[Sinistrainrete] Valerio Romitelli: La “fatalità” della guerra e il possibile della politica

Rassegna del 09/03/2023

 

 

Valerio Romitelli: La “fatalità” della guerra e il possibile della politica

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La “fatalità” della guerra e il possibile della politica

A proposto di Carl von Clausewitz ieri e oggi*

di Valerio Romitelli

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Cosa può mai accomunare due figure così distanti come, da un lato, un austero giurista tedesco reazionario attivo tra gli anni Venti e Sessanta del secolo scorso, per di più del tutto coinvolto nella devastante peripezia nazista  e, dall’altro, un filosofo francese, prima  strutturalista (nel cuore degli anni Sessanta), poi anche post-strutturalista, orgogliosamente gay, operante fino alla morte (nel 1984) più o meno  in sintonia con gli svariati movimenti di lotta sociale allora esistenti in Francia, in Italia, ma anche altrove come nell’Iran della rivoluzione anti-Scià?

L’allusione qui è a Carl Schmitt e a Michel Foucault, i quali, oltre ad essere stati tra gli autori di rilevanza politica tra i più letti e commentati a partire dagli anni Settanta, specie in Italia e specie a sinistra, convergono sorprendentemente su un’idea strategica cruciale riguardo al rapporto tra guerra e politica. Ad entrambi, nel corso delle rispettive opere di dimensione e riverbero a dir poco monumentali, è capitato infatti di rifarsi all’arcinoto assioma di Carl Von Clausewitz “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”[1]. Ma, fatto degno di nota, di cui qui si discuterà, è che ad entrambi in una simile occasione, ciascuno all’insaputa dell’altro, è venuto da postulare che tale detto resterebbe valido solo se rovesciato. Conclusione condivisa è quindi che sia la politica ad essere continuazione della guerra, non viceversa[2].

Lungi dall’essere riducibile a una questione puramente terminologica o a una curiosità accademica, questo rovesciamento di prospettiva può essere invece accolto come un nodo problematico assai significativo di molte dispute tutt’ora in corso all’interno della variegata galassia della militanza anticapitalista; e più in particolare, delle recenti dispute insorte intorno al crescente pericolo di un terzo conflitto mondiale, divenuto più che mai sensibile a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e dei supporti bellici concessi a profusione in suo favore dalla Nato.

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Fulvio Bellini: La Coscienza di Davos

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La Coscienza di Davos

di Fulvio Bellini

Per un’analisi del World Economic Forum 2023 tenutosi a Davos, Svizzera, dal 17 al 21 gennaio scorsi

 110537878 gettyimages 910160286Premessa necessaria

Si è recentemente concluso il World Economic Forum 2023 a Davos, in Svizzera e più precisamente nel triangolo dei ricchi del mondo che si trova nel cantone dei Grigioni ed è formato da Saint Moritz, Chur (Coira in Italiano) e Davos appunto che si è tenuto dal 17 al 21 gennaio scorsi. Mai come quest’anno è opportuno sondare con attenzione quanto accaduto nella riunione del Gotha del capitalismo globalizzato perché mai come quest’anno non si è trattato della riunione del capitalismo globalizzato. Come al solito, il punto di vista di osservatori ed opinionisti italiani è stato quanto mai sciatto e provinciale. Si passa dal considerare il World Economic Forum (WEF) come una versione montana dell’annuale forum Ambrosetti di Villa d’Este a Cernobbio, fino ad arrivare alla denuncia del forum svizzero come il congresso dei ricchi e dei privilegiati del mondo che passano il tempo a pensare come diventare sempre più ricchi (si veda ad esempio la crociata di Byoblu: “World Economic Forum è slegato dalla realtà” oppure il perentorio “Davos non esiste”). A mio avviso non è il modo corretto di approcciarsi al Forum di Davos, il quale non ha nulla a che fare con la riunione di Cernobbio perché sulle rive del lago di Como gli “imprenditori italiani solitamente pigolano di fronte alla politica per ottenere l’ennesima razione di denaro oppure di sgravi fiscali in nome della crescita, per poi decrescere puntualmente; non è a Davos che i ricchi pensano come arricchirsi, perché già lo fanno altrove per i restanti giorni dell’anno.

