[SinistraInRete] Giacomo Gabellini: La Georgia in bilico

Rassegna 22/05/2024

Giacomo Gabellini: La Georgia in bilico

lantidiplomatico

La Georgia in bilico

di Giacomo Gabellini

720x410c50mokyvjche.jpgNella seconda metà degli anni ’90, l’allora presidente georgiano Edvard Ševardnadze attuò una politica di apertura alle agenzie straniere destinata a condizionare profondamente gli orientamenti politici ed economici del Paese. Al punto che, nell’arco di un trentennio scarso, la Georgia – popolata da poco più di tre milioni di abitanti – è arrivata ad annoverare oltre 25.000 Organizzazioni Non Governative (Ong) in il cui bilancio dipende pressoché integralmente dai finanziamenti erogati dai grandi donatori occidentali sia pubblici che privati. I quali, oltre ai fondi, garantiscono accesso alle ambasciate e più in generale agli uffici di rappresentanza statunitensi ed europei, assicurando alle Ong notevole una influenza politica decisiva ma svincolata da qualsiasi responsabilità nei confronti dei cittadini.

A partire dal 2003, sulla scia della cosiddetta Rivoluzione delle Rose guidata da Mikheil Saakašvili, avvocato e ministro della Giustizia sotto Ševardnadze formatosi presso la Columbia University e la George Washington University, decine di professionisti alle dipendenze delle principali Ong cominciarono ad assumere rapidamente il controllo del governo e della macchina statale, colonizzando segmenti cruciali del comparto pubblico quali sanità, istruzione e giustizia e definendo gli indirizzi in materia di sviluppo del settore privato. Di conseguenza, la Georgia è andata trasformandosi in una sorta di laboratorio deputato alla sperimentazione dei progetti di riforma concepiti all’estero, finanziati da fondi stranieri e appaltati alle Ong locali. Come evidenziano le specialiste Almut Rochowanski e Sopo Japaridze, «la situazione è in pratica più o meno questa: un’importante agenzia di aiuti allo sviluppo o un finanziatore internazionale, ad esempio l’Usaid, la Commissione Europea o la Banca Mondiale, ha ideato un nuovo modello per la riforma dell’istruzione, che ora prevede di implementare non solo in Georgia, ma in genere in tutta una serie di Paesi.

Leggi tutto

Eros Barone: La guerra alla luce della teoria marxista

sinistra 

La guerra alla luce della teoria marxista

di Eros Barone

trotskismo oggi.jpgLa guerra – riguardata nella lunga prospettiva – rappresenta un organo esecutivo acceleratore (ma talvolta è anche un freno) del generale sviluppo economico-sociale. Il ruolo attivo di questo complesso nel quadro della totalità sociale, nella interazione con lo sviluppo economico, lo si riscontra nel fatto che le conseguenze di una vittoria o di una sconfitta possono modificare il cammino dell’economia in generale per un periodo più o meno lungo. Ma che l’economia costituisca il momento soverchiante, qui appare con nettezza ancora maggiore che nella lotta di classe.

György Lukács, Ontologia dell’essere sociale, vol. II, trad. it., Roma 1981, p. 248.

1. La guerra come forma del lavoro sociale

La prima domanda che occorre porsi per definire la guerra (qui intesa nella sua accezione moderna e contemporanea) riguarda la natura generale e reale della guerra, interpretata non in senso figurato o nelle sue espressioni più generiche di lotta o conflitto o conseguenza di decisioni umane o di reazioni emotive da parte di singoli uomini o di interi popoli. Così, per rispondere a questa domanda si potrebbe partire da un raffronto tra il processo bellico e il processo lavorativo, cercando di porre in luce la somiglianza e, al tempo stesso, la differenza tra i due tipi di processo. In altri termini, la domanda che ora va posta è la seguente: è possibile considerare la guerra come una forma di lavoro? 1

«In primo luogo il lavoro – scrive Marx nel Capitale – è un processo che si svolge fra l’uomo e la natura, nel quale l’uomo, per mezzo della propria azione, media, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura». 2

