[nuovoPCI] Engels e due lezioni per la lotta dei comunisti di oggi

Comunicato CC 16/2023 – 27 agosto 2023

 

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Engels e due lezioni per la lotta dei comunisti di oggi

 

Il 5 agosto scorso cadeva il 128° anniversario della morte di Federico Engels (1820-1895). In Italia, tra i periodici che fanno in qualche modo capo a organismi che si dichiarano comunisti, a nostra conoscenza solo Cumpanis ha dedicato alla ricorrenza un articolo (rilanciato poi da La Città Futura): 5 agosto 1895: muore Friedrich Engels: studiare il suo pensiero, imparare dalla sua prassi. L’articolo è firmato dal direttore Fosco Giannini e (a parte evidenti errori di datazione e di presentazione degli scritti di Engels) ha il pregio 1. di ricordare e celebrare l’opera di Engels e 2. di criticare apertamente e con buone ragioni quanti, intellettuali borghesi o sedicenti comunisti, hanno in vari modi cercato di dissociare o addirittura contrapporre l’opera svolta da Engels nel campo della teoria e quella svolta da Marx.

Engels è stato, insieme a Marx, il fondatore del socialismo scientifico. La scoperta che la specie umana è evoluta da uno stato sostanzialmente non diverso da quello di altre specie animali superiori fino allo stato attuale e la scoperta delle leggi secondo cui questo processo è avvenuto hanno permesso “l’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza”: da sogno di un mondo di giustizia, libertà e uguaglianza che l’umanità ha coltivato per millenni a scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia e quindi a scienza della costruzione del mondo futuro. I comunisti sono coloro che usano questa scienza per promuovere l’emancipazione delle masse popolari dalla borghesia. Questo vale per i comunisti di tutto il mondo, ma in maniera particolare per quelli dei paesi imperialisti dove solo una scienza profonda del corso delle cose li rende capaci di guidare le masse popolari a distruggere di loro iniziativa un ordine che le soffoca ma che sia pur malamente le nutre e a costruire un nuovo ordine che esse non conoscono, che la borghesia nasconde e denigra con mezzi raffinati e da cui cerca di distoglierle in mille modi.

A noi comunisti quindi non basta celebrare l’opera svolta da Engels né difenderla da critici e detrattori. A noi comunisti spetta il compito di assimilare, usare e sviluppare l’opera di Engels (e degli altri grandi dirigenti del movimento comunista) nel campo della teoria e nel campo della pratica: di usare la scienza che Engels ha contribuito a fondare per portare finalmente a compimento l’impresa di mobilitare, organizzare e guidare gli operai e le masse popolari fino a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. Proprio a questo fine, due sono gli insegnamenti di Engels di particolare importanza per i comunisti oggi.

1. Come la classe operaia riesce a prendere nelle sue mani il potere nei paesi imperialisti e avviare la trasformazione socialista della società

È un fatto che il primo partito comunista costituito in Italia nel 1921, pur avendo avuto tra i suoi dirigenti anche Antonio Gramsci, non è riuscito ad adempiere al compito di instaurare il socialismo. Oggi vari tra quelli che pur si dicono comunisti non se ne preoccupano.

Alcuni perché addirittura ritengono che non sono ancora mature le condizioni per realizzare questo obiettivo: esponente dichiarato di questa corrente è stato Oliviero Diliberto, già alla testa del PdCI (Partito dei Comunisti Italiani), uno dei frammenti del PRC a sua volta risultato della dissoluzione del primo PCI che, nonostante le grandi forze ereditate dalla Resistenza antifascista e dalla partecipazione ai governi del Comitato di Liberazione Nazionale (1943-1947), aveva imboccato la “via democratica parlamentare al socialismo”.

