Rassegna 09/03/2025
Fulvio Grimaldi: “Eurogermania” scassata ma armata: così la Bundeswehr ritorna Wehrmacht
“Eurogermania” scassata ma armata: così la Bundeswehr ritorna Wehrmacht
di Fulvio Grimaldi
Se ne sono dette di tutte sulle elezioni tedesche. Perlopiù a partire da un presupposto dato come marmoreo e perenne. Qui si prova a uscire un po’ dal coro e non me ne abbia a male il lettore.
Sarà perché ho un antenato francese, il Capitano Pierre François De Gerbaulet che, scampato alla Notte di San Bartolomeo e alla strage degli ugonotti ordinata da Carlo IX, si rifugia in Germania, Vestfalia, e i suoi discendenti vi rimangono fino ai giorni nostri. Sarà perché ho passato la parte più cruda della guerra in Germania, da ragazzino quasi adolescente, e vi ho anche sparato contro gli angloamericani. Peraltro senza prenderci. E non mi è venuto neanche difficile, dopo aver visto a Germania ormai rasa al suolo, a Francoforte, Colonia, Coblenza, svuotare i palazzi dei loro abitanti a forza del fosforo di Churchill e Roosevelt. O dopo aver raccolto un mio compagno di classe, sfollato dalla Ruhr incenerita, sventrato dalle mitragliatrici degli Spitfire.
Sarà perché a Monaco e a Colonia, con Thomas Mann, ho studiato Germanistica… Ma, pur guardando il mondo, e agendovi, da sinistra estrema, non concordo con quasi nessuno degli analisti che della Germania si dicono esperti (escluso Vladimiro Giacché). Tanto meno ora, viste le valutazioni che si vanno facendo delle recenti elezioni.
Sarà anche perché sono pochi i nostri storici e analisti che concentrano le loro attenzioni sulla Germania. Preferiscono Francia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone. Forse perché non abbiamo ancora metabolizzato del tutto il risentimento covato per come ci avevano ridotto i barbari. E poi gli imperatori del Sacro Romano Impero.
Al pur ottimo liceo che ho frequentato, ci parlavano di Montaigne, Hugo, Voltaire, un po’ di Fitzgerald, un accenno a Joyce. Mai una parola su Hoelderlin, Heine, Kleist. Un fugace accenno a Goethe e al suo Faust. E pensare che i germanofoni, più ancora degli inglesi, hanno rivolto a noi la loro massima passione per l’esplorazione storica: Theodor Mommsen su Roma e il suo diritto, Jacob Burckhardt e il Rinascimento, Ferdinand Gregorovius e il nostro Medioevo, lo stesso Goethe…
Carla Filosa: Sovrastare il sovrastato
Sovrastare il sovrastato
di Carla Filosa
L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro. Gli oppressori si fondano su diecimila anni. La violenza garantisce: com’è resterà. Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda. E sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio. Ma fra gli oppressi molti dicono ora. Quel che vogliamo non verrà mai. Chi è ancora vivo non dica: mai. Quel che è sicuro non è sicuro. Com’è così non resterà. Quando chi comanda avrà parlato Parleranno i comandati. Chi osa dire: mai? A chi si deve se dura l’oppressione? A noi. A chi si deve, se sarà spezzata?Sempre a noi. Chi viene abbattuto, si alzi! Chi è perduto, combatta! Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare? Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani E il mai diventa: oggi!
Bertolt Brecht, “Lode della dialettica”.
Non spaventi subito il ricorso, qui sotto proposto, a un recupero storico di ciò che sta accadendo in questo presente e che forse riguarderà anche un prossimo futuro. L’obiettivo è solo quello di collocare, senza l’emotività e lo sconcerto che caratterizza l’attualità (il video farlocco “Trump Gaza”, per esempio), una comprensione che sappia diluire le apparenti “novità” nel percorso lento e continuo che invece ha preordinato, in questa fase più favorevole, il consolidarsi di vecchi rapporti di forza trasferitisi soprattutto in moderne tecnologie. L’esteriore “tirannide” trumpiana può essere sciolta da un connotato politico preoccupante, quando, al contrario, se ne veda una sorta di mimetismo per il solito ricorso al protezionismo, alternato sempre alla libera circolazione poi di merci e capitali. Inoltre, la brutalità degli insulti alle persone da parte del presidente Usa, è solo espressione del rapporto di capitale che implica la rozzezza dell’arbitrio del potere, mai mancato, intento a svuotare di contenuto strutturale ogni relazione estrinseca, “differente” o “oppositoria”. Le offensive bordate di pochi giorni fa all’indirizzo di Zelensky, ad esempio, possono essere lette non solo come il passo più breve per conquistare appetibili terre rare, ma anche con la sapienza cinese che avverte che “se non si è al tavolo si è nel menu”.