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Carlo Formenti: Finalmente torna l’Ontologia

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Finalmente torna l’Ontologia

Grandezza e attualità dell’ultimo Lukàcs

di Carlo Formenti

Le pagine che seguono contengono ampi stralci della mia Prefazione alla nuova edizione della Ontologia dell’essere sociale di Gyorgy Lukács, che l’editore Meltemi manda in libreria fra pochi giorni. Per rendere più scorrevole la lettura ho eliminato una buona metà delle note contenute nel testo originale, lasciando solo quelle indispensabili. Inoltre le citazioni del testo di Lukács che trovate in queste note si riferiscono all’edizione precedente (PIGRECO) dell’Ontologia in quanto non ho avuto tempo né modo di aggiornare i riferimenti alla nuova edizione

Faust e Mefistofele Anton KaulbachSe la Ontologia dell’essere sociale fosse stata pubblicata nel 1971 (l’anno di morte dell’autore) avrebbe certamente influito sulla valutazione della grandezza di Lukács, elevandolo al ruolo di più importante filosofo marxista – e fra i maggiori filosofi in generale – del Novecento. Invece quest’opera monumentale, la cui stesura richiese un decennio di lavoro, tardò a vedere la luce perché l’autore continuava a rimaneggiare il testo dei Prolegomeni che, malgrado la loro funzione di sintesi introduttiva ai temi della Ontologia, furono scritti per ultimi; inoltre perché gli allievi che ebbero a disposizione il manoscritto dopo la sua morte ne ritardarono la diffusione (la traduzione italiana della seconda parte uscì nel 1981, mentre la versione originale apparve in tedesco dal 1984 al 1986), ma soprattutto alimentarono un pregiudizio negativo nei confronti dell’opera prima che fosse resa disponibile ai lettori. Questi motivi, unitamente al clima storico, ideologico e culturale antisocialista e antimarxista degli anni Ottanta generato dalla rivoluzione neoliberale, dalla svolta eurocomunista di quei partiti europei che interpretarono la crisi del socialismo come “crollo del marxismo”, nonché dalla svolta libertaria e individualista dei “nuovi movimenti” post sessantottini, ha fatto della Ontologia una delle opere più sottovalutate del Novecento. Al punto che il pensiero di Lukács, mentre è rimasto oggetto di culto per minoranze intellettuali non convertitesi al mainstream neoliberale, ha continuato ad essere identificato con opere precedenti come la Distruzione della ragione, e ancor più con Storia e coscienza di classe (1), un libro che lo stesso autore considerava “giovanile” e superato (…).

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Michele Paris: USA-Cina, sanzioni e propaganda

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USA-Cina, sanzioni e propaganda

di Michele Paris

L’imposizione praticamente indiscriminata di sanzioni è ormai il tratto distintivo della strategia degli Stati Uniti per colpire i paesi rivali e cercare di arrestare il proprio declino internazionale. Dopo il sostanziale fallimento dell’offensiva contro la Russia, Washington si prepara ora a colpire con questa arma anche la Cina, cercando di ottenere appoggio tra gli alleati più fedeli. A riportare la notizia è stata questa settimana l’agenzia di stampa Reuters con un tempismo pressoché perfetto per farla coincidere con il rilancio delle tesi cospirazioniste sull’origine del COVID-19 e la nuova escalation delle tensioni attorno all’isola di Taiwan.

“Consultazioni” sarebbero appunto iniziate con i partner del G-7 per concordare una serie di misure economiche punitive contro Pechino. L’iniziativa si collega direttamente alla recente presentazione da parte della Cina di una proposta di negoziato per risolvere diplomaticamente la guerra in Ucraina. Il documento in dodici punti redatto dal governo cinese è stato di fatto respinto da Stati Uniti e NATO perché troppo sbilanciato a favore della Russia. Scrupolo assoluto dell’amministrazione Biden è di impedire che il “mostro” cinese possa essere protagonista di un’iniziativa di pace in Ucraina, assecondando il desiderio anche dell’opinione pubblica occidentale.

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Valter Lorenzi: Mandanti: UE e BCE Esecutori: governi greci e Trenitalia

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Mandanti: UE e BCE Esecutori: governi greci e Trenitalia

di Valter Lorenzi (Rete dei Comunisti)

Mentre scriviamo ancora non sono stati estratti dalle lamiere le decine di giovani arsi vivi a causa dello scontro frontale tra un treno merci ed un Intercity Etr 470, venduto al governo greco da Trenitalia, che dal 2017 controlla al 100% Hellenic Train, la società greca delle ferrovie.

Binario unico, errore umano. Arrestato il responsabile degli scambi ferroviari, cacciato il ministro dei trasporti. Tutto finito? Sino al prossimo incidente.

La tremenda strage che ha tranciato la vita a decine di studenti universitari di ritorno dalle feste di carnevale su un treno obbligato perché a minor costo, e’ l’ennesimo di una lunga serie di incidenti “minori”, denunciati costantemente dai sindacati del settore e dal PAME, il maggior sindacato di classe greco.

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Moreno Pasquinelli: Che guerra è questa?