Altri perché ancora oggi riducono la lotta per il socialismo 1. alla promozione delle lotte rivendicative delle masse popolari nei confronti dei capitalisti e del loro Stato e 2. alla partecipazione alla gestione degli organismi dello Stato borghese: la linea che già nel 1895 Engels spiegava che non avrebbe condotto al socialismo. La linea che il primo PCI ha fatto propria anche ufficialmente a partire dal 1956 (VIII Congresso del PCI) e attuando la quale è finito a dissolversi. Ancora oggi non si pongono neanche la domanda sul perché il primo PCI si è dissolto e frammentato. Tanto meno cercano di capire perché in vari paesi imperialisti i comunisti sono arrivati a far parte del governo del paese (dalla Germania del primo dopoguerra, alla Francia, alla Spagna, all’Italia e al Portogallo), ma non sono mai andati oltre. Oppure liquidano la questione con tesi del tipo “il tradimento dei capi”, “la forza della borghesia”, “la corruzione della classe operaia e delle masse popolari dei paesi imperialisti” (dimenticando che durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, diciamo fino agli anni ’50 del secolo scorso, due guerre mondiali e le dittature naziste e fasciste sono state le “concessioni” che la borghesia ha fatto alla classe operaia e alle masse popolari dei paesi europei!).

A questa questione Engels nell’Introduzione alla prima ristampa (nel 1895) degli articoli di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 dà una risposta chiara che presenta come autocritica sua e a nome di Marx (morto nel 1883): Engels sostiene che, contrariamente a quanto lui e Marx pensavano [e di quello che pensano ancora oggi gran parte di quelli che in Italia nel 2023 si proclamano comunisti – questo Engels non credeva di doverlo dire e lo aggiungiamo noi per lui], la forma della rivoluzione socialista è diversa dalla forma della rivoluzione borghese. Essa non è “una rivoluzione che scoppia” ma “una rivoluzione che si costruisce”.

Alla fine del secolo scorso, all’inizio dell’epoca imperialista del capitalismo, la classe operaia aveva già compiuto alcuni tentativi di impadronirsi del potere: in Francia nel 1848-50 e nel 1871 con la Comune di Parigi, in Germania con la partecipazione su grande scala alle elezioni politiche. Era ormai possibile e necessario capire come la classe operaia sarebbe riuscita a prendere nelle sue mani il potere e avviare la trasformazione socialista della società. Erano riunite le condizioni per affrontare il problema della forma della rivoluzione proletaria. Nel 1895, nella Introduzione alla ristampa degli articoli di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Engels fece il bilancio delle esperienze fino allora compiute dalla classe operaia ed espresse chiaramente la tesi che “la rivoluzione proletaria non ha la forma di un’insurrezione delle masse popolari che rovescia il governo esistente e nel corso della quale i comunisti, che partecipano ad essa assieme agli altri partiti, prendono il potere”. La rivoluzione proletaria, cioè, non poteva avere la forma di un’insurrezione popolare nel corso della quale i comunisti, il partito più capace di farsi portavoce anche in campo politico delle aspirazioni di tutte le masse popolari e che più aveva contribuito a preparare l’insurrezione, prendeva il potere, si metteva cioè alla testa dello Stato e lo trasformava secondo le esigenze della trasformazione socialista della società. Per sua natura la rivoluzione socialista doveva avere la forma di un’accumulazione delle forze rivoluzionarie che il partito comunista compiva operando sotto il regime borghese, nonostante le manovre con cui la borghesia avrebbe cercato di impedirla: la classe operaia deve preparare fino ad un certo punto “già all’interno della società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere”. Le vicende della pubblicazione dell’Introduzione di Engels confermano il rilievo che essa ha nel dibattito sulla forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Engels la finì il 6 marzo 1895. Il Vorwärts (Avanti), organo della socialdemocrazia tedesca, la pubblicò subito ma con contraffazioni tali che Engels protestò apertamente con i dirigenti del partito. Venne nello stesso 1895 ripubblicata in opuscolo con la raccolta degli articoli di Marx nella versione di Engels, ma con l’omissione approvata da Engels di alcune frasi che il governo tedesco avrebbe potuto prendere a pretesto per la legge antisocialista che stava preparando. Il testo integrale dell’Introduzione venne pubblicato in URSS nel 1934: è quello di cui disponiamo in Italia (vedi ad es. Editori Riuniti 1962 a cura di Giorgio Giorgetti).