Vai al corteo dell’8 marzo?
Vai al corteo dell’8 marzo?
Ecco un’utile lettura!
a cura di Daniela Danna
Lettera aperta a chi manifesterà l’8 marzo 2025.
L’8 marzo accomuna da più di un secolo chi vuole la libertà delle donne, quindi ci sentiamo coinvolte in questa data. Da alcuni anni, tuttavia, proviamo sconcerto per l’uso di parole neutre a base di asterischi: come può essere celebrata la giornata delle donne, se si rifiuta la parola “donna”? E l’estetica truce dei cortei, con i fumogeni e a volto coperto, non fa pensare al femminismo che è conflittuale, ma non violento. La rivoluzione delle donne è e rimane nonviolenta, fa leva sulla presa di coscienza soggettiva e sul partire da sé.
In Italia i temi dell’8 marzo ormai classificano l’umanità in base al grado di oppressione. Può sembrare un modo solidale di fare giustizia, di non lasciare indietro nessuno e di dare priorità ai bisogni più gravi, ma così si ricalcano conflitti che oppongono storicamente tra loro gruppi di uomini, non si mettono al centro le donne. Tutte siamo state educate ai valori universali che fanno apparire insufficiente occuparsi di una parte invece che di tutti e siamo state abituate a mettere gli altri prima di noi: sarà questo che fa considerare riduttivo il femminismo se non si fonde nelle lotte a favore di altri? Si propone allora un femminismo del 99% in marcia contro l’1% dei privilegiati, ma in questo magma proprio le donne rischiano di scomparire.
In questa Lettera aperta mettiamo a fuoco alcuni concetti per aprire una discussione, da tempo soffocata.
Donna
Monique Wittig definiva “donna” l’adulta destinata alla relazione con l’uomo, accuditiva e subalterna, madre dei figli di lui, e concludeva provocatoriamente che le lesbiche non sono donne, ma non intendeva dire che le lesbiche sono trans, bensì che si sottraevano a quanto previsto per loro dal patto sociale. Noi definiamo donna “un’adulta umana di sesso femminile”: essere donna non è un sentimento, ma un dato di realtà.
Andrea Zhok: “Amiamo la Guerra”
“Amiamo la Guerra”
di Andrea Zhok
Nel primo volume dei “Quaderni dal carcere” Gramsci dedica un’ampia e giustamente celebre analisi alla natura del ceto intellettuale e della loro funzione. Egli scrive:
“Gli intellettuali hanno la funzione di organizzare l’egemonia sociale di un gruppo e il suo dominio statale, cioè il consenso dato dal prestigio della funzione nel mondo produttivo e l’apparato di coercizione […] per quei momenti di crisi di comando e di direzione in cui il consenso spontaneo subisce una crisi.”
Se uno studente volesse cercare un esempio preclaro di questa funzione degli intellettuali nell’Italia contemporanea non potrebbe trovare esempio migliore dell’articolo a firma Antonio Scurati, comparso oggi sulle pagine di Repubblica, dal titolo: “Dove sono oramai i guerrieri d’Europa?” (con la parola “guerrieri” sottolineata in corsivo).
Il testo è ammirevole, perché il compito assegnato dai committenti era indubbiamente di straordinaria complessità.
La situazione cui l’intellettuale è chiamato a porre mano è critica.
Per ragioni inconfessabili, la catena di comando europea oggi desidera far passare un drenaggio di risorse pubbliche “monstre” nel nome della sicurezza e del riarmo.
Per quanto ottenebrati da reality show, talk show e sostanze psicotrope – in ordine decrescente di nocività – i cittadini europei paiono manifestare alcuni sensi di inquietudine al profilarsi di questo colossale cetriolo in volo radente.