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Che guerra è questa?

di Moreno Pasquinelli

Esattamente un anno prima dell’offensiva militare russa, il 30 marzo 2021, scrivevo:

È venuto così avanti il tanto strombazzato “ordine policentrico o multipolare”. Concetto non solo ambiguo, ma fasullo e deviante. Il concetto farebbe pensare ad un equilibrio, per quanto disarmonico e conflittuale, tra potenze nascenti e declinanti. Concetto fasullo visto che non solo non c’è alcun equilibrio, c’è invece squilibrio, così che dovremmo dire che siamo dentro ad un “disordine multipolare”. Sì, per chi scrive il mondo sta entrando in quella che per convenzione è stata definita la Trappola di Tucidide: è già in atto tra potenze nascenti e declinanti una competizione dura per la supremazia mondiale e detta competizione ha un’alta probabilità di sfociare in una guerra su larga scala».

Ci sono qui impliciti un paradigma teorico e una tesi geopolitica. Il paradigma è che non si può passare da un ordine mondiale ad un altro in maniera pacifica, ma solo attraverso grandi sconvolgimenti tellurici, grandi guerre incluse. La tesi geopolitica è che questa “guerra su larga scala” sarebbe stata appunto quella tra la potenza al tramonto, gli U.S.A. e quella nascente la Cina.

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Fabio Mini: Tutti scelgono la catastrofe ma ecco come si può evitarla

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Tutti scelgono la catastrofe ma ecco come si può evitarla

di Fabio Mini

È stato un anno di commenti e analisi, confusioni, illusioni e delusioni e la guerra continua nel modo peggiore quasi a ribadire ciò che era chiaro fin dal primo giorno, con l’aggravante che si prepara un secondo anno ancor più violento e distruttivo. L’ucraina è in ginocchio e pretende armi per vincere; gli Usa alimentano la guerra e spingono la Nato a combatterla come se essi ne fossero estranei, in questo aiutati dalla Gran Bretagna, dalla Polonia, dalla Norvegia e dai paesi dell’ex-Urss, coccolati dagli americani e dalle burocrazie Nato e Ue, che la esasperano agendo dall’interno delle rispettive organizzazioni. Intanto, Stati Uniti, Nato e Russia si trovano nella morsa del “vorrei ma non posso”, vittime della loro stessa potenza e della deterrenza nucleare i cui sviluppi incombono sulle loro e nostre teste. Deterrenza simmetrica ma imperfetta, inefficace e disastrosa perché non ha evitato né l’espansione Nato in funzione antirussa, né l’invasione russa dell’ucraina. Ha compromesso la sicurezza in Europa riportandola al ruolo di teatro e vittima di guerra; non ha limitato la guerra, anzi ha indotto all’inasprimento e allargamento di quella convenzionale e ha illuso tutti sulla possibilità di una vittoria militare. E la vittoria e la sconfitta evocano il prossimo e ultimo fallimento della deterrenza: la guerra nucleare.

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Giulio Bona: Ti vaccini, ti ammali e … rimani danneggiato a vita

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Ti vaccini, ti ammali e … rimani danneggiato a vita

a cura di Giulio Bona

Parere (n. 21) del CIEB sul danno erariale derivante dal sostegno fornito alla cosiddetta campagna vaccinale

Gli sviluppi italiani dell’affaire Covid appaiono sempre più singolari. Da una parte, la Corte costituzionale ha legittimato il capovolgimento dello spirito e della lettera della Costituzione affermando il primato dell’interesse collettivo sui diritti dell’individuo (1): e ciò sulla base di evidenze pubblicamente sconfessate anche dai rappresentanti di quel mondo scientifico che fino a poco tempo fa, in materia di “vaccinazione” anti-Covid, sostenevano l’insostenibile, ossia l’efficacia e la sicurezza del cosiddetto vaccino (2).

Dall’altra, si assiste all’esaltazione televisiva, da parte di un comico di professione e in un teatro di varietà, di quella libertà di espressione che la Consulta ha ritenuto di sacrificare con tanta leggerezza: e ciò nel momento in cui, tanto negli USA quanto in Italia, stanno emergendo le prove della censura sistematicamente praticata a danno delle opinioni scientifiche divergenti da quelle “ufficiali” (3).

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Rossella Fidanza: Ci vuole una guerra?

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Ci vuole una guerra?

di Rossella Fidanza

Seymour Hersh nel suo nuovo articolo paragona correttamente l’attuale congiuntura all’escalation di Kennedy in Vietnam. “Il tempo stringe.”

a86e8efd 4256 4646 8d7b b0b214570ad0 1216x866Seymour Hersh torna a scrivere, dopo aver pubblicato un dettagliato resoconto su come gli Stati Uniti hanno organizzato il sabotaggio al Nord Stream con l’appoggio della Norvegia (link) e aver approfondito che tipo di rapporti legano da decenni la Norvegia alle operazioni militari e non gestite dai servizi segreti americani:

https://rossellafidanza.substack.com/p/seymour-hersh-spiega-perche-gli-usa?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Nel proseguire con il suo lavoro di ricerca in relazione al conflitto che si sta combattendo in Ucraina, Hersh oggi si spinge a fare un paragone tra quello che Biden sta gestendo in questo momento e quanto ha dovuto affrontare il Presidente John F. Kennedy in un momento molto delicato della sua amministrazione.