I revisionisti dell’inizio del secolo (E. Bernstein &Co.) e i revisionisti moderni (Kruscev, Togliatti, ecc.) hanno cercato ripetutamente di “tirare dalla loro parte” l’Introduzione del 1895 di Engels. “Accumulo graduale delle forze rivoluzionarie all’interno della società borghese? Certo! Ecco i nostri gruppi parlamentari sempre più numerosi, abili, influenti e ascoltati dal governo, i nostri voti in crescita di elezione in elezione, i nostri sindacati cui sono iscritti milioni di lavoratori e che ministri e industriali ascoltano e interpellano con rispetto, le nostre floride cooperative, le nostre buone case editrici, i nostri giornali e periodici ad alta tiratura, le nostre manifestazioni d’ogni genere sempre affollate, le nostre associazioni culturali che raccolgono il fior fiore dell’intelligenza del paese, la nostra vasta rete di contatti e di presenze in posti che contano, il nostro seguito in tutte le categorie. Ecco l’accumulo delle forze rivoluzionarie che ci rende capaci di governare!”. È una grande violenza far dire queste cose a Engels che, pur non avendo visto tutto quello che è successo nel secolo XX, aveva messo in guardia dal farsi illusioni, aveva avvertito che la progressione elettorale del partito socialdemocratico tedesco, segno del progresso del socialismo nella classe operaia tedesca e della sua crescente egemonia sulle masse popolari, non sarebbe continuata all’infinito; aveva avvertito che la borghesia avrebbe “sovvertito la sua stessa legalità” quando questa l’avrebbe messa in difficoltà.

Ma il problema principale non è “quello che Engels ha veramente detto”. Il problema principale è che i fatti, la realtà, gli avvenimenti hanno ripetutamente dimostrato che quelle forze accumulate di cui parlano i revisionisti si sono sciolte come neve al sole in ogni scontro acuto e crisi acuta della società che hanno posto all’ordine del giorno la conquista del potere, in ogni caso in cui erano dirette dai revisionisti ed erano le sole o le principali “forze rivoluzionarie” che la classe operaia aveva accumulato (basti richiamare l’Italia del 1919-1920, l’Indonesia del 1966, il Cile del 1973). Esse hanno potuto servire allo scopo solo quando erano le propaggini legali, il braccio legale di un partito e di una classe operaia che veniva altrimenti accumulando le vere e decisive forze rivoluzionarie: basti citare la Russia del 1917. La realtà dello svolgimento della rivoluzione proletaria nel periodo 1914-1945 ha mostrato, anche nei paesi imperialisti, che i partiti comunisti hanno unito la classe operaia e hanno affermato la direzione della classe operaia sulle altre classi popolari quando e nella misura in cui hanno saputo organizzare le masse popolari nella guerra contro l’esistente regime della borghesia imperialista. Finché la loro azione aveva al centro il tentativo di convincere socialdemocratici, cattolici, ecc. a costituire un comune fronte di opposizione legale, un comune fronte rivendicativo, un comune fronte antifascista, la loro azione ha avuto scarsi risultati. Essi hanno diretto lavoratori cattolici, socialisti, senza partito ecc. e hanno costretto anche i loro dirigenti a seguirli, quando si sono messi alla testa della guerra cui le condizioni pratiche costringevano le masse.

2. Sull’origine e la natura della crisi generale del capitalismo

Molti degli intellettuali che si dichiarano marxisti e trattano della crisi, si rifanno alla teoria marxista delle crisi cicliche del secolo XIX. In realtà la crisi con cui noi abbiamo a che fare da più di quarant’anni a questa parte comporta anche crisi cicliche, ma esse sono solo un aspetto secondario della crisi generale del capitalismo. A proposito della sua origine e della sua natura riportiamo di seguito da La Voce 61- marzo 2019 ampi estratti dell’articolo Le origini e la natura della crisi generale del capitalismo.

“Engels, nella Prefazione dell’edizione inglese del libro I di Il capitale scritta nel 1886, delinea chiaramente l’inizio della prima crisi generale del capitalismo, anche se non ne comprende ancora l’origine, la natura e il ruolo storico. Riferendosi al complesso dei paesi nei quali il rapporto di capitale dominava già in campo economico (detto nel linguaggio marxista: nei quali il capitale aveva già sussunto formalmente il complesso delle attività economiche) scrive:

Mentre la forza produttiva cresce in proporzione geometrica, l’ampliamento dei mercati procede, nella migliore delle ipotesi, in proporzione aritmetica. Il ciclo decennale di ristagno, prosperità, sovrapproduzione e crisi, che dal 1825 al 1867 si era regolarmente riprodotto, sembra, è vero, esaurito; ma solo per farci approdare nella palude senza speranza di una depressione duratura e cronica. L’agognato periodo di prosperità stenta a venire; ogni qualvolta crediamo di intravederne i segni premonitori, eccoli andare nuovamente in fumo [pag. 56 di Le Idee 93 Ed. Riuniti, VIII ed. giugno 1974].

