[SinistraInRete] Roberto Iannuzzi: Le opposte narrazioni sull’attentato di Mosca: Stato Islamico o pista ucraina?

Rassegna 03/04/2024

Roberto Iannuzzi: Le opposte narrazioni sull’attentato di Mosca: Stato Islamico o pista ucraina?

intelligence for the people 

Le opposte narrazioni sull’attentato di Mosca: Stato Islamico o pista ucraina?

di Roberto Iannuzzi

E’ possibile che i servizi ucraini abbiano organizzato l’attacco al Crocus City Hall, eventualmente servendosi della rete del terrorismo islamico come copertura?

A una settimana dal terribile attentato che ha visto uomini armati fare irruzione nel Crocus City Hall (un’affollata sala da concerto a Krasnogorsk, sobborgo di Mosca), aprire il fuoco contro gli spettatori, e incendiare la sala uccidendo circa 140 persone, sull’accaduto si sono consolidate due narrazioni contrapposte.

La prima è quella diffusa dai governi e dai media occidentali, secondo la quale la Russia è stata vittima di un attacco da parte di una specifica branca dello Stato Islamico (spesso indicato come ISIS) – quella che si fa chiamare “Stato Islamico della Provincia del Khorasan” (ISKP, secondo l’acronimo inglese più corretto, ma sono state usate anche altre sigle, come ISIS-K e IS-K).

La seconda è quella russa, la quale, pur non scartando del tutto la tesi dell’estremismo di matrice islamica, ritiene che i mandanti vadano ricercati a Kiev.

La narrazione occidentale sostiene che l’invasione russa dell’Ucraina avrebbe “distratto” Mosca da minacce come quella dell’estremismo islamico. Washington afferma anche di aver messo in guardia – invano – il governo russo, nei giorni precedenti l’attentato, sulla possibilità che luoghi affollati divenissero bersaglio di attacchi da parte di estremisti.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha appoggiato la versione americana, dichiarando alla stampa che “le informazioni in nostro possesso…così come quelle dei nostri principali partner, indicano in effetti che è stata un’entità dello Stato Islamico a istigare questo attacco”. Egli ha aggiunto che sarebbe “cinico e controproducente” per Mosca addossare la colpa all’Ucraina.

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Simone Bisacca: Sul diritto del lavoro nella Seconda Repubblica

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Sul diritto del lavoro nella Seconda Repubblica

di Simone Bisacca

Comprendere l’evoluzione (in peggio) del diritto del lavoro negli ultimi trent’anni costituisce un fondamentale strumento di comprensione della situazione presente e un importante bagaglio teorico per qualunque militante rivoluzionario. Questo articolo di Simone Bisacca, pubblicato sul n. 6/2024 di “Collegamenti” ne delinea un quadro sintetico ma efficace

Gasparazzo187.jpgLa produzione legislativa in materia di diritto e processo del lavoro dal 1997 (c.d. Pacchetto Treu – governo Prodi I) al 2023 (decreto lavoro del 1 maggio 2023 – governo Meloni) ha ratificato lo spostamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro a favore del capitale avvenuta a partire dagli anni ’80 e ne ha accresciuto la dinamica.

Secondo i dettami del liberismo, compito dello Stato è rimuovere ogni impedimento alla libera determinazione dei prezzi anche nel mercato del lavoro e alla possibilità dell’impresa di soddisfare il proprio fabbisogno di manodopera con la massima flessibilità.

Flessibilità declinata sia in entrata che in uscita, con effetto di precarizzare la condizione dei lavoratori; la contropartita teorica della flessibilità avrebbe dovuto essere l’aumento di occasioni di lavoro e quindi la diminuzione della disoccupazione, ma la relazione tra i due fattori resta indimostrata e gli unici effetti certi sono stati l’aumento delle diseguaglianze sociali e la diminuzione della conflittualità sul posto di lavoro.

Il mercato del lavoro, del resto, è componente dell’economia che, banalmente, sconta gli andamenti macroeconomici ed è mistificatorio attribuirvi poteri taumaturgici rispetto al benessere complessivo della società.

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Michele Garau: Il comunismo non si costruisce e non si organizza

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Il comunismo non si costruisce e non si organizza

di Michele Garau

Schermata del 2024 04 03 17 43 20.pngIn occasione dell’uscita di Lo scisma da un mondo che muore. Jacques Camatte e la rivoluzione di Michele Garau terza pubblicazione del nuovo marchio editoriale MachinaLibro, proponiamo un estratto del libro in cui l’autore ragiona sul rapporto tra comunismo e organizzazione nel pensiero del filosofo francese.