“C’è un inevitabile divario tra ciò che un presidente ci dice su una guerra – anche una guerra per procura – e la realtà sul campo. È vero oggi, mentre Joe Biden lotta per ottenere il sostegno dell’opinione pubblica per la guerra in Ucraina, ed era vero sei decenni fa, quando Jack Kennedy lottava per capire la guerra che aveva scelto di portare avanti nel Vietnam del Sud.”

Partendo da questo preambolo, Hersh ripercorre il frangente probabilmente più critico della Presidenza Kennedy, l’inizio del 1962. JFK era appena passato dal disastro della Baia dei Porci accaduto dopo tre mesi dall’inizio del suo mandato, che aveva pesantemente danneggiato la sua immagine e la sua leadership (trovate in fondo all’articolo la sezione “approfondimenti” con i link consigliati con le informazioni storiche).

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Claudio Conti – Guido Salerno Aletta: Gli squilibri che affossano un mondo “in transizione”

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Gli squilibri che affossano un mondo “in transizione”

di Claudio Conti – Guido Salerno Aletta

squilibri transizioneIl neoliberismo – come teoria economica, ma soprattutto come modello strutturale di funzionamento del capitalismo euro-atlantico (il principale dei “capitalismi” esistenti) – è in crisi radicale. Ma sopravvive nella “narrazione mediatica” perché ha ancora un’utilità residuale: consente di mantenere ai minimi la dinamica salariale dei lavoratori dipendenti e di demolire anche gli ultimi residui di welfare (la sanità, in primo luogo).

Fuori da questo ambito ristretto, ai piani alti della governance transatlantica è stato soppresso silenziosamente: si fa in altri modi, si raccontano le stesse sciocchezze.

Detto altrimenti, non è più tabù l’”intervento pubblico nell’economia”. Anzi è richiestissimo. Che questo intervento sia agito da uno Stato imperiale come gli Usa, oppure da un insieme di Stati uniti da trattati vincolanti ma sempre più minati da “eccezioni” presentate come “temporanee” (l’Unione Europea, insomma), non fa moltissima differenza.

Anche questa non è una novità. Quando i mitici “mercati finanziari” rischiarono il tracollo, tra il 2007 e il 2009, l’intervento pubblico fu colossale, inducendo addirittura l’ex presidente della Banca Mondiale, Joseph Stiglitz, a parlare di “socialismo per ricchi”.

Quello schema sembra ora confermato di fronte alle necessità della cosiddetta “transizione ecologica”, che induce anche i governi meno propensi a “programmare” interventi economici o produttivi a farsi promotori di finanziamenti consistenti per orientare le scelte delle imprese più grandi (le “locomotive” che dovrebbero poi trascinare intere filiere produttive verso una produzione ambientalmente più sostenibile).

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Fiammetta Salmoni: La scienza della guerra, oltre la presunta geopolitica

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La scienza della guerra, oltre la presunta geopolitica

di Fiammetta Salmoni

geopolitica2022 900x4451. Il saggio di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli, dal titolo La guerra capitalista (Mimesis 2022),1 ruota intorno alla tesi della centralizzazione del capitale, non in quanto fenomeno più o meno occasionale, transitorio e sostanzialmente casuale, quando non addirittura inesistente, bensì quale vera e propria “legge” di tendenza del capitalismo.

Partendo da questo assunto, che rappresenta il vero e proprio fil rouge del volume, ne vengono quindi sviluppate alcune conseguenze dirette, che vanno dal conflitto fra capitali deboli e capitali forti, fra imperialismi “debitori” e “creditori”, fino alla disgregazione dell’ordine democratico, o, meglio, liberal-democratico, e allo sfociare in vere e proprie guerre militari. Insomma, come già si può intuire da questi brevi accenni, un testo decisamente non banale e di non comune vision.

Il libro è strutturato in tre sezioni, ciascuna con una propria natura e struttura.

Nella prima viene sviluppata la tesi della centralizzazione del capitale, partendo da una constatazione per certi versi sorprendente: Marx, ormai pressoché dimenticato dagli eredi della tradizione del movimento operaio, viene riscoperto e citato copiosamente proprio dai sacerdoti del capitale. Dal Financial Times all’Economist, passando per illustri economisti e accademici, fino ai grandi magnati della finanza, non si contano le citazioni di Marx (in realtà il libro le ha ben contate: il solo Financial Times cita Marx 2.644 volte in 13 anni). E, ciò che è più singolare, si tratta spesso di citazioni positive: “Karl Marx aveva ragione” afferma l’economista statunitense Nouriel Roubini in un’intervista del 2011 a The Wall Street Journal; “Marx resta una figura monumentale”, recita inaspettatamente un articolo di The Economist del 2018.