Oggi noi ci gioviamo della conoscenza della storia dei decenni successivi a quando Engels scrisse queste righe. Risulta oggi evidente che in quella palude che Engels constata nel 1886, la società borghese è cresciuta dimenandosi per far fronte ai suoi guai (ogni capitalista deve valorizzare il suo capitale e si scontra con i proletari che assolda e con i capitalisti concorrenti nella gara ad essere competitivi: chi perde muore; la classe dei capitalisti deve mantenere sottomesse le classi oppresse e far funzionare l’intera società) sviluppando già negli ultimi decenni del secolo XIX a livelli crescenti e su scala via via più ampia le caratteristiche economiche, politiche e culturali della fase imperialista del capitalismo. In L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (scritto nel 1916 e pubblicato per la prima volta nell’aprile 1917) Lenin illustra in dettaglio anche nel loro sviluppo cronologico le cinque principali caratteristiche economiche: 1. nella produzione di merci i monopoli hanno reso marginale la libera concorrenza tra capitalisti; 2. il capitale finanziario ha preso la direzione del capitale impiegato nella produzione di merci e ne ha fatto un suo strumento; 3. l’esportazione di capitali ha preso il sopravvento sull’esportazione di merci; 4. le maggiori potenze capitaliste si sono suddivise tra loro il mondo e hanno instaurato il sistema coloniale (la Conferenza di Berlino per la spartizione dell’Africa si svolge tra novembre 1884 e febbraio 1885); 5. pochi grandi monopoli si dividono tra loro la produzione mondiale delle merci più importanti.

Questo corso delle cose sfocerà nella Prima Guerra Mondiale (1914-1918) ed essa darà inizio alla prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). L’esaurimento della prima ondata darà inizio al quarantennio della seconda crisi generale con la quale siamo ora alle prese.

Engels però nella Prefazione del 1886 non connette lunga depressione e le vie già imboccate dalla borghesia per farvi fronte con la sovrapproduzione assoluta di capitale che Marx aveva trattato nei capitoli 13, 14 e 15 del libro III di Il capitale, che Engels consegnerà alle stampe solo nel 1894. In quei capitoli Marx aveva illustrato sia la tendenza intrinseca del capitalismo alla sovrapproduzione (sovraccumulazione) assoluta (cioè non limitata ad alcuni settori, ma estesa all’intera economia) di capitale (dovuta a sua volta alla caduta tendenziale del saggio del profitto connaturata al modo di produzione capitalista delle merci) che prima o poi sarebbe diventata un fattore determinante del corso delle cose, sia le misure a cui per loro natura i capitalisti avrebbero fatto ricorso per ritardare lo sbocco catastrofico di essa. I nostri lettori possono trovare una sintesi dei tre capitoli di Marx in Rapporti Sociali n. 8 (novembre 1990), Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale e un’illustrazione esauriente della crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale nell’Avviso ai naviganti 8 – 21 marzo 2012.

La connessione non venne fatta da Engels, ma neanche dai dirigenti comunisti negli anni successivi alla pubblicazione del libro III di Il capitale, neanche da Lenin, nonostante l’intenso dibattito che si svolse tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX sul corso delle cose, in cui intervennero, oltre a Lenin, anche R. Hilferding (Capitale finanziario, 1910), Rosa Luxemburg (L’accumulazione del capitale, 1913), N. Bukharin (L’imperialismo e l’economia mondiale, 1916) e tanti altri marxisti.

