“La scomparsa dei fatti”

Dell’importanza del rispetto dei fatti nella lotta per l’abolizione della pena di morte.

 

Recenti fastidiosi avvenimenti mi fanno tornare su di un tema che dovrebbe essere caro ad ogni abolizionista, perché la lotta alla pena di morte non si fa con le frottole. In Italia passa di tutto, ma negli Stati Uniti il cazzeggio non è consentito e i dilettanti non sono graditi.

 

Premetto che nella pena di morte americana sbagliare è facile. Quel sistema giudiziario è grande e complicato: consta di 53 giurisdizioni ognuna delle quali ha il suo codice penale, quello di procedura penale, le sentenze delle sue corti e la sua corte suprema.[1] Chiunque ne scriva dovrebbe evitare il pressappochismo. Purtroppo l’Italia non brilla per le cautele accademiche dei sui intellettuali e i nostri testi sulla pena di morte americana sono infarciti di ridicole sciocchezze.

 

Anni fa qualcuno fece diventare 12 i giudici della Corte Suprema, quando anche Paolino Paperino sa che sono nove. C’è chi crede che le giurie decidano a maggioranza[2] mentre occorre l’unanimità e chi spiega il processo capitale americano e il suo tortuoso appello in uno scombussolato paragrafo:

“La procedura penale statunitense divide un processo per omicidio (o per qualsiasi altro reato capitale) in due fasi distinte. Nella prima fase (la sentenza) una giuria popolare decide se l’imputato è innocente o colpevole. Durante la seconda fase (la pena) la stessa giuria, un giudice, oppure una corte formata da 3 giudici (a seconda degli stati) valuta le circostanze aggravanti e attenuanti e decide la pena. Anche gli appelli sono divisi in due fasi: quelli su innocenza o colpevolezza e quelli sull’entità della pena.”[3]

 

Come sempre accade nel nostro paese gli strafalcioni sono pedissequamente riprodotti quasi con le stesse parole.[4]  Si copiano notizie vecchie di anni e si elargisce la cifra di 38 stati con la pena di morte, anche se sono diventati 33[5].

 

Ma quello che più urta il vecchio irritabile che sono diventato è la frottola ossessivamente ripetuta dei condannati uccisi e successivamente riabilitati grazie al test del DNA. Malauguratamente nessun condannato a morte è stato riabilitato dalla giustizia americana negli ultimi 100 anni, tantomeno grazie al DNA. Ve ne sono stati in Inghilterra, in Cina e l’anno scorso Chiang Kuo-ching a Taiwan, ma non in America.

 

Questa “ricerca del Santo Graal” non è utile al Movimento Abolizionista che si dovrebbe occupare di colpevoli e non di presunti innocenti, ma riconosco che è impossibile sottovalutare l’emozione causata da un innocente condannato, poco importa se al carcere o alla forca.

 

Ad ogni modo trovo insopportabile che si scriva impunemente che:

“Un’altra serie statistica sconvolgente riguarda gli errori giudiziari, identificati da quando è invalso l’uso sistematico degli esami del Dna per il riesame delle esecuzioni: tra i condannati a morte che sono finiti al patibolo negli ultimi 40 anni, ci sono 123 casi comprovati di innocenti. Postumi.” e che: “Duecento settanta condannati a morte negli ultimi 30 anni sono stati completamente esonerati grazie ai nuovi test del Dna condotti sui reperti forensi.”[6].

 

Nessuno dei quasi 1.300 uccisi a partire dal 1972 è stato riabilitato post mortem e, dei 140 condannati a morte usciti vivi dal braccio, sono 17 quelli che devono la libertà al test del DNA[7].

 

Sospetto che questa italianissima leggenda metropolitana sia nata dalla superficiale lettura di un articolo del settimanale inglese Economist[8] che ha spinto Antonio Gambino a scrivere, nel suo già molto criticabile libro[9], la frase da cui probabilmente ha avuto inizio la nostra storia:

“sempre negli Stati Uniti, tra il 1976 e il 1998, sono state giustiziate 75 persone che, in seguito, sono state ufficialmente riconosciute innocenti”.
Gambino capisce fischi per fiaschi giacché l’articolo si occupava di una convention di innocenti tenutasi a Chicago (Cook County, Illinois, a quel tempo nell’occhio del ciclone per i numerosi casi di malagiustizia), ma ha il merito, o l’ingenuità, di avere citato la sua fonte (cosa che i suoi imitatori si guarderanno bene dal fare).