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Luigi Pandolfi: “Le guerre illegali della NATO”

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“Le guerre illegali della NATO”

di Luigi Pandolfi

È un libro “pesante” Le guerre illegali della Nato scritto dallo storico e ricercatore svizzero Daniele Ganser (Fazi editore, 2022). E non solo perché composto di ben 590 pagine. Mentre prosegue, col suo carico di morti e distruzioni, la guerra tra Russia e Ucraina che già si configura come conflitto mondiale tra il blocco dei Paesi NATO e il reprobo fronte delle nazioni insofferenti al dominio unipolare del mondo da parte degli USA, il suo “peso specifico” consiste nell’aprire una grande falla nella narrazione mainstream, secondo cui il regno dei cattivi è sempre l’altro da sé. Dove il “sé”, manco a dirlo, è l’insieme degli Stati che compongono, per convenzione, il cosiddetto Occidente, dall’Europa al Pacifico.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il «divieto del ricorso alla guerra» diventa, per così dire, legge accettata dal consesso delle nazioni, nel frattempo risorto sotto la bandiera dell’ONU (26 giugno 1945). Con sole due eccezioni: il diritto all’autodifesa per i Paesi aggrediti e la guerra su autorizzazione esplicita per l’appunto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

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Giacomo Gabellini: I primi (importanti) scricchiolii dell’economia tedesca

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I primi (importanti) scricchiolii dell’economia tedesca

di Giacomo Gabellini

Lo scorso giugno, il ministro delle Finanze Christian Lindner espresse una previsione piuttosto pessimistica circa l’appesantimento degli oneri debitori a carico della Germania per il 2023, dovuto all’inasprimento delle fiammate inflazionistiche (le più intense dallo shock petrolifero del 1973) verificatasi a partire dall’estate 2021 – da decenni la Germania emette titoli di Stato caratterizzati da rendimenti legati all’andamento dell’inflazione. A suo avviso, gli interessi debitori avrebbero potuto raggiungere la soglia critica dei 30 miliardi di euro annui, per effetto della sinergia negativa generata dalla combinazione tra aumento dei prezzi, innalzamento dei tassi ad opera della Banca Centrale Europea (Bce) ed espansione tendenziale del debito pubblico. La complessità della congiuntura, aggiunse Lindner, imponeva all’esecutivo tedesco di adottare decisioni difficili e piuttosto impopolari, a partire dalla sospensione del sostegno pubblico accordato all’economia nazionale durante la crisi pandemica e dal ripristino delle misure costituzionali funzionali al contenimento del debito.

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Piccole Note: Iraq. Le autostrade della morte, una pagina di storia dimenticata

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Iraq. Le autostrade della morte, una pagina di storia dimenticata

di Piccole Note

Nell’articolo sulle domande poste dal Washington Times a Biden riguardo alla guerra ucraina, abbiamo accennato alle autostrade della morte, il più terribile massacro della storia moderna.

Si consumò nel corso della prima guerra irachena, dopo l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein e prima dell’invasione americana dell’Iraq. Nessuno lo ricorda perché la prima guerra irachena, del 1991, vide quasi tutto il mondo al fianco – in via subordinata – degli Stati Uniti (un po’ come accade adesso per l’Ucraina).

Una storia di stretta attualità, anche per quanto riguarda la manipolazione dell’informazione. Pubblichiamo un documento sull’eccidio di massa, presentato da Joyce Chediac alla Commissione d’inchiesta per il Tribunale internazionale per i crimini di guerra di New York (pubblicato nel 2018 su Liberation – giornale di sinistra, ma con azionista di maggioranza il banchiere Edouard de Rothschild).

* * * *

Autostrade della morte

Voglio rendere una testimonianza su quelle che vengono chiamate le “autostrade della morte”. Si tratta delle due strade kuwaitiane, disseminate dei resti di 2.000 veicoli militari iracheni straziati, e dei corpi carbonizzati e smembrati di decine di migliaia di soldati iracheni, che si stavano ritirando dal Kuwait il 26 e 27 febbraio 1991 in ottemperanza alle risoluzioni Onu.

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Aginform: Il valore strategico dell’operazione militare speciale in Ucraina nella lotta contro il governo unipolare americano nel mondo

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Il valore strategico dell’operazione militare speciale in Ucraina nella lotta contro il governo unipolare americano nel mondo

di Aginform

Il compito dei comunisti è quello di impegnarsi in un ampio movimento contro la guerra per impedire che l’Italia invii armi e risorse per alimentare la guerra per procura in Ucraina alla ricerca di una vittoria americana e NATO, tuttavia in questo momento è necessario anche puntualizzare il ruolo specifico che i comunisti dovrebbero esercitare nell’interpretare correttamente gli avvenimenti e svolgere una funzione di orientamento.

Fino ad ora, salvo rare eccezioni, non vi sono state iniziative serie in questa direzione ed è necessario riprendere la discussione sulle questioni che sottendono questa guerra, non tanto rispetto alle cause che l’hanno originata, quanto soprattutto per individuarne gli aspetti più generali, che riguardano la lotta contro l’imperialismo nell’attuale fase storica.