Leggi tutto

Fosco Giannini: Speciale Assemblea Nazionale Aperta – 11 Maggio 2024

futurasocieta.png

Speciale Assemblea Nazionale Aperta – 11 Maggio 2024

Sintesi delle conclusioni

di Fosco Giannini

photo 2024 05 13 09 42 35 1Il significato di liturgia non è quello che la parola ha assunto nel tempo, e cioè una sorta di atto dovuto e retorico. No: l’antico significato greco di “liturgia” rimanda al concetto di “azione per il popolo”, tributo alla verità. E non è dunque col senso di una vuota magniloquenza, ma con un atto liturgico greco di verità che oggi, a nome del Movimento per la Rinascita Comunista, voglio ringraziare tutte le compagne e i compagni che hanno avuto la forza, la determinazione di intraprendere lunghi, pesanti e costosissimi viaggi – da Lampedusa, Udine, Padova, Reggio Calabria, Cosenza, Ancona, Torino, Catania, Milano e da tanti altri territori – per giungere sino a qui, a Roma, al Teatro Flavio, per la nostra Assemblea Nazionale. Al di là del successo politico della nostra Assemblea, è questo dato di sacrificio e piena adesione dei dirigenti e dei militanti al progetto politico del MpRC che rafforza la nostra speranza e il nostro intento di proseguire l’azione e la lotta per l’unità dei comunisti e il rilancio, in Italia, di un più forte soggetto comunista!

Vi ringraziamo uno a uno, una a una, cari compagni e care compagne del MpRC!

Come ringraziamo i partiti comunisti del mondo, le forze antimperialiste, l’Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia che hanno inviato i loro preziosi saluti alla nostra Assemblea; l’Ambasciatrice di Cuba, che è intervenuta durante i nostri lavori; l’Ambasciatrice della Bolivia, che ha presenziato al dibattito; le diverse forze palestinesi che hanno inviato alla nostra Assemblea gli auguri di buon lavoro; la compagna Isa Maya, responsabile dei giovani palestinesi di Roma, che parlando col cuore in mano ha fatto alzare in piedi tutta l’Assemblea con le sue parole piene di coraggio, passione e determinazione per la lotta di liberazione del suo popolo, del popolo palestinese!

Leggi tutto

Alessio Galluppi: L’immigrato, il razzismo e la Palestina

lacausalitadelmoto

L’immigrato, il razzismo e la Palestina

Un giorno qualunque nella vita di Seif Bensouibat

di Alessio Galluppi

La vicenda di Seif Bensouibat, prelevato da casa dalla Polizia per una formalità, una notifica da ritirare in commissariato e poi da lì rinchiuso nel CPR di Ponte Galeria, è la sintesi del rapporto dell’Occidente e dell’Italia verso i paesi e i popoli dell’Africa e del Medio Oriente, ovvero l’altra faccia nascosta della Luna, la dinamica sociale interna determinata dal colonialismo e dalla rapina imperialista.

Seif, immigrato algerino, da dieci anni in Italia con regolare permesso di soggiorno per rifugiati, “integrato” e occupato come insegnante in un liceo privato francese di Roma, il Chateaubriand, in sostanza lo stereotipo dell’immigrato “buono”, “onesto” e “laborioso”, vede distrutta di un colpo la sua vita, perché colpevole di avere esternato il suo sdegno di essere umano verso il genocidio del popolo palestinese. Così, a febbraio, l’istituto scolastico prima lo ha denunciato per l’oltraggio verso Israele e gli Stati Occidentali all’Ambasciata francese, che ha notificato alla Digos e agli organi di polizia italiana il suo caso: “ecco qui il pericoloso terrorista”. La vicenda apparirebbe assurda se non si inquadra in che consiste l’ambivalenza del rapporto dei paesi imperialisti verso i paesi dominati e sfruttati e il momento storico che stiamo attraversando e vivendo in diretta.

Leggi tutto

Chris Hedges: I carnefici volontari di Israele

lantidiplomatico

I carnefici volontari di Israele

di Chris Hedges* – Scheerpost

Centinaia di migliaia di persone sono costrette a fuggire, ancora una volta, dopo che più della metà della popolazione di Gaza si è rifugiata nella città di confine di Rafah. Questo fa parte del sadico libro dei giochi di Israele.