Norberto Fragiacomo: La deriva solipsistica di un Occidente allo sbando
La deriva solipsistica di un Occidente allo sbando
di Norberto Fragiacomo
La passionalità e la vis polemica che lo caratterizzano fanno di Massimo Cacciari un eccellente relatore quando il dibattito verte su temi filosofici, ma nocciono non poco alla sua lucidità espositiva nei casi (assai frequenti) in cui è chiamato a esprimersi su questioni politiche.
In un recente confronto social con Di Battista sugli sviluppi della vicenda ucraina, all’indomani dello show andato in scena allo studio ovale, il filosofo veneto ha riconosciuto che l’Occidente a guida americana è il principale responsabile dello scoppio delle ostilità e della loro prosecuzione, salvo poi affermare (vado a memoria, ma il senso è questo) che “la pace andava fatta subito per non lasciar vincere Putin”, che invece sta vincendo ma resta “il peggiore”, perché in patria ha perseguitato gli oppositori ecc. ecc.
È almeno dai tempi di Kant che la logica viene considerata una disciplina minore, quasi un’ancella della filosofia, ma la sua assenza in un ragionamento desta comunque stupore, specie se a “perdere il filo” è uno stimato intellettuale che – oltretutto – non va a caccia di facile consenso né di incarichi. Il fatto che il Presidente russo sia o meno un despota è nel caso di specie del tutto irrilevante, anche se il sostegno di cui gode da parte della cittadinanza sembra suggerire che egli faccia affidamento più sulla capacità di persuasione e sulla “bontà” del proprio operato che sulla paura suscitata: chi giudica una controversia deve basarsi sui fatti per distribuire ragioni e torti, non lasciarsi traviare da simpatie e preconcetti moralistici.
OttolinaTV: I progressisti scendono in piazza per difendere il diritto a scatenare la terza guerra mondiale
I progressisti scendono in piazza per difendere il diritto a scatenare la terza guerra mondiale
di OttolinaTV
“Sii forte”; “Sii coraggioso”; “Non avere paura”: dopo aver assistito alla scazzottata nello Studio Ovale dell’altro giorno, i leader europei volevano in tutti i modi fare in modo che il compagno Zelensky sentisse il loro sostegno incondizionato e lo stimolo giusto per non mollare l’osso. E cosa c’è di meglio che un bel messaggio motivazionale? Beh, chiaro: 4 messaggi motivazionali, da Dombrovskis a Costa, dalla Metsola alla Borderline, tutti uguali; un messaggio in codice?
Zele’, guarda, ti vogliamo bene, ma da quando c’hanno tolto l’USAID a fondi per la comunicazione stiamo messi maluccio e il massimo che ci possiamo permettere è un copincolla: figurati se ce n’abbiamo abbastanza per permetterti di continuare a fare la guerra a Putin; però oh, te tieni duro, eh? D’altronde, “la tua dignità onora il coraggio del popolo ucraino”; “non sarai mai solo, caro presidente”, tanto, contro le pale e i chip delle lavatrici basta il pensiero, no? Intanto, caro Zele, ti dispiace se strumentalizzo un altro po’ il martirio del popolo ucraino per farmi un po’ di cazzi miei? Perché sai, sono 20 anni che qui cerchiamo il modo per armarci fino ai denti, ma i cittadini europei sono dei rompicoglioni che non ti puoi immaginare: siccome l’economia va di merda da almeno 15 anni e non facciamo altro che tagliare i servizi sociali essenziali anno dopo anno, ci stressano che dicono che prima di spendere un altro 2% di PIL per comprare qualche ferrovecchio di qualche azienda militare statunitense decotta, tipo quel cesso a pedali dell’F35, ci sarebbero altre priorità, però ora con questa puttanata che, invadendo l’Ucraina, Putin ha dimostrato di essere una minaccia per tutta l’Europa, forse li stiamo convincendo che è urgente e che non si può fare altrimenti.