Quello che ci sembra manchi nell’analisi dei fatti è una corretta interpretazione del significato dell’operazione militare speciale che si sta sviluppando in Ucraina in relazione con lo scontro che è in corso a livello mondiale con il blocco imperialista occidentale e con gli avvenimenti che da decenni logorano e mettono in crisi l’egemonia americana nel mondo.

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Andrea Zhok: Young Global Leaders

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Young Global Leaders

di Andrea Zhok

Ieri menzionavo a proposito di Elly Schlein la categoria schwabiana dei Young Global Leaders. Purtroppo siccome molti ancora si informano sul Corriere o da Mentana anche di fronte alla semplice menzione di questa nozione c’è chi ha evocato il complottismo.

“Figurati se esiste qualcosa che accomuna tutti questi brillanti “giovani leader globali” in giro per il mondo (Justin Trudeau, Jacinda Ardern, Emmanuel Macron, Maia Sandu, Sanna Marin, Kaya Kallas, ecc. ecc.)?”

“Figurati se hanno un’agenda comune.”

“Figurati se godono di supporti internazionali comuni.”

Ora, che abbiano un’agenda comune è semplicemente un dato di fatto, se ci si prende la briga di andare a vedere le rispettive agende, sempre perfettamente allineate con la catena di comando americana, dalle strategie pandemiche alla guerra russo-ucraina.

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Michele Castaldo: Elly Schlein, cioè cosa?

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Elly Schlein, cioè cosa?

di Michele Castaldo

834261 thumb full 720 s220520 giannini schleinC’è un entusiasmo smisurato intorno alla figura di Elly Schlein appena eletta a nuovo segretario del Pd che esordisce parlando di «una piccola grande rivoluzione», segno dei tempi.

Mettiamo però subito in chiaro un punto: che una donna rivendichi pubblicamente la propria sessualità dicendo: «Sono una donna, amo una donna, non sono madre, ma non sono meno donna per questo», rappresenta certamente un fattore di rottura nei confronti tanto del bigottismo di destra – ancora oggi rappresentato dalla Meloni che predica: «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana…», quanto del moralismo di sinistra e di una certa tradizione comunista contro cui oggi si scatena strumentalmente la critica della grande stampa benpensante della borghesia italiana.

E a proposito di un certo bigottismo di sinistra, tanto per non andare troppo lontano e citare Pier Paolo Pasolini, oppure il povero Aldo Braibanti (“Il signore delle formiche” di un recente film di Amelio, ricordo un episodio vissuto in prima persona nel costruendo stabilimento Montefibre di Acerra (Na) nel lontano 1976. Ero delegato eletto da oltre il 90% degli operai e durante una giornata di sciopero mi capitò di vedere Vittorio, un operaio omosessuale, piangere di nascosto dietro l’angolo di una baracca. Lui che era sempre attivo negli scioperi e sempre in prima fila nelle manifestazioni, e durante le occupazioni di cantiere si esibiva ballando e mettendo tutti di buon umore, insomma sempre sorridente e allegro, mi apparve molto strano vederlo piangere. L’avvicinai chiedendogli cosa fosse successo, pregandolo di volersi confidare. Alla fine sconfortato disse «non ce la faccio più a sopportare, prima mi insultano definendomi ricchione e poi mi chiedono di fargli i pompini».

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Paolo Paesani: Pasinetti e l’approccio classico-keynesiano

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Pasinetti e l’approccio classico-keynesiano

di Paolo Paesani

Paolo Paesani, ricordando Luigi Pasinetti, si misura con la sua proposta di sviluppare un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra l’economia classica e l’economia keynesiana. Paesani richiama i 9 elementi che lo stesso Pasinetti aveva indicato come base per costruire quella sintesi e, attingendo anche a un recente volume curato da Bellino e Nerozzi, illustra l’importanza ma anche la difficoltà di approfondire e integrare tra loro quei 9 elementi

1juytd0Luigi Pasinetti, scomparso di recente, è stato uno dei più importanti economisti teorici italiani del secondo dopoguerra. Uno degli assi portanti del suo programma di ricerca, come sottolinea Sebastiano Nerozzi nel suo ricordo in questo del numero del Menabò, è il tentativo di costruire un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra economia classica ed economia keynesiana, in alternativa al marginalismo e all’individualismo metodologico tuttora dominanti.