Scappate, chiedono gli israeliani, scappate per la vostra vita. Scappate da Rafah come siete scappati da Gaza City, come siete scappati da Jabalia, come siete scappati da Deir al-Balah, come siete scappati da Beit Hanoun, come siete scappati da Bani Suheila, come siete scappati da Khan Yunis. Scappate o vi uccideremo. Lanceremo bombe bunker da 2.000 libbre sui vostri accampamenti di tende. Vi cospargeremo di proiettili dai nostri droni dotati di mitragliatrici. Vi riempiremo di proiettili di artiglieria e di carri armati. Vi abbatteremo con i cecchini. Decimeremo le vostre tende, i vostri campi profughi, le vostre città e paesi, le vostre case, le vostre scuole, i vostri ospedali e i vostri impianti di depurazione dell’acqua. Faremo piovere morte dal cielo.

Scappate per salvarvi la vita. Ancora e ancora e ancora. Raccogliete le poche cose che vi sono rimaste. Coperte. Un paio di pentole. Qualche vestito. Non ci interessa quanto siete esausti, quanto siete affamati, quanto siete terrorizzati, quanto siete malati, quanto siete vecchi o giovani. Correte. Correte. Correte.

Leggi tutto

Alessandro Barile: Un dio nero un diavolo bianco

carmilla

Un dio nero un diavolo bianco

di Alessandro Barile

Luca Peretti; Un dio nero un diavolo bianco. Storia di un film non fatto tra Algeria, Eni e Sartre; Marsilio 2023; 208 pp. 19€

La battaglia di Algeri potrebbe essere il risultato di un film non fatto – Un dio nero un diavolo bianco – promosso dall’Eni e sceneggiato da Jean-Paul Sartre e Franco Solinas nel 1962. Lo studio di Luca Peretti, storico del cinema e del postcolonialismo – due matrici che qui giungono a fusione – segue le tracce di questo film, o documentario, non girato, di cui però ci resta una sceneggiatura che il libro riporta nella sua seconda parte. Ricostruendo le vicende di questa opera mai compiuta (più che incompiuta), Peretti favorisce letture laterali del secondo Novecento italiano. Il ruolo dell’Eni e quello dell’Italia nella guerra fredda, il rapporto tra il nostro paese e le lotte anticoloniali, Enrico Mattei e il Pci, Sartre e l’Oas: molti sono i protagonisti che si muovono ai lati del film, che rendono interessante la sua storia, che spiegano il suo fallimento ma anche la sua carica politico-culturale, che si riverserà nel capolavoro di Pontecorvo.

La storia dei rapporti tra l’Algeria e l’Italia è sintomatica della relazione irrisolta tra il nostro paese e la questione coloniale. A un certo punto, l’intera cultura del paese, e con essa la politica a ogni livello, persino governativo, simpatizza con la causa algerina, la sostiene idealmente e a volte concretamente.

Leggi tutto

Prabhat Patnaik: La crisi del liberalismo

resistenze1 

La crisi del liberalismo

di Prabhat Patnaik

Ogni modello della prassi politica è influenzato da una filosofia politica che analizza il mondo che ci circonda e, in epoca moderna, soprattutto le sue caratteristiche economiche. Sulla base di questo presupposto, la specifica filosofia politica stabilisce gli obiettivi per i quali si deve lottare e la prassi politica da essa ispirata porta avanti questa lotta. L’obiettivo può essere difficile da raggiungere, più difficile in certi contesti che in altri, e questa difficoltà può rappresentare un ostacolo per la prassi politica; ma ciò non costituisce una crisi per quella filosofia politica. La pura e semplice difficoltà di raggiungere un obiettivo non costituisce una crisi. Una crisi di una filosofia politica si verifica quando essa ha una contraddizione interna, quando l’obiettivo che propone è logicamente in conflitto con qualche altra caratteristica in cui crede.