Questa lacuna nella comprensione delle condizioni della lotta di classe ha contribuito a quei limiti nella comprensione del corso delle cose che impedirono che il movimento comunista cosciente e organizzato instaurasse il socialismo nei paesi imperialisti nel corso della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). (…)

La comprensione dell’origine e della natura della prima crisi generale del capitalismo è determinante per capire la storia politica e culturale del secolo scorso e trarne insegnamenti per far fronte oggi con successo alla seconda crisi generale in corso, in cui siamo coinvolti da più quarant’anni, farne il terreno in cui si sviluppa la rivoluzione socialista e porre fine alla crisi con l’instaurazione del socialismo. Oggi sia la destra che la sinistra borghesi di fronte alla crisi persistente elaborano, propagandano e mettono in opera cure che non tengono conto della fonte e della natura della crisi. Sia le cure basate sulla teoria dell’offerta (il governo deve prendere misure che aumentano i profitti ai capitalisti che impiegano proletari nella produzione di merci), sia quelle basate sulla teoria della domanda (il governo deve elargire soldi ai proletari e agli altri lavoratori in modo che aumentino i loro consumi e quindi comprino più merci) confermano il carattere collettivo assunto dall’economia. Ma né le une né le altre hanno posto né porranno fine alla crisi perché, dopo l’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, l’iniziativa in campo economico è di nuovo nelle mani dei capitalisti e il motore dell’economia capitalista (ciò che spinge un capitalista a impiegare proletari) non è la produzione di merci ma la produzione di profitti: l’intoppo sta proprio nel fatto che oltre certi limiti l’aumento della produzione di merci non determinerebbe aumento bensì diminuzione della massa dei profitti e nessun capitalista assume più operai per avere meno profitto. La competizione e la corsa a essere più competitivi spostano la crisi da un paese a un altro, ma non vi pongono fine.

Oggi la produzione di merci è un’appendice del capitale finanziario e speculativo, quindi la ricchezza della società borghese si presenta sempre meno come “un’immane raccolta di merci” (valori d’uso, beni o attività ognuno dei quali soddisfa un bisogno ma viene prodotto in quanto portatore di valore di scambio, in pratica come prodotto vendibile) e si presenta invece sempre più come “un’immane raccolta di denaro”. E, siccome per sua natura il denaro (divenuto moneta fiduciaria) può aumentare di quantità oltre ogni limite mentre la quantità di merci non lo può, questo altera anche la natura delle merci. Esse sono infatti sempre meno intese a soddisfare bisogni creati dallo sviluppo generale della società umana (lo sviluppo della civiltà rese bisogni da soddisfare la produzione di utensili, armi, carta, costruzioni, ecc.) e sempre più intese a creare nuovi bisogni nella popolazione che ha potere d’acquisto (cioè denaro), per aumentare la massa di denaro che la loro vendita accumula nelle mani di ogni singolo capitalista. Le grandi opere inutili e dannose (TAV, TAP, Ponte sullo Stretto di Messina, ecc.), i beni rapidamente obsoleti o comunque deperibili, l’imballaggio (con l’enorme uso di materie plastiche) e la pubblicità, la presentazione della merce che prevale sulla sua qualità con tutto quello che ne consegue: queste e altre simili sono le leggi che determinano quantità e qualità delle merci prodotte. La borghesia non si limita a soddisfare i bisogni creati dallo sviluppo generale dell’umanità, ma nei limiti consentiti dalla divisione della società in classi di oppressi e oppressori plasma il sistema di relazioni sociali e di condotte individuali su misura delle merci di cui, per valorizzare il suo capitale, di sua iniziativa ogni capitalista riesce a imporre l’uso, con il risultato che “tutti” deprecano. Tutto ciò aggrava la crisi morale e intellettuale delle masse popolari dei paesi imperialisti. Per vendere, infatti, la borghesia non soddisfa solo bisogni, ma crea sempre nuovi bisogni scollegati dalle attività necessarie per vivere e progredire: introduce la tecnologia 5G (trasmissione potenziata di dati ai cellulari) mentre anche nei paesi imperialisti aumentano le persone che non possono accedere alle cure mediche. È come un produttore di cibo che per vendere di più, in mille modi induce le persone a spendere i soldi che hanno per ingozzarsi, incurante della loro salute e della loro vita.

Il modo di produzione capitalista è sorto e ha soppiantato gli altri modi di produzione (anch’essi basati sulla divisione dell’umanità in classi di sfruttati e di sfruttatori, di oppressi e di oppressori), come modo di produzione atto ad aumentare la produttività del lavoro, cioè ad aumentare la quantità di beni che gli uomini producevano in un dato tempo di lavoro e quindi atto a rendere gli uomini complessivamente più liberi dalla natura e più ricchi in termini di tempo e di mezzi per esercitare attività umane superiori, le attività specificamente umane (dalle quali però restava e resta esclusa la massa della popolazione). La crisi generale del capitalismo elimina questi presupposti del successo del capitalismo e rende la sua sostituzione una necessità per la sopravvivenza della specie umana.