Dall’economia politica classica, Pasinetti trae l’idea che il sistema economico debba essere concepito come un insieme di settori produttivi interconnessi che si possono analizzare indipendentemente dallo studio delle scelte degli agenti individuali che si muovono al loro interno. Queste connessioni costituiscono la struttura dell’economia, una struttura che cambia nel tempo per effetto del progresso tecnologico e del mutamento dei consumi secondo una dinamica ciclica. Da Keynes e i keynesiani, Pasinetti trae il principio della domanda effettiva, l’ipotesi, empiricamente fondata, che la propensione al risparmio dei percettori di profitti sia maggiore di quella dei salariati, l’idea che gli investimenti hanno un ruolo centrale nel determinare la dinamica dell’economia e la convinzione che disoccupazione e disuguaglianza siano i mali principali del capitalismo.

In un libro del 2007, Keynes and the Cambridge Keynesians, Pasinetti affronta il problema di definire le basi dell’approccio classico-keynesiano, nell’ambito di una riflessione più ampia sulla rivoluzione incompiuta di Keynes, sui contributi principali di alcuni esponenti della Cambridge School of Economics (Kahn, Robinson, Kaldor, Sraffa, Goodwin) e sui legami tra quei contributi e gli schemi analitici da lui stesso elaborati.

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Geraldina Colotti: Il primo grido di rivolta contro il neoliberismo in America Latina

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Il primo grido di rivolta contro il neoliberismo in America Latina

di Geraldina Colotti

Il Caracazo, la rivolta spontanea contro il caro-vita, scoppiata il 27 febbraio del 1989 a Guarenas, nello stato Miranda

Articolo Colotti. Foto per home.jfif Anche quest’anno, le strade del Venezuela risuoneranno di canti e slogan, per ricordare una data storica, considerata il punto d’avvio del processo bolivariano: il Caracazo, la rivolta spontanea contro il caro-vita, scoppiata il 27 febbraio del 1989 a Guarenas, nello stato Miranda. Migliaia di persone – soprattutto poveri delle periferie, ma anche studenti e altre figure sociali, emarginate durante la IV Repubblica -, si riversarono per le strade: per respingere il cosiddetto “paquetazo”, il pacchetto di misure economiche neoliberiste, imposto dal Fondo Monetario Internazionale e accettate dall’allora presidente Carlos Andrés Pérez (Cap).

Pérez apparteneva ad Acción Democrática (Ad), un partito di centro-sinistra, di orientamento socialdemocratico, che aveva gestito il potere nella IV Repubblica, alternandosi con l’alleanza di centro-destra, egemonizzata dal Partito Copei. Alleanze battezzate da Washington durante il Patto di Punto Fijo, un patto di “governabilità democratica”, siglato dopo la caduta del dittatore Marco Pérez Jiménez (1958) per escludere dal potere i comunisti e le forze rivoluzionarie, che avrebbero voluto “fare come in Russia”: ovvero “infiammare le Ande” come Fidel e il Che nella Sierra Maestra.

Un patto nato nel contesto della “guerra fredda”, nella lotta senza quartiere tra le forze reazionarie e il campo socialista, che verrà rinnovato durante l’elezione di Romulo Betancourt. Celebre resterà, infatti, il discorso di Fidel, accolto da una moltitudine festante e decisa quando andò in visita a Caracas, subito dopo la vittoria della rivoluzione a Cuba, a gennaio del 1959. “Quanto tempo rimarremo nel torpore?

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Antonio Castronovi: Elly Schlein, ovvero come ti “americanizzo” la Sinistra

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Elly Schlein, ovvero come ti “americanizzo” la Sinistra

di Antonio Castronovi

Con la Schlein alla guida del PD si compie il definitivo trapasso degli eredi del vecchio PCI nel campo politico ideologico liberal anglosassone. Non è un caso. L’Italia è il paese europeo più destrutturato nella sua identità politica e culturale, avendo perduto e disperso il patrimonio ereditato dal movimento socialista e comunista del ‘900 e dal cattolicesimo democratico che avevano nutrito una politica attenta alla autonomia politica e culturale nazionale.

Che questo definitivo passaggio si compia con la figura della Schlein, cittadina americana, militante del Partito Democratico americano, fervente obamiana, è altamente simbolico. È la naturale espressione di quella sinistra culturale diritto- civilista, globalista e cosmopolita, organica e funzionale nell’accompagnare l’affermazione dell’egemonia della ideologia liberal a sostegno del globalismo anglosassone. Del resto questo passaggio era già stato preparato dal progressivo scivolamento attuato dalla dirigenza del più grande partito comunista d’ occidente nel campo del neoliberismo angloamericano, che ha raggiunto il suo culmine nel diventare il più fedele alfiere in Italia e in Europa dell’euro-atlantismo nella guerra ucraina in corso, in concorrenza con i paesi dell’est europeo, non a caso i più apertamente schierati con la NATO.