Molti potrebbero sostenere che l’obiettivo del socialismo proposto dalla filosofia politica del marxismo sia diventato, nel contesto attuale, un po’ più difficile da raggiungere; ma questo, pur spiegando l’attuale indebolimento della sinistra, non costituisce una crisi per il marxismo.

Leggi tutto

Enrico Tomaselli: Bollire l’orso

giubberosse

Bollire l’orso

di Enrico Tomaselli

photo 2024 04 05 10 46 23.jpgMentre nel corso dei primi due anni della guerra ucraina, il palmares del bellicismo era quasi equamente diviso tra USA e UK, in tempi più recenti questo è stato rivendicato da Macron. Le ragioni sono svariate, e spaziano dalla grande difficoltà in cui si trova oggi la Francia all’illusione di poter profittare della crisi tedesca per assumere la leadership europea, al nanismo politico del suo presidente. Ma la ragione di fondo è che le leadership europee, quasi unanimemente, si sono sostanzialmente rassegnate a eseguire il compito lasciato dagli Stati Uniti: assumersi l’onere del conflitto a est, sostenendo Kiev anche oltre l’ultimo ucraino, se necessario.

Anche qui, le ragioni per cui gli europei si sono convinti di non potersi sottrarre a tale incarico sono molteplici, e ne ho scritto altre volte. Quel che conta comprendere è come pensano di farlo, quando pensano di farlo, e ovviamente se davvero pensano di poterlo fare.

A giudicare da come si stanno intensificando le dichiarazioni interventiste, sembrerebbe che la scadenza non è poi così lontana; probabilmente, nelle segreterie europee si immagina di avviare una fase operativa quantomeno dopo le elezioni americane – anche per avere un quadro più chiaro in merito agli orientamenti della Casa Bianca, e alle sue tempistiche di sganciamento. Al tempo stesso, l’evoluzione sul campo di battaglia non sembra molto compatibile con queste ottimistiche previsioni: l’arrivo della bella stagione ha già rilanciato l’iniziativa russa lungo tutta la linea del fronte, e le carenze strutturali dell’esercito ucraino stanno venendo al pettine. Gli avvenimenti, quindi, potrebbero subire un’accelerazione.

Leggi tutto

Roberto Iannuzzi: Gaza: una catastrofe che può tradursi nella nemesi di USA e Israele

intelligence for the people

Gaza: una catastrofe che può tradursi nella nemesi di USA e Israele

di Roberto Iannuzzi

L’ipotesi di un protettorato neocoloniale prende contraddittoriamente forma, ma il vuoto scavato da Washington e Tel Aviv nella regione rischia di trasformarlo in un disastroso fallimento

3a71b783 26d9 4296 a6b9 81ed0d6d4b51
2048x1365L’inizio dell’offensiva israeliana a Rafah apre una nuova tragica pagina nel catastrofico conflitto di Gaza che si protrae ormai da più di 7 mesi. L’offensiva accelera nuovamente uno sterminio che molti hanno definito un genocidio in atto.

Intanto, i rinnovati dissidi fra l’amministrazione Biden e il governo Netanyahu, finora non tali da provocare una vera rottura ma comunque sintomo di un malessere fra i due alleati, sono indicativi del vicolo cieco strategico in cui sia Washington che Tel Aviv stanno sprofondando.

Un possibile futuro assetto di Gaza sta faticosamente emergendo, non per effetto di una pianificazione concertata da parte della Casa Bianca e dei vertici israeliani, ma del caotico e sanguinoso evolversi degli eventi.

Tale evoluzione vede i due alleati sempre più legati a doppio filo nella gestione di una crisi che li pone in crescente difficoltà, progressivamente isolati a livello regionale e internazionale al di fuori dell’Occidente.

I paesi arabi, per ora, sembrano restii a pagare il conto della ricostruzione, e ancor meno a prendere parte all’amministrazione di un’enclave nella quale Hamas è tutt’altro che debellato e Israele continuerà a intervenire militarmente ancora per lungo tempo. Ma questa posizione potrebbe cambiare in futuro.

Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha recentemente dichiarato in una conferenza stampa di essere in disaccordo con la prospettiva di istituire un governo militare israeliano a Gaza, sebbene le premesse per un simile scenario siano state poste.