* * * *

La componente più importante e meno intuitiva dell’eredità di Bordiga che Camatte valorizza è quella del rapporto tra comunismo e organizzazione. Più di preciso si tratta del rifiuto, espresso da Bordiga, verso ogni feticismo delle forme e «mistica dell’organizzazione». Una fiducia assoluta nel partito come programma e comunità che supera le generazioni, ma una critica feroce verso il culto delle strutture burocratiche, qualificato come «fascista» da Camatte e da Bordiga stesso: «l’ideologia fascista per cui tutto è questione d’organizzazione, di messa in piedi di strutture!»[1]. C’è indubbiamente un primo significato, superficiale ma esatto, per cui il comunismo non si organizza in quanto sorge dal corso spontaneo e automatico del movimento storico – è il frutto del suo determinismo – non da progetti, interventi o dall’esercizio della volontà umana. Non si può costruire il comunismo, innanzitutto, ma al massimo rimuovere gli ostacoli che ne intralciano lo sviluppo: «[…] con virulenza si insiste sull’assioma: il comunismo non si costruisce, si distruggono soltanto gli ostacoli al suo sviluppo»[2]. È un concetto che punteggia l’elaborazione di Bordiga e che viene spiegato, tra l’altro, nel già citato Dialogato con Stalin.

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Nevio Gambula: Gaza, l’abisso genocida di un certo Occidente

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Gaza, l’abisso genocida di un certo Occidente

di Nevio Gambula*

Guardando i video provenienti da Gaza si rimane colpiti dalla ferocia dell’esercito israeliano; è percepibile in ogni gesto, persino nell’irrisione gratuita dei bambini. Non c’è alcuna giustizia in essa, alcuna coscienza etica o azione giustificata; c’è soltanto una gigantesca volontà di annichilire i palestinesi.

Ferocia, crudeltà, terrore. Qualsiasi termine si usi per descrivere il comportamento dell’esercito israeliano, anche il più preciso, non sarà mai in grado di rappresentare compiutamente quello che sta accadendo realmente a Gaza. Che è qualcosa di eccezionale; stra-ordinario, proprio.

Diventa sempre più chiaro che quello che sta accadendo in quella striscia di terra è, insieme, una ferocia già vista, che si riallaccia ad altre pulsioni genocidarie, e una ferocia di tipo nuovo, che si distingue per l’alta capacità tecnologica utilizzata contro un popolo sostanzialmente inerme. Una ferocia penosa e vigliacca.

È evidente che il fine dell’esercito israeliano non è “la distruzione di Hamas”, bensì l’allontanamento dei palestinesi dalla Striscia di Gaza, prima tappa per una nuova colonizzazione. Non esiste – ne è possibile, vista la storia di quel conflitto – nessun obiettivo diverso.

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Piccole Note: Gaza: il provvedimento dell’Aia, le sorprese e lo scopo della guerra

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Gaza: il provvedimento dell’Aia, le sorprese e lo scopo della guerra

di Piccole Note

Scopo della guerra? Devastare e dividere Gaza, sfruttare i giacimenti di gas marini al largo della Striscia… Hamas, gli ostaggi sono cose secondarie

La Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia ha ammonito Israele a permettere “senza indugio […] la fornitura… di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”, cioè alimenti, medicine, carburante e altri beni essenziali.

 

La Corte e il genocidio di Gaza

È la seconda volta che la Corte, chiamata a vigilare sul crimine di genocidio, si pronuncia sulla guerra di Gaza. A gennaio emanò una sentenza nella quale richiamò Israele a prevenire il crimine di genocidio contro i palestinesi, imponendo, tra le altre cose, di cessare le uccisioni di civili e di garantire l’assistenza alla popolazione.

Il peggioramento della situazione della popolazione della Striscia ha spinto la Corte a pronunciarsi ancora una volta, con un provvedimento di urgenza che chiede, in modo “vincolante”, che sia assicurata l’assistenza dei civili.

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La Riscossa: La retromarcia dell’UE sulla transizione elettrica. Nuovo greenwashing?