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Manlio Dinucci: Il nono anniversario della guerra in Ucraina

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Il nono anniversario della guerra in Ucraina

di Manlio Dinucci

Sotto i nostri occhi i nazionalisti integralisti ucraini ripristinano i simboli del nazismo. Il 14 febbraio 2023 il presidente Volodymyr Zelensky ha conferito alla 10a Brigata d’assalto autonoma da montagna «il titolo onorifico Edelweiss». Edelweiss fa riferimento alla 1a Divisione da montagna nazista che «liberò» (sic) Kiev, Stalino, i passaggi del Dnepr, nonché Karkiv. L’odierna Ucraina celebra ancora il III Reich come suo «liberatore»

Siamo non al primo ma al nono anniversario della guerra in Ucraina, scatenata nel febbraio 2014 con il colpo di stato sotto regia USA-NATO. Parlando da Varsavia, il presidente Biden promette di “essere a fianco del presidente Zelensky qualunque cosa accada”. Gli fa eco la presidente Meloni che, capovolgendo la posizione assunta nel 2014, assicura a Zelensky che “l’Italia sarà con voi sino alla fine”. Dichiarazioni inquietanti, data la reale possibilità che il conflitto sfoci in una guerra nucleare, che costituirebbe la fine non solo dell’Europa ma del mondo. L’Ucraina è in grado di produrre armi nucleari e sicuramente, a Kiev, c’è chi persegue tale piano.

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Elisabetta Teghil: L’obbedienza non è una virtù

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L’obbedienza non è una virtù

di Elisabetta Teghil

L’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. (don Lorenzo Millani) Da un opuscolo di Proletari in divisa ,1970

Una delle caratteristiche del sociale costruito dall’ideologia neoliberista è l’assenza del pensiero critico. Una delle caratteristiche dell’assenza del pensiero critico è la facilità con cui le persone obbediscono. Lo abbiamo verificato incredibilmente in questi anni in cui il pensiero unico dell’iper borghesia si è espanso come una materia molliccia e appiccicosa che si è infilata dappertutto, tutto ha inglobato e fagocitato. Mi viene in mente il famoso film di fantascienza Blob del ‘58 in cui i mostri alieni arrivavano sotto forma di un fluido che uccide, una massa rosa inarrestabile che assorbe e soffoca. Solo che qui non si tratta di alieni ma della società in cui siamo infilate/i e drammaticamente reale.

Ogni potere pretende obbedienza, sogna l’assenza di una controparte e si muove in maniera tale da ottenerla. Obbedienza, castità, povertà costituiscono i pilastri di chi prende i voti nella Chiesa cattolica, credere, obbedire, combattere è il motto dei fascisti.

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Giorgio Agamben: Nustérze o poscrà

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Nustérze o poscrà

di Giorgio Agamben

«Non credo nel domani, forse nel dopodomani» ha scritto Joseph Roth. In cosa credo io? Né nel domani, né nel dopodomani – forse nel poscrà o pescridde, come mi pare si dica in pugliese il giorno che segue al posdomani. Ma in verità credo piuttosto nel nustérze (nell’avantieri) o nel giorno prima dell’avantieri. Sono la comprensione e la conoscenza del passato che oggi mancano, e non soltanto ai più giovani. Ma è forse il tempo che manca, in tutte le sue estasi e forme, perché il futuro che le ha divorate è vuoto e nessuno più ci crede, mentre il presente è per definizione invivibile. Il tempo di cui abbiamo bisogno non è, però, nessuno di questi: è aion o eone, che gli antichi raffiguravano come un giovinetto con le ali ai piedi in bilico su una ruota, che si può afferrare solo per un ciuffo che ha davanti alla fronte – l’occasione – e, se lo lasci passare, sei perduto per sempre.

Aion è il colore del tempo, il tempo della vita, e, come recita un proverbio messicano, questo tempo speciale non manca mai, ay mas tiempo que vida – forse perché questo tempo e la vita sono la stessa cosa.

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Il Chimico Scettico: Sette giorni da un anniversario

ilchimicoscettico

Sette giorni da un anniversario

di Il Chimico Scettico

La pandemia COVID19 è talmente alle spalle che pochi sono stati i ricordi di cosa successe il 21 febbraio 2021. Ground Zero Codogno, cioè quello che i buffoni al potere o nella sua anticamera non ricorderanno mai. Motivi?

Semplice. Si era detto “Siamo preparati”, con il notorio piano antipandemico non aggiornato da una vita, e fino al giorno prima c’era stata la sagra dell’involtino primavera e “il problema è il razzismo”. Mentre il VERO problema erano strutture sanitarie che venivano da un decennio di definanziamento selvaggio.

I leccaculi istituzionali sono fenomeno antico, ma in due anni di caos hanno regalato al pubblico la performance più vomitevole da cinquanta anni a questa parte, parlando di Italia.

I crudi fatti restavano crudi e i lutti altrettanto.

E qualcuno ha parlato di eroi, per mascherare in un impeto retorico il disastro sistemico. Gli attori e lavoratori della sanità hanno sottoscritto entusiasti, tranne essere scordati in capo a 10 mesi – il che dice qualcosa sulla popolazione media del SSN, oltre che sulla politica italiana.

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