La sovrapproduzione assoluta di capitale genera il disastro ecologico, lo sfruttamento delle donne ridotte a strumento della pubblicità e a oggetto sessuale, la deformazione psicologica, intellettuale e morale della nuova generazione e il suo maltrattamento, la criminalità gratuita (cioè senza le motivazioni che l’insufficienza della produzione dava un tempo alla guerra e alla criminalità), l’insicurezza generale e l’uso diffuso di droghe che solo demagoghi come Salvini & C. forse davvero sono convinti di curare con più poliziotti e pene maggiori, l’emigrazione che supera di gran lunga quella dell’inizio del secolo scorso (quando dalla sola Italia con una popolazione minore alla metà di quella attuale nei 60 anni successivi all’Unità emigrarono più di 15 milioni di lavoratori a un ritmo annuale che nel 1900 superò i 350 mila emigranti permanenti registrati – Del Carria Proletari senza rivoluzione, vol. 1 Ed. Oriente 1966, pagg. 251-252).

Ma le trasformazioni indotte dalla crisi a loro volta fanno crescere la resistenza spontanea delle masse popolari al corso delle cose e aumentano i potenziali alleati del proletariato nella rivoluzione socialista. L’oppressione suscita una resistenza spontanea, allarga il divario tra le masse popolari e la classe dominante. Le masse popolari imparano dalla loro esperienza: non sono “manipolabili all’infinito”, come pensa la sinistra borghese e come teorizzano gli intellettuali del “controllo sociale totale” (Renato Curcio &Co.). Questa resistenza spontanea che, a causa della sua crisi, la borghesia non può cessare di alimentare, è il terreno che ha bisogno dell’opera di noi comunisti per diventare una marea montante e spazzare via il sistema capitalista”.

Acquisire, applicare e sviluppare questi due insegnamenti di Engels è indispensabile per avere successo nel costruire un partito comunista che sia all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ad esso e che tenga pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria: un partito in grado di mobilitare, organizzare e dirigere le masse popolari italiane e immigrate a instaurare il socialismo in Italia e contribuire alla nuova ondata mondiale di rivoluzioni proletarie (socialiste e di nuova democrazia).

La Carovana del (n)PCI, il gruppo di comunisti che a partire dagli anni ’80 hanno lavorato a creare le condizioni per la costituzione nel 2004 del (nuovo)PCI, ha dato la sua risposta riportata nell’opuscolo Federico Engels 10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del partito comunista, edito nel 1995, il centenario della morte di Engels. La risposta è ripresa e inquadrata nel Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano (nel capitolo 3.3). La linea del Governo di Blocco Popolare (esposta nell’Avviso ai naviganti 7, 16.03.2012) l’ha “tradotta nel particolare” dopo che la seconda crisi generale del capitalismo, sviluppo della trasformazione (la sovrapproduzione assoluta di capitale) che segna la fine del capitalismo come sistema della produzione di merci e dà inizio all’epoca imperialista, era entrata nella sua fase acuta e terminale.

“Non rispondere alle questioni di principio sollevate dagli avversari e accontentarsi di definirli degli ‘esaltati’, non equivale ad aprire una discussione, ma a insultare”. Questo che Lenin disse durante la lotta contro i menscevichi vale anche per la condotta di larga parte degli esponenti del MCCO italiano nei confronti della Carovana del (n)PCI. La lentezza con cui procede la nostra opera è spesso addotta contro la concezione del mondo su cui essa si basa, anche se quelli che la adducono non sono in grado di mostrare che, guidati da altra concezione, qualcuno nel nostro paese è avanzato più celermente di noi nel promuovere la rinascita del MCCO.

Questo è il messaggio e l’appello che in occasione del 128° anniversario della morte di Engels il CC del (n)PCI lancia a ogni membro della Carovana del (n)PCI e a ogni lavoratore avanzato, a tutti quelli che vogliono porre fine al catastrofico corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista e far avanzare la rivoluzione socialista in corso che ad esso si contrappone.

La seconda crisi generale del capitalismo si aggrava!
Il malcontento e l’insofferenza delle masse popolari crescono!
Che la rivoluzione socialista in corso avanzi fino alla vittoria dipende da noi comunisti!

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