 

Chi lesse il libro aveva la possibilità di scoprire l’errore, ma solo se avesse avuto il bene della curiosità scientifica. Ciò accade di rado e gli articolisti amano discettare di testi che non conoscono o che hanno letto in traduzione.

 

Ma torniamo a noi. Il DNA si aggiunse a questa leggenda qualche tempo dopo, quando si iniziò a parlare dei successi del Progetto Innocenti che utilizza il test del DNA: l’unica prova che, a fatica, costringe le autorità alla riapertura dei casi. Fu così che gli innocenti liberati divennero poveri morti riabilitati dalla scienza. Nessuno si prese la briga di conoscerne i nomi, come nessuno si interessò alle loro tragiche vicende. Eppure questo paese ha versato fiumi di inchiostro sui casi della Cooper, di Barnabei, O’Dell, Willingham, Troy Davis. Possibile che nessuno abbia voluto raccontare le storie di tanti innocenti? Eppure non sarebbe stata impresa ardua, bastava visitare il sito del Death Penalty Information Center[10] dove avrebbero conosciuto la solitaria vicenda di Roger Keith Coleman, il cui postumo test del DNA fu inutilmente ottenuto dopo dieci anni di furiose battaglie legali

 

Nella vulgata italiana le cifre cambiano e si contraddicono anche all’interno dello stesso testo[11] e non si capisce se gli innocenti uccisi siano 70 o 123. A nessuno viene in mente di citare le fonti, ma ormai sembra che a sbagliare siano quelli che considerano la lotta alla pena di morte una faccenda seria che non permette cialtronerie.

 

Claudio Giusti

Dedicato a Maria Giovanna Cortesi

 

 

30 aprile 1859

Il Governo Provvisorio Toscano abolisce la pena di morte

 

 

Dott. Claudio Giusti

http://www.astrangefruit.org/index.php/it/

http://www.astrangefruit.org/index.php/en/

http://www.osservatoriosullalegalita.org/special/penam.htm

Membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i Diritti, Claudio Giusti ha avuto il privilegio e l’onore di partecipare al primo congresso della sezione italiana di Amnesty International ed è stato uno dei fondatori della World Coalition Against The Death Penalty.


 


[2] Antonio Marchesi, La pena di morte, Laterza, 2004 pagina 69, non fa differenza fra Alabama, Florida e le altre giurisdizioni (mentre Forbice fa sparire la giuria, vedi nota 4) Per i complicati dettagli del sentencing vedi:
http://www.astrangefruit.org/index.php/it/risorse/732-the-american-death-penalty-sentencing

http://www.astrangefruit.org/index.php/it/risorse/729-giurie-e-pena-di-morte

 

[3] Nessuno Tocchi Caino, tutte le opere

 

[4] Aldo Forbice, I signori della morte, Sperling, 2002 p 50 e Assassini di stato, Garzanti, 2009 p 60 (i due libri sono sostanzialmente identici)

 

[5]Forbice, stesse pagine. Anche NTC fornisce la cifra di 38, salvo poi aggiungere nel corpo del testo gli stati che sono diventati abolizionisti.

 

[7] Watt Espy stimava che il 5% dei 19.000 uccisi dal 1608 fosse innocente. Robert Bohm, Deathquest, An Introduction to the Theory and Practice of Capital Punishment in the United States. 4th Edition,  Anderson, Cincinnati, 2012 p 213

 

[8] One in Seven wasn’t Guilty. Economist Nov 281998

 

[9] L’imperialismo dei diritti umani, Editori Riuniti, 2001, p 59

[11] Forbice p 49 e 69 del primo libro e 59 e 73 del secondo

 

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