L’infrastruttura della nuova occupazione

Leggi tutto

Luca Baiada: Una radiografia della storia mentre cammina

carmilla

Una radiografia della storia mentre cammina

di Luca Baiada

Domenico Gallo, Guerre, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda 2024, pp. 200, euro 16

Guerre 1.jpgUna guerra che a volte è sembrata quasi ad armi pari, in Ucraina; una strage che vuole sembrare una guerra, a Gaza. Hanno qualcosa in comune? Costringono a riflettere, le due direzioni tematiche di questo studio in presa diretta, fatto di articoli sulla stampa, interventi in convegni e inediti.

Forte della preparazione giuridica – l’autore è stato un magistrato con funzioni presidenziali in Cassazione – e di attenzione ai dati, Domenico Gallo confronta i fatti con le esigenze della condizione umana e con norme rigorose. Sono le garanzie della legalità internazionale e del diritto penale, violate in nome della ragion di Stato, della lotta al terrorismo, della sicurezza, della difesa, dell’identità.

Per un quadro generale. George Kennan, teorico del contenimento del blocco socialista, sul «New York Times» a febbraio 1997, indicò la decisione di espandere la Nato come il più grave errore del dopo guerra fredda. Due anni dopo, nel 1999, la Nato abbandonò il carattere di alleanza difensiva:

Con la scelta che gli Usa hanno imposto alla Nato nel luglio del 1997, il treno della storia è stato deviato su un altro binario, verso un percorso che ci ha sempre più velocemente allontanato dall’orizzonte del 1989 e alla fine è arrivato al capolinea il 24 febbraio 2022, data che simbolicamente rappresenta l’evento opposto e contrario a quello del 9 novembre 1989.

Ci sono rilievi più specifici. Si cita Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina (Fazi 2023), commentando:

La sciagurata avventura militare di Putin, che ha varcato il Rubicone la mattina del 24 febbraio 2022, [costituisce] una risposta del tutto prevedibile, e perciò prevenibile, a una trentennale storia di provocazioni alla Russia, cominciate durante la dissoluzione dell’Unione sovietica e proseguite, in un crescendo inarrestabile, fino all’inizio del conflitto attuale.

Leggi tutto

comidad: La NATO sempre dalla parte dell’amore

comidad

La NATO sempre dalla parte dell’amore

di comidad

Quasi tutti gli osservatori hanno notato come non sia casuale che la visita di Xi Jinping a Belgrado sia avvenuta in coincidenza con l’anniversario del bombardamento della NATO sulla capitale serba. In quella circostanza fu colpita anche l’ambasciata cinese, con alcune vittime tra gli addetti. Come si dice in gergo diplomatico, “la visita ha rafforzato la cooperazione economica tra i due paesi”, ma va considerata anche la cooperazione militare, che nel 2022 era già culminata nella fornitura a Belgrado di un sistema antimissile cinese. I sistemi difensivi degli altri sono percepiti giustamente da noi come una minaccia, dato che modificano i rapporti di forza; senza contare che volersi sottrarre alla pedagogia dei bombardamenti denota un po’ di arroganza da parte dei serbi.

Il bombardamento della NATO del 1999 è considerato un evento di svolta nell’evoluzione dell’alleanza euroamericana in chiave esplicitamente aggressiva. In realtà la NATO aveva cominciato a bombardare i serbi già quattro anni prima, nel 1995. In quel caso si trattava dei serbi di Bosnia, considerati dai media occidentali come i soli, o principali, responsabili dell’esasperazione della guerra civile nell’ex Jugoslavia, e addirittura di un genocidio nei confronti dei mussulmani bosniaci.

Leggi tutto

Jeffrey D. Sachs: La strategia di Israele destinata al fallimento

acropolis

La strategia di Israele destinata al fallimento

di Jeffrey D. Sachs

Abbiamo un ironico debito di gratitudine nei confronti dell’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan per aver promosso la causa dello Stato di Palestina alle Nazioni Unite. Pronunciando un discorso all’Assemblea Generale dell’ONU che è stato così sconsiderato, assurdo, volgare, offensivo, indegno e poco diplomatico, Erdan ha contribuito ad assicurare un voto sbilenco di 143 a 9 a favore dell’adesione della Palestina alle Nazioni Unite (gli altri si sono astenuti o non hanno votato). Ma soprattutto, Erdan ha contribuito a chiarire l’approccio tattico di Israele – e perché è destinato a fallire.