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La retromarcia dell’UE sulla transizione elettrica. Nuovo greenwashing?

di La Riscossa

In un articolo del 23 febbraio dicevamo:

«Ma il punto più interessante riguarda l’automotive (il Parlamento europeo ha bocciato la proposta sul regolamento “Euro 7”). Questa doveva essere la vera grande “rivoluzione” che avrebbe comportato, non solo il rinnovo dell’intero parco macchine, ma anche una svolta nelle abitudini quotidiane dei cittadini europei. Ebbene, che cosa è successo? Che la Cina si è lanciata prima e meglio dell’Europa sul settore, praticando con una accorta politica di programmazione a lungo periodo, che ha coinvolto le case costruttrici del Paese. L’affarone del secolo si è quindi sgonfiato nelle mani dei monopolisti occidentali, come testimonia il fatto che ora il primo produttore di auto elettriche nel mondo è cinese, con costi bassi e affidabilità alta, inarrivabili per i concorrenti.»

Ebbene, forse la retromarcia avverrà in tempi molto più rapidi di quanto ci si potesse immaginare.

Naturalmente prima vanno avanti le pattuglie di esplorazione, che in questo caso sono costituite da “studiosi” – ignari o conniventi, non importa – e poi, una volta saggiato il terreno, procederà il resto delle truppe.

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Brics Multipolare: Il bisogno di esperienze traumatiche

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Il bisogno di esperienze traumatiche

di Brics Multipolare

Alla fine degli anni ’90 scriveva il docente statunitense Mike Davis: “Se oggi Marx fosse vivo sottolineerebbe il carattere allucinatorio della visione che ha galvanizzato le masse durante le cosiddette rivoluzioni del 1989. Il miraggio verso cui milioni di persone marciavano era la cornucopia del fordismo: cioè la società dei consumi di massa, con alti livelli di salari e di consumi, tuttora identificata con lo stile di vita americano (e del Nord Europa). La sola emancipazione raggiunta dagli sfortunati cittadini dell’ex blocco di Varsavia è un paleo-capitalismo sinistro, che combina tutti gli elementi più arretrati e più brutali del sottosviluppo (ivi compresa la rapina accelerata delle risorse naturali e delle foreste vergini da parte delle multinazionali), con gli aspetti più avanzati della criminalità organizzata mondiale”.

Quelle pseudo-rivoluzioni erano in realtà dei colpi di stato organizzati con la partecipazione occidentale (l’ultimo riuscito fu quello del 2014 a Kiev).

La UE non vedeva l’ora di potersi allargare così facilmente e di acquisire i beni dell’Europa orientale. Uno dei prezzi più gravosi che faceva pagare a quelle ex-nazioni del socialismo statalizzato era l’ingresso nella NATO.

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Pierluigi Fagan: Trittico mediorientale

pierluigifagan

Trittico mediorientale

di Pierluigi Fagan

locandinapg1.jpgPubblicherò a seguire, ben tre diversi articoli di analisi di ciò che sta succedendo e potrebbe in prospettiva succedere in Medio Oriente, con epicentro Israele Gaza. Purtroppo, essendo la faccenda complessa, non si può far di meno. Complesso non significa perdersi in nuvolaglie di incertezze indeterminate, quella si chiama confusione. Complesso è ricostruire il groviglio di variabili, loro interrelazioni spesso non lineari, dentro relazioni tra vari sistemi e sottosistemi, dentro contesti in evoluzione, per certi tratti di tempo. Buona lettura ai coraggiosi! [I testi provengono da post mattutini sulla mia pagina fb e forse a qualcuno potrebbe interessare il dibattito che spesso ne è scaturito].

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LA TERRA PROMESSA (27.03.04)

Perché si chiama “geopolitica”? Be’ perché come insegnano le cartine di Luisa Canali su Limes, tutti i discorsi che fai a parole sulla politica, li devi mettere su una cartina geografica, no? Avete presente? Il territorio, le coste, i fiumi, i monti, i laghi… L’ora di geografia era in genere un relax, ma forse vi siete rilassati troppo visto la vasta ignoranza che circola in materia. In più, visto che siete tendenzialmente idealisti, ‘ste brutte robe concrete della realtà, vi impicciano il libero svolazzo e non le amate troppo. Ravvedetevi se volete capire qualcosa del mondo intorno a voi, il mondo si sta muovendo parecchio di recente.

Allora, dovete sapere che sono anni che si coltiva l’idea di creare un Grande Medio Oriente con Israele pacificato con una parte del mondo arabo di area Golfo alle spalle.

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Naomi Klein: Se il genocidio è un rumore di fondo

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Se il genocidio è un rumore di fondo

di Naomi Klein

e8b4131f4aa9fac3f3ccd9c28b5e76c6a56329b16688106e30863c54d8d17d73. SX1080 FMjpg .jpgÈ una tradizione degli Oscar: un discorso politico squarcia il velo della mondanità e dell’autocelebrazione. Ne scaturiscono reazioni contrastanti. Alcuni lodano l’oratore, altri lo ritengono l’usurpatore egoista di una notte di celebrazioni. Poi tutti girano pagina.

