Elezioni regionali: la festa è finita

Aginform – 15 febbraio 2023

 

Dire che i risultati elettorali delle regionali di Lombardia e Lazio fossero prevedibili perchè la sinistra non era unita è una grande baggianata e una considerazione superficiale di come stanno effettivamente le cose.

Prima di fare i conti della serva sui risultati bisogna mettere in evidenza i dati dell’astensionismo che ci indicano come ormai due elettori su tre – è il caso di Roma la capitale d’Italia e non di una situazione periferica – non votano e questo sta diventando un dato strutturale e non occasionale della realtà socio-politica del nostro paese.

Ciò vuol dire che la maggioranza degli italiani ha deciso che il suo rapporto con il voto è estraneo ai suoi interessi concreti e immediati. In altri termini, che è irrilevante.

Questa situazione, è bene chiarirlo per evitare la retorica del recupero del figliol prodigo che si sfodera ogni volta che i risultati elettorali parlano di aumento dell’astensionismo, va vista per quella che è e in termini oggettivi. Chi non vota non fa questa scelta per una protesta specifica e temporale. Essa è invece il frutto di una estraneazione da quei meccanismi di rapporto e di consenso politico che per molti decenni, dopo il 1945, hanno governato lo scontro tra gli schieramenti antagonisti.

Possiamo dire che è diventato un fatto culturale e di livello di coscienza della maggioranza degli italiani. L’analisi del voto ci dice anche che tra coloro che non votano oltre il 60% sono lavoratori e che i giovani seguono la stessa tendenza.

Di chi è la responsabilità di tutto questo ? Chi ha permesso che settori popolari e giovanili si ritirassero dalla scena?

Non possiamo certo accusare la destra di questo risultato da cui invece essa ha tratto profitto, arrivando a conquistare il governo del paese, sull’onda di una sistematica denigrazione di tutto ciò che di avanzato e progressivo esprimeva la società italiana.

Di questo disastro la responsabilità sta in quel mostro politico senza sostanza che ha preso il posto del disciolto PCI, il Partito Democratico, che ha scelto il liberismo e l’atlantismo, e di quella confederazione sindacale, la CGIL, che storicamente ha rappresentato le lotte dei lavoratori italiani e che in questi decenni ha invece operato per impedire lo sviluppo di una capacità contrattuale e di una coscienza collettiva della loro forza. Insomma, queste elezioni regionali ci consegnano una situazione che non può essere coperta ancora con una fraseologia contestatoria e puramente propagandistica dal momento che anche i risultati elettorali di chi rappresenta queste posizioni sono quelli miseri che constatiamo.

Pensare di modificare la situazione in tempi brevi è puramente illusorio. Lo dimostra anche lo stato delle lotte in Italia. Mentre paesi come l’Inghilterra e la Francia sono scossi da movimenti di lotta dei lavoratori, l’Italia è bloccata e non solo dai sindacati consociativi, ma anche da una profonda crisi del livello di coscienza della possibilità di cambiare le cose.

Rifiuto di votare e mancanza di un forte protagonismo dei lavoratori rendono possibile alla destra di vincere con una partecipazione elettorale ben sotto il 50% e di appropriarsi di tutte le leve del potere con l’obiettivo di cambiare i connotati di un’Italia che aveva sempre dimostrato invece un’alta capacità di resistenza alle svolte reazionarie e antioperaie.

Siamo dunque a una sorta di resa dei conti storica dentro cui le possibilità di avanzamento di chi vuole cambiare le cose sono circoscritte a singole oasi di protesta che vengono contrabbandate per scintille in grado di dare fuoco alla prateria.

Prima ci renderemo conto di come stanno le cose e più rapidamente potremo individuare un percorso di ripresa.

Se andiamo ad analizzare poi concretamente i risultati elettorali del Lazio e della Lombardia, dobbiamo constatare che, contrariamente alle aspettative, il PD può legittimamente dire di aver dimostrato di essere il maggiore partito di ‘opposizione’ in presenza di un risultato deludente dei 5 Stelle alleati nel Lazio con una lista di sinistra che non è riuscita però ad emergere come portatrice di un processo di sviluppo unitario di una forza progressista che andasse oltre il recinto del partito guidato da Conte.

Questo risultato elettorale negativo si aggiunge dunque ai dati oggettivi che abbiamo spesso messo in evidenza e complica il tutto. Per questo si impone un ragionamento su come affrontare la situazione che vada a fondo dei problemi.

In primo luogo bisogna ridimensionare le illusioni che ci possono essere di svolte a breve termine. Legittimata dal voto (non voto) la Meloni tirerà dritto col suo programma tenendo conto che alle sue spalle ci sono non solo gli accordi con gli USA e UE, ma anche il potere che conta in Italia. Il suo governo in questa fase garantisce tutti i punti sostanziali di un programma liberista-atlantista con in più il motto: ordine e disciplina.

Un’ulteriore illusione, come dimostrano i dati elettorali, è che Conte possa rovesciare la situazione qui e subito. L’era della protesta facile che ha caratterizzato il periodo di Salvini e di Grillo è tramontata. Con l’incalzare delle contraddizioni il tessuto fragile del voto antisistema ha lasciato il posto allo sconforto dell’astensionismo e al ceto conservatore che è ripartito all’attacco con FdI.

Il difficile ruolo di Conte e dei suoi eventuali alleati è però quello di consolidare le posizioni. Ci riusciranno? Su questo non possiamo pronunciarci. Certo è che non possiamo neanche essere spettatori della partita e ogni posizione democratica e socialmente avanzata va difesa con tenacia nella consapevolezza però che questa battaglia è dura e di lungo periodo. Anche perchè Annibale è alle porte.

Il PD difatti è riuscito vincente da questo confronto elettorale coi 5 Stelle sia nella versione milanese che in quella romana e, per sbarrare la strada ad alternative che non siano atlantiste e liberiste, ha subito rivendicato il suo ruolo di forza principale dell’opposizione.

Per ultimo va segnalato il risultato della lista corsara di Unione Popolare di De Magistris su cui non è il caso di soffermarsi per carità di patria. La questione la poniamo solo per dire che anche questo fa parte della situazione oggettiva. Il logoramento infatti riguarda anche quel tessuto che, seppure minoritario, ha sempre tentato l’avventura elettoralistica che ora però non convince neppure coloro che per lungo tempo l’hanno sostenuta. Insomma, chi vuol cambiare le cose non ha di fronte una prateria, al contrario.

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