Consideriamo brevemente il contenuto del discorso di Erdan. Erdan ha affermato, in breve, che la Palestina è uguale a Hamas e Hamas è uguale al Reich nazista di Hitler. Erdan ha detto ai delegati delle Nazioni Unite che le loro nazioni sostengono uno Stato della Palestina perché “molti di voi odiano gli ebrei”. Poi ha stracciato la Carta delle Nazioni Unite sul podio, sostenendo che i delegati stavano facendo lo stesso votando per l’adesione della Palestina alle Nazioni Unite. Nel frattempo, lo stesso giorno del suo discorso e del voto dell’ONU, Israele stava radunando le sue forze per un altro massacro di civili innocenti a Rafah.

Il discorso di Erdan ha raggiunto il livello di odio velenoso e di assurdità.

Leggi tutto

Andrea Zhok: Nemo e l’Eurovision: la libertà come assenza di identità

sinistrach

Nemo e l’Eurovision: la libertà come assenza di identità

di Andrea Zhok

So che accadono cose infinitamente più importanti e gravi nel mondo, ma mi permetto una riflessione della domenica.

Sono venuto a sapere che si è tenuta una competizione canora chiamata “Eurovision”.

Non mi produrrò in una reprimenda verso gli spettatori, perché, dalle immagini che ho visto circolare, chi l’ha visto è già stato punito abbastanza, e non è il caso di infierire.

Scopro però anche che avrebbe vinto un tale Nemo, che si fa fotografare con i vestitini delle bambole addosso e gioca tutte le sue carte di talento canoro sull’ennesima eccitante “provocazione” di essere fluido (mi si è addormentato persino il braccio mentre scrivevo).

Ora, il signore / la signorina / l’ente perspirante (non mi sbilancio, barrate voi la casella appropriata) pare uno con le idee davvero chiare. E qui non scherzo.

Intervistato dice infatti: “Rendermi conto della mia identità mi ha reso libero.”

E qual è questa identità?

Lo dice lui stesso, ovviamente: Nemo = Nessuno (in latino).

Leggi tutto

Antropolog* per la Palestina: appello pubblico alle istituzioni e alle università

manifesto

Antropolog* per la Palestina: appello pubblico alle istituzioni e alle università

***

L’appello. Docenti e ricercatori e ricercatrici chiedono all’Italia e alle università l’interruzione di ogni forma di collaborazione con istituzioni e aziende israeliane impegnate nella colonizzazione e la militarizzazione israeliane: «Lo stato di Israele e la sua ricerca accademica costituiscono oggi un minaccioso incubatore di tecnologie di anti-cittadinanza e militarizzazione delle frontiere e della società nel mondo intero»

Nel momento in cui, da oltre sette mesi, si susseguono senza sosta violenze atroci ad opera dell’esercito israeliano in un lembo di terra massacrato da decenni; nella consapevolezza che la sofferenza della popolazione civile nella Striscia di Gaza si accompagna a soprusi, arresti sommari, torture, distruzioni, accaparramento di terre e abitazioni anche in altre aree dei Territori occupati della Palestina; al cospetto dell’ennesimo trasferimento forzato di centinaia di migliaia di persone da Rafah, fino a qualche settimana fa ancora considerata “zona sicura”, verso luoghi senza sbocco e strade ingombre di macerie, assistiamo impotenti alla confusione di un intero popolo, preso da smarrimento e disperazione di fronte al proprio genocidio. L’ostinazione delle palestinesi e dei palestinesi a resistere, nonostante tutto, ci spinge a levare alta la nostra protesta di fronte alle politiche di morte dello Stato di Israele e alle molteplici complicità dei suoi alleati.

Leggi tutto

 

Sharing - Condividi