Eppure sospetto che l’impatto delle parole del regista Jonathan Glazer, che il 10 marzo hanno fermato il tempo alla cerimonia di premiazione di Los Angeles, durerà molto più a lungo, e il loro significato sarà oggetto di analisi per anni.

Glazer stava ritirando il premio per il miglior film internazionale per La zona d’interesse, ispirato alla storia di Rudolf Höss, il comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Il film segue l’idilliaca vita domestica di Höss con la moglie e i figli, che si svolge in una residenza signorile con giardino adiacente al campo di concentramento.

Glazer ha descritto i suoi personaggi non come mostri, ma come “orrori non-pensanti, borghesi, ambiziosi-arrivisti”, persone capaci di trasformare il male in rumore di fondo.

Prima della cerimonia del 10 marzo, La zona d’interesse era già stato acclamato da molte star del mondo del cinema. Alfonso Cuarón, il regista premio Oscar per Roma, l’ha definito “probabilmente il film più importante di questo secolo”.

Steven Spielberg l’ha descritto come “il miglior film sull’Olocausto che io abbia visto dopo il mio”, riferendosi a Schindler’s list, che sbancò agli Oscar trent’anni fa. Ma mentre il trionfo di Schindler’s list rappresentò un momento di unità per la maggioranza della comunità ebraica, La zona d’interesse capita in un momento diverso.

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Cosimo Scarinzi: Domande di oggi sul sindacalismo di base a partire da oltre 30 anni addietro

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Domande di oggi sul sindacalismo di base a partire da oltre 30 anni addietro

di Cosimo Scarinzi 

Articolo di apertura del n. 6/marzo 2024 di “Collegamenti”

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2.jpgCredo sia necessario, quando ci si interroga sul sindacalismo di base oggi, tenere presente il fatto che si tratta di un assieme di organizzazioni, di militanti, di lavoratrici e lavoratori che esiste ormai dall’inizio degli anni ’90 e di una vicenda per molti versi complicata.

Ovviamente il sindacalismo di base non sorge dal nulla, già negli anni precedenti vi erano alcune organizzazioni sindacali alla sinistra dei sindacati istituzionali e, soprattutto, vi sono stati negli anni ’80 importanti movimenti di massa fuori dal controllo di questi sindacati nella scuola, nei trasporti, nella sanità; ma un’ipotesi consistente di sindacalismo alternativo data, appunto, dall’inizio degli anni ’90.

È bene domandarsi quali siano le condizioni sociali e politiche che determinano questa situazione.

In primo luogo si deve partire da quello che è stato definito la fine del compromesso socialdemocratico e cioè dall’assieme di privatizzazioni, taglio dei servizi e quindi del salario indiretto, taglio delle pensioni, accrescimento del peso del lavoro precario.

Questa deriva rendeva credibile l’ipotesi che l’offensiva del capitale avrebbe provocato una ripresa della lotta di classe a livello delle condizioni che le lavoratrici e i lavoratori vivevano. Nei fatti la crisi del capitale ha determinato, a livello planetario, risposte che hanno, quanto meno, spostato in avanti le contraddizioni rendendole, nello stesso tempo, più radicali come rileva Riccardo Bellofiore in “La caduta del saggio di profitto in Paul Mattick” (1).

In secondo luogo la scelta dei sindacati istituzionali di accettare lo scambio fra peggioramento delle condizioni della classe e salvaguardia del loro diritto di gestire la contrattazione e dei finanziamenti che ricevevano, e ricevono, dal padronato e dal governo suscitava tensioni fra i lavoratori, i militanti sindacali, parte degli stessi gruppi dirigenti, culminate con la cosiddetta “settimana dei bulloni” (2).

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Rodrigo Rivas: Argentina: lo sbarco dei criminali, la profezia di Primo Levi, i lupetti buoni

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Argentina: lo sbarco dei criminali, la profezia di Primo Levi, i lupetti buoni

di Rodrigo Rivas

Il 24 marzo 1976 tre criminali scesero da un bel carro armato davanti alla Casa Rosada.

Per iniziare le loro attività promulgarono la pena di morte per tutti coloro che conducessero attività sovversive, abolirono i diritti civili e sciolsero il parlamento.

Comprensiva, la Corte Suprema stabilì che gli “atti sovversivi” sarebbero stati esclusi dalle competenze degli organi giudiziari regolari ma, per evitare eventuali perdite di tempo, vennero sospesi tutti i magistrati ritenuti non collaboranti.

Nel pomeriggio furono vietati i partiti politici, i sindacati, le organizzazioni universitarie e posti sotto controllo tutti i mezzi di comunicazione.

L’ammiraglio Eduardo Emilio Massera, “l’intellettuale” della prima giunta (1976-1981), ebbe l’onore di enunciare il nuovo paradigma:

“L’attuale crisi dell’umanità è da imputare a tre uomini. Verso la fine del XIX secolo, nei tre volumi del «Capitale» Marx mette in discussione l’intangibilità della proprietà privata; agli inizi del XX secolo, nel libro «L’interpretazione dei sogni» Freud attacca la sacra sfera intima dell’essere umano.

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Saverio Vilar: Gaza: la sconfitta israeliana

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Gaza: la sconfitta israeliana

di Saverio Vilar*

 

A sei mesi dall’inizio della guerra lampo di Israele su Gaza, l’intelligence militare dello stato occupante ha riconosciuto con riluttanza ciò che molti sospettavano: ottenere una vittoria decisiva su Hamas è un obiettivo irraggiungibile. Nonostante la retorica iniziale del primo ministro Benjamin Netanyahu di annientamento totale, la realtà sul campo racconta un’altra storia.

Tzachi Hanegbi, capo della sicurezza nazionale israeliana, aveva precedentemente dichiarato che Israele si sarebbe accontentato solo della “vittoria totale”. Eppure, come ha ammesso il portavoce militare Daniel Hagari il 18 marzo, Hamas continua a resistere “raggruppandosi intorno all’ospedale Al-Shifa nel nord della Striscia”.

Come ha sottolineato la scorsa settimana il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan: “Israele ha ripulito Shifa una volta. Hamas è tornato a Shifa, il che solleva interrogativi su come garantire una campagna sostenibile contro Hamas in modo che non possa rigenerarsi e riconquistare il territorio”.

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coniarerivolta: L’Europa va alla guerra

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L’Europa va alla guerra

di coniarerivolta

Il conflitto tra Russia e Ucraina pare impantanato in una sostanziale situazione di stallo che allontana sempre più l’ipotesi di una risoluzione militare degli eventi. I mesi passano, uno dopo l’altro e uno identico all’altro, con un portato di morte e distruzione che monta a dismisura. Nulla di tutto questo, però, pare scalfire la determinazione con cui le principali potenze occidentali perseverano nell’applicare all’Ucraina il principio del ‘vai avanti tu, che a me viene da ridere’, continuando a soffiare sulle braci di una guerra per procura.

Nonostante il martellamento incessante e a reti unificate della propaganda bellicista, però, l’opinione pubblica nei Paesi occidentali coinvolti a vario titolo nel conflitto mostra segni crescenti di fatica e insofferenza nei confronti di un mostro che sembra sfuggito di mano. C’è bisogno quindi di ravvivare il copione e provare, tramite la diffusione ad hoc di panico e irrazionalità, a rinfocolare la bellicosità della popolazione europea.

Il ruolo dell’agitatore è affidato, questa volta, a uno dei volti più scialbi e insignificanti della tecnocrazia europea, quel Charles Michel il cui mandato come Presidente del Consiglio Europeo è in scadenza e che quindi può essere mandato in avanscoperta e bruciato all’occorrenza.

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Fabrizio Casari: Ue-Russia, contro legge e logica

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Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c’è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica, illegittimità giuridica e incapacità politica facile da descrivere.

Il Consiglio d’Europa, riunito la settimana scorsa a Bruxelles per affrontare la questione degli ulteriori aiuti all’Ucraina – ovvero al prolungamento del suo martirio, che eviti la ritirata vergognosa sul piano politico già in atto sul terreno – si era trovata sul tavolo una idea nata nei corridoi della Casa Bianca, quindi furba dal punto di vista propagandistico ma bislacca da quello giuridico: mettere in vendita i beni russi e i depositi bancari sequestrati.

Come sempre accade nelle proposte statunitensi fatte alla UE, l’idea danneggia l’Europa ma favorisce, o comunque non penalizza, gli USA. Non a caso, è nella UE che sono stati sequestrati i due terzi dei capitali russi (200 miliardi di Euro) mentre tra USA, GB e Canada il totale dei sequestri non supera i 5 miliardi. Le conseguenze negative di una siffatta operazione, dunque, ricadrebbero tutte su Bruxelles. Vediamo quali.

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