“Rivolte colorate, metodo, nomi e cognomi”

Che si chiamino rivolte colorate o primavere arabe non vi è dubbio che si tratta di un accurato metodo di guerra non convenzionale dove la piazza, un tempo luogo d’incontro sociale, si trasforma nella letale arma del delitto. Bisogna anzitutto comprendere chi siano gli organizzatori delle rivolte colorate, metodo, nomi e cognomi, così da poterli riconoscere quando durante la prossima “rivolta” i media ne decanteranno le nobili azioni.

 

Rivolte colorate, metodo, nomi e cognomi

 

Che si chiamino rivolte colorate o primavere arabe non vi è dubbio che si tratta di un accurato metodo di guerra non convenzionale dove la piazza, un tempo luogo d’incontro sociale, si trasforma nella letale arma del delitto. Bisogna anzitutto comprendere chi siano gli organizzatori delle rivolte colorate, metodo, nomi e cognomi, così da poterli riconoscere quando durante la prossima “rivolta” i media ne decanteranno le nobili azioni.

Fino al ventesimo secolo per rimuovere e sostituire un sistema di potere da uno Stato sovrano era necessaria un’azione militare, la propaganda rappresentava soltanto un elemento accessorio, seppur di innegabile importanza per far accettare al popolo il nuovo governo. Oggi invece la propaganda diventa il metodo principale di forme più sofisticate, meno percettibili al grande pubblico, di “guerra non convenzionale” dove la piazza, un tempo luogo d’incontro sociale, si trasforma nella letale arma del delitto. Tale fenomeno prende il nome di “rivoluzione colorata” o “primavera araba” nei casi che riguardano Africa e Medio Oriente.

La tecnica è molto semplice, oggi può essere considerata una metodica di carattere quasi accademico. Essa prevede in una prima fase l’acquisto da parte del “destabilizzatore” e dei suoi affiliati di quote di proprietà di alcuni giornali e televisioni del paese bersaglio, sufficienti ad esercitare un influenza notevole nella linea editoriale degli stessi, in modo da raggiungere una massa critica di cittadini da (dis)informare sulla corruzione e la malafede del proprio governo. La seconda fase prevede la diffusione a macchia d’olio di ONG (organizzazioni non governative) le quali hanno come unico scopo quello di organizzare una manifestazione di piazza in una data prefissata, finalizzata a chiedere le dimissioni del governo. La manifestazione dovrà poi continuare per giorni finché il governo non cede. Qualsiasi azione repressiva esercitata dal governo sui manifestanti verrà amplificata dai canali d’informazione alimentando la rabbia della piazza stessa. Il nuovo governo è già pronto, composto da membri scelti precedentemente dal “destabilizzatore“, spesso politici locali di poco conto con grande voglia di far carriera, i quali appoggiano pubblicamente la manifestazione di piazza, e tale nuovo governo sarà insediato non appena quello vecchio cederà. Molte volte non si arriva a quest’ultima fase poiché l’obbiettivo ultimo degli “organizzatori” potrebbe non essere insediare un nuovo governo ma esclusivamente far cadere il vecchio per generare una situazione di instabilità da cui profittare. I miliardi spesi per finanziare una guerra vengono sostituiti da pochi milioni necessari a finanziare le ONG e la propaganda. Teorizzata dall’intellettuale statunitense Gene Sharp, questa innovativa tecnica fu messa in pratica inizialmente nelle ex repubbliche sovietiche dopo la caduta del muro di Berlino, al fine di velocizzarne la conversione alle logiche economiche di mercato proprie dei sistemi occidentali, attraverso liberalizzazioni e privatizzazioni di settori pubblici strategici. Dopo le prime sperimentazioni, preso atto della efficacia del metodo, questo venne applicato in altre nazioni “ribelli” dell’est Europa, s’immagini che la Serbia di Milosevic, dopo aver resistito ai terribili bombardamenti NATO del 1999, dovette cedere il 5 Ottobre del 2000 