Alessandro Avvisato: L’Europa vuole riarmarsi. Londra prepara una “coalizione di volenterosi” per sostegno militare a Kiev
L’Europa vuole riarmarsi. Londra prepara una “coalizione di volenterosi” per sostegno militare a Kiev
di Alessandro Avvisato
“L’Europa deve riarmarsi urgentemente”. Questo è quanto ha dichiarato la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, al termine del vertice tra una dozzina di paesi euroatlantici a Londra. La Von der Leyen ha sottolineato la necessità di rafforzare militarmente l’Ucraina con “garanzie di sicurezza complete” che ne sostengano le posizioni economica e militare. “Dobbiamo potenziare massicciamente le nostre difese”, ha aggiunto la presidente, annunciando che il 6 marzo la Commissione presenterà un piano su questo al Consiglio europeo.
“È fondamentale incrementare gli investimenti nella difesa per un periodo prolungato, per la sicurezza dell’Unione Europea nel contesto geostrategico in cui viviamo, dobbiamo prepararci al peggio”, ha affermato la presidente della Commissione europea confermando così come la corsa al riarmo sia ormai il dna dell’Europa che tanti decantano ancora – e del tutto arbitrariamente – come culla della pace e della civiltà.
I leader euroatlantici presenti a Londra hanno concordato di mantenere il flusso di aiuti militari all’Ucraina e di aumentare la pressione economica sulla Russia, ribadendo che Kiev dovrà essere parte integrante di qualsiasi negoziato di pace.
Il britannico Starmer, organizzatore del vertice di Londra, ha comunicato l’intenzione di formare “una coalizione di volenterosi” (formula usata da George W. Bush ai tempi della guerra in Iraq) per far rispettare un eventuale accordo di pace, con il Regno Unito pronto a giocare un ruolo di primo piano.
Alessandro Volpi: Trump può rappresentare veramente la fine del capitalismo?
Trump può rappresentare veramente la fine del capitalismo?
di Alessandro Volpi*
Una considerazione forse dai toni troppo perentori, di cui mi scuso in anticipo ma non saprei dirla in altro modo. Trump può rappresentare veramente la fine del capitalismo, l’autodistruzione.
Gli Stati Uniti hanno retto l’urto del mondo emergente, che hanno costruito, commettendo infiniti errori, con la globalizzazione, attraverso una combinazione di dominio finanziario, presenza militare e, soprattutto, con una narrazione liberale e democratica in grado di egemonizzare non solo le destre, ma anche gran parte delle sinistre occidentali. Questo modello ha generato una gigantesca bolla finanziaria che sorregge il Pil a stelle e strisce, ha attratto capitali da tutto il mondo, ha fatto sì che il dollaro fosse considerato la valuta più stabile, ha reso “accettabili” da una parte influente dell’opinione pubblica internazionale le peggiori guerre e ha mantenuto un equilibrio indispensabile con la Cina.
In altre parole, pur non essendo più la più grande potenza economica e pur vivendo profonde contraddizioni interne, gli Stati Uniti hanno garantito la vita del capitalismo. Ora è arrivato Trump che ha messo subito in tensione la finanza con l’appoggio a figure come Musk, pretendendo un esplicito vassallaggio dei super ricchi big tech, ha dichiarato apertamente che il capitalismo è totalmente di destra, ha rotto l’artificio retorico del capitalismo liberale e ha definito un sistema di relazioni internazionali costruito sulla ricerca di un primato retorico fatto di costanti minacce; magari minacce verbali, ma certamente in grado di generare una profonda instabilità in un sistema, come accennato, già molto complesso.
Lorenzo Mizzau: «La vita privata, è privata di che?»
«La vita privata, è privata di che?»
Giorgio Agamben e la forma-di-vita
di Lorenzo Mizzau
Lorenzo Mizzau riflette sul libro di Evelina Praino, L’uso di sé (Orthotes 2023) che ripercorre l’opera di Agamben cercando di individuare una exit strategy etica dal neoliberalismo attraverso il concetto di forma-di-vita
Perché il fine sia l’origine, la nascita di una comunità-specie realizzata, la nascita continua della presenza coerente, l’affermazione dell’essere inoggettivo, la soggettività vivente al di là dell’avere. Dell’avere un Io, dell’avere una madre, un padre, dell’avere dei figli, dell’aversi, del possedere.
Affinché abbia fine la perdita, infine.
