente fine a tutte le forme di uso illegittimo della forza da parte delle forze di sicurezza.

Chiedi insieme a noi la fine della repressione.

Il contesto

Negli ultimi anni il Perú è precipitato in una lunga crisi politica, che si è aggravata dopo l’arresto dell’ex presidente Castillo e le proteste che ne sono seguite. La nuova presidenza di Dina Boluarte si è da subito caratterizzata per una durissima repressione. Già dai primi giorni delle proteste, la polizia e le forze armate si sono rese responsabili della morte di almeno due persone e del ferimento di altre decine.

Romario Quispe Garfias, 18 anni, e un altro ragazzo di 15 anni sono stati uccisi l’11 dicembre ad Andahuaylas, nel sud del Perú; i mezzi d’informazione hanno riferito che erano morte durante le proteste. Decine di persone, compresi civili e agenti di polizia, sono stati feriti da armi da fuoco e oggetti contundenti. Inoltre, giornalisti locali hanno denunciato di essere stati aggrediti da agenti della polizia nazionale, che hanno anche sequestrato le loro attrezzature. L’Associazione nazionale dei giornalisti del Perú ha registrato attacchi contro 21 giornalisti a Lima, Apurímac, Huaura, Arequipa e Puno mentre seguivano le proteste tra il 7 e l’11 dicembre.

Il 16 dicembre, due giorni dopo la proclamazione dello stato di emergenza a seguito della crisi politica, il numero di persone morte era già salito a 17.

Durante le feste di Natale le proteste sono diminuite, ma con l’inizio del nuovo anno migliaia di persone sono scese nuovamente in strada e la repressione statale si è acutizzata.

Il 9 gennaio, nella città di Juliaca, sono morte almeno 18 persone e altre decine sono state ferite.

Dall’inizio delle manifestazioni fino a questo momento, secondo fonti ufficiali sono morte quasi 50 persone nelle regioni di Puno, Ayacucho, Apurímac, Cusco, Junín, La Libertad e Arequipa. La maggior parte delle vittime apparteneva alle comunità rurali e storicamente emarginate del Perú.

Ricordiamo alle autorità che una protesta non perde il suo carattere pacifico a causa di atti sporadici o comportamenti illeciti di alcune persone. Pertanto non si devono ledere il rispetto, la garanzia e la protezione dei diritti umani di chi manifesta pacificamente. Le forze di sicurezza devono dare priorità alla risoluzione pacifica della situazione ed evitare l’uso della forza in modo contrario alle norme internazionali.

Il testo dell’appello

Negli ultimi anni il Perú è precipitato in una lunga crisi politica, che si è aggravata dopo l’arresto dell’ex presidente Castillo e le proteste che ne sono seguite. La nuova presidenza di Dina Boluarte si è da subito caratterizzata per una durissima repressione. Già dai primi giorni delle proteste, la polizia e le forze armate si sono rese responsabili della morte di almeno due persone e del ferimento di altre decine.

Romario Quispe Garfias, 18 anni, e un altro ragazzo di 15 anni sono stati uccisi l’11 dicembre ad Andahuaylas, nel sud del Perú; i mezzi d’informazione hanno riferito che erano morte durante le proteste. Decine di persone, compresi civili e agenti di polizia, sono stati feriti da armi da fuoco e oggetti contundenti. Inoltre, giornalisti locali hanno denunciato di essere stati aggrediti da agenti della polizia nazionale, che hanno anche sequestrato le loro attrezzature. L’Associazione nazionale dei giornalisti del Perú ha registrato attacchi contro 21 giornalisti a Lima, Apurímac, Huaura, Arequipa e Puno mentre seguivano le proteste tra il 7 e l’11 dicembre.

Il 16 dicembre, due giorni dopo la proclamazione dello stato di emergenza a seguito della crisi politica, il numero di persone morte era già salito a 17.

Durante le feste di Natale le proteste sono diminuite, ma con l’inizio del nuovo anno migliaia di persone sono scese nuovamente in strada e la repressione statale si è acutizzata.

Il 9 gennaio, nella città di Juliaca, sono morte almeno 18 persone e altre decine sono state ferite.

Dall’inizio delle manifestazioni fino a questo momento, secondo fonti ufficiali sono morte quasi 50 persone nelle regioni di Puno, Ayacucho, Apurímac, Cusco, Junín, La Libertad e Arequipa. La maggior parte delle vittime apparteneva alle comunità rurali e storicamente emarginate del Perú.

Ricordiamo alle autorità che una protesta non perde il suo carattere pacifico a causa di atti sporadici o comportamenti illeciti di alcune persone. Pertanto non si devono ledere il rispetto, la garanzia e la protezione dei diritti umani di chi manifesta pacificamente. Le forze di sicurezza devono dare priorità alla risoluzione pacifica della situazione ed evitare l’uso della forza in modo contrario alle norme internazionali.

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