Giorgio Cesarano
Talvolta un istinto sicuro ci mette di fronte a una circostanza brutale: la vita ci sfugge tra le mani. O, meglio, ci è già sfuggita. Ha lasciato il suo luogo proprio, o, forse, è stata trascinata via.
Lo testimonia l’imbarazzo che proviamo quando, alla richiesta di un vecchio amico di metterlo al corrente dei fatti salienti della nostra vita recente, non possiamo che rispondere con un piatto resoconto, in tutto e per tutto simile a un CV. In occasioni simili, nasce in noi il sospetto che il curriculum vitae (letteralmente: il corso-di-vita) abbia sostituito in ogni aspetto il corso della nostra vita.
Ma non è solo la nostra vita a sfuggirci: altrettanto sfuggente, in pieno capitalismo cibernetico, è la vita degli altri, la vita del mondo. Al punto che la FOMO, fear of missing out, la paura di rimanere tagliati fuori dal mondo e di perdersi l’essenziale, potrebbe oggi nominare il tratto centrale del soggetto neoliberale. Ciò che, nella FOMO, siamo terrorizzati di mancare, è forse anzitutto l’appuntamento con noi stessi. Ma ciò significa che, nella FOMO, il soggetto neoliberale diventa qualcosa come il luogo di un appuntamento mancato: il luogo della vita che manca la vita, che si sottrae a sé – il luogo della vita privata. È qui che si palesa un’ambivalenza sottile: che rapporto c’è, infatti, tra la vita privata e la vita pubblica? Non è forse, la vita privata, ciò che rimane quando alla vita è sottratta la sua intrinseca qualità politica? Non è, forse, ogni vita privata, una vita mutilata, spogliata di sé – una nuda vita?
Michael Roberts: Il MAGA di Trump e la deregulation
Il MAGA di Trump e la deregulation
di Michael Roberts
A cura di Antonio Pagliarone
Trump considera gli Stati Uniti solo come una grande corporation capitalista di cui è amministratore delegato. Proprio come quando era il capo nello show televisivo The Apprentice, pensa di gestire un’azienda e quindi può assumere e licenziare persone a suo piacimento. Ha un consiglio di amministrazione che consiglia e/o esegue i suoi ordini (gli oligarchi americani e gli ex presentatori televisivi). Ma le istituzioni dello stato sono un ostacolo. Quindi il Congresso, i tribunali, i governi statali ecc. devono essere ignorati e/o gli si deve dire di eseguire le istruzioni dell’amministratore delegato. Come un buon (sic) capitalista, Trump vuole liberare la plc statunitense da qualsiasi vincolo nel realizzare profitti. Per Trump, la corporation e i suoi azionisti, hanno come unico obiettivo i profitti, non le esigenze della società in generale, né salari più alti per i dipendenti della corporation di Trump. Ciò significa niente più spese inutili per mitigare il riscaldamento globale ed evitare danni all’ambiente. La corporation statunitense dovrebbe semplicemente realizzare più profitti e non preoccuparsi di tali “esternalità”. Come l’agente immobiliare che è, Trump pensa che il modo per aumentare i profitti della sua azienda sia fare accordi per acquisire altre aziende o fare accordi su prezzi e costi per garantire i massimi profitti per la sua azienda. Come ogni grande azienda, Trump non vuole che nessun concorrente guadagni quote di mercato a sue spese. Quindi vuole aumentare i costi per le corporate nazionali rivali, come Europa, Canada e Cina. Lo sta facendo aumentando le tariffe sulle loro esportazioni. Sta anche cercando di convincere altre corporate meno potenti a concordare termini per acquisire più beni e servizi delle imprese statunitensi (aziende sanitarie, cibo OGM ecc.) negli accordi commerciali (ad esempio il Regno Unito). E mira ad aumentare gli investimenti delle imprese statunitensi in settori redditizi come la produzione di combustibili fossili (Alaska, fratturazione idraulica, trivellazione), tecnologia proprietaria (Nvidia, AI) e, soprattutto, nel settore immobiliare (Groenlandia, Panama, Canada Gaza).
Alfonso Gianni: Il nichilismo di Trump
Il nichilismo di Trump
di Alfonso Gianni
Nel cercare di analizzare cosa significhi la netta vittoria elettorale di Trump sia per il suo paese che per il resto del mondo, come è necessario fare, bisognerebbe in primo luogo sbarazzarsi, o almeno mettere da parte, alcune caratterizzazioni che sono state appiccicate al personaggio e che non ci sono d’aiuto per comprendere a fondo la natura del fenomeno. Quale quella di essere un avventurista incline alla violenza in ogni campo; di interpretare il suo ruolo come messianico; di adottare atteggiamenti e dichiarazioni a dir poco sopra le righe; di ostentare il suo corpo ferito in un’immagine ricercata e diventata iconica; di brutalizzare il suo stesso agire politico; o addirittura di essere poco più di un “comico naturale”. In particolare dovremmo essere noi, nativi e abitanti dell’italico stivale, a essere sufficientemente vaccinati da simili devianti interpretazioni, avendo assistito increduli – senza necessariamente rammentare le posture mussoliniane, riportate all’attenzione da ricostruzioni romanzate e filmiche – al nascere e allo svilupparsi del fenomeno, pur ben diverso, del berlusconismo e sapendo quanto ci sia costata l’altera sottovalutazione della sua fondata pericolosità, almeno al suo primo manifestarsi. Ma scorrendo anche autorevoli commenti offerti dal mainstream nostrano sembra riconfermarsi l’acuto detto secondo cui la storia è una ottima maestra, ma non ha scolari.
Intendiamoci non si può negare che The Donald, rispetto alla sua prima apparizione come presidente sulla scena della storia statunitense e quindi mondiale, abbia accentuato aggressività e decisionismo nelle sue parole e nei suoi atti. Anzi si possono persino iscrivere questi suoi comportamenti in una nuova categoria, che forse aiuta a comprendere meglio con chi abbiamo a che fare. Si è fin qui e tuttora usato nei confronti dei protagonisti della destra sparsi per più continenti, compreso il nostro, il termine “populismo” per delineare un distorto, ma non meno reale, rapporto con il popolo, basato su promesse demagogiche e sulla esaltazione di un decisionismo governativo rafforzato da un presidenzialismo nelle sue varie forme e accezioni, che lo trasformavano in un populismo autoritario.
Roberto Vivaldelli: “Segnalate i complottisti”: l’iniziativa tedesca che ricorda Orwell
“Segnalate i complottisti”: l’iniziativa tedesca che ricorda Orwell
di Roberto Vivaldelli
Ha preso il via, in Germania, un progetto che sembra uscito direttamente dalle pagine di 1984 di George Orwell: la Beratungskompass Verschwörungsdenken, una linea di assistenza nazionale dedicata a chi è “colpito” o “preoccupato” dal cosiddetto “pensiero cospirazionista”. Presentata come una soluzione per combattere disinformazione ed estremismo, questa iniziativa, finanziata dal ministero della Famiglia (BMFSFJ) e dal ministero dell’Interno (BMI), solleva interrogativi inquietanti su dove finisca il “sostegno alla democrazia” e dove inizi il controllo del pensiero. Il ministero della Verità, per l’appunto.
Il progetto tedesco che ricorda Orwell
Il progetto, attivo nell’ambito del programma federale “Demokratie leben!” dal marzo 2024, è gestito da enti come il Violence Prevention Network, dalla Fondazione Amadeu Antonio e dal modus – Zentrum für angewandte Deradikalisierungsforschung. Chiunque potrà contattare questo centro telefonicamente oppure online per ricevere una consulenza anonima. L’obiettivo dichiarato? Orientare chi cerca aiuto verso “offerte di consulenza adeguate” e, se necessario, indirizzarlo a strutture locali per un supporto più approfondito.
Antonio Castronovi: L’Europa s’è desta? O ha perso la testa?
L’Europa s’è desta? O ha perso la testa?
di Antonio Castronovi
“Quel che s’avanza è uno strano soldato”, vien dall’Occidente ma non è una “guardia rossa” che “mostra un martello e una falce incrociati sul petto”, ma una “guardia bianca” questa volta con l’emblema della UE che marcia per la terza volta alla conquista della Russia, dopo la guerra civile russa seguita alla Rivoluzione d’Ottobre e dopo l’operazione Barbarossa promossa dal Terzo Reich. Tutte finite tragicamente per gli aspiranti conquistatori. La postura guerrafondaia della UE che oggi si contrappone alla prospettiva di pacificazione avviata da Trump e Biden, si sta spingendo fino a rivendicare autonomia e indipendenza da Washington non per liberarsi da una servitù ereditata dalla fine della seconda guerra mondiale, ma per sottrarsi a un processo di pacificazione e di distensione nel continente europeo.
Mi viene spontanea allora una domanda: a quale Potere è legata la postura guerrafondaia antirussa della UE talmente sfrontata da sfidare lo stesso governo statunitense, che secondo la vulgata corrente dovrebbe essere il dominus indiscusso dell’Occidente e cui non si potrebbe disobbedire? E talmente arrogante da sfidare le due più grandi potenze nucleari del mondo nel continuare la guerra alla Russia fino alla sua sconfitta, rigettando la prospettiva di pacificazione che sembra accomunare i governi russo e statunitense?
Delle due l’una: o il governo statunitense è l’espressione massima dell’egemonismo imperialista e globalista occidentale e allora l’attuale postura dell’UE sarebbe incomprensibile, oppure il governo americano non ne è la guida effettiva, ma esso avrebbe altri ispiratori che condizionano lo stesso governo attraverso quello che viene comunemente definito come il Deep State.
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
La storia calpestata, dalle Foibe in poi
Alba Vastano intervista Eric Gobetti
Sulla questione delle Foibe si continua ad alterare la verità dei fatti accaduti. La giornata del Ricordo, che si celebra il 10 febbraio, non è mai stata l’occasione per fare luce sulla verità e sui veri artefici di quelle terribili violenze che hanno visto centinaia di vittime innocenti. Al contrario si continua a fare revisionismo storico, avallato dai discorsi istituzionali delle più alte cariche dello Stato.
Non è semplice far luce sul quel periodo senza conoscere la storia, quella vera, non contraffatta strumentalmente per far passare nell’opinione comune il nemico come vittima e viceversa. Ma chi è la vittima e chi il nemico nella triste storia delle Foibe? Eric Gobetti è uno storico, studioso del fascismo, della seconda guerra mondiale, della Resistenza e della storia della Jugoslavia nel Novecento. Ha scritto diversi saggi sulla storia del Novecento, soffermandosi, in particolare, sulle dinamiche dei fatti, sulle cause e sugli effetti, sulle vittime e sui carnefici delle Foibe. Ha visitato molteplici volte quei luoghi e vi ha fatto ricerche e cercato testimonianze per portare alla luce la verità.
Greg Godels: Perché la classe è importante
Perché la classe è importante
di Greg Godels
Dopo le ultime elezioni, i dirigenti del Partito Democratico erano stupiti che gli elettori, solitamente molto attenti all’economia, non avessero mostrato il giusto apprezzamento per il miracolo economico di Biden. Hanno citato i miliardi di dollari di denaro federale destinati alla crescita economica; hanno ripetuto cifre di crescita aggregata più robuste di quelle di altre economie avanzate; hanno mostrato che la spesa dei consumatori continuava a mostrare un vigore sorprendente; hanno notato che i redditi aggregati crescevano più velocemente dell’inflazione; e ci hanno ricordato i segni spesso citati dell’aumento del mercato azionario e del valore delle abitazioni.
Sconcertati dagli elettori che hanno ignorato la Bidenomics e anzi si sono lamentati dell’economia, gli esperti del Partito Democratico hanno dedotto che i cittadini sono semplicemente ignoranti dei fatti.
Oggi, forse più che mai, il mancato riconoscimento delle divisioni di classe sociale produce giudizi mal informati e arroganti come quelli che si sentono nei circoli del Partito Democratico. Sebbene i numeri aggregati raccontino una storia, non riescono a convincere del benessere economico delle classi e degli strati che compongono l’aggregato, anche se sono di gran lunga il segmento più grande di quell’aggregato. Potrebbe essere che la vittoria economica di Biden sia stata una vittoria per i più ricchi, i più generosamente compensati tra la popolazione statunitense, lasciando indietro la maggioranza dei cittadini (e degli elettori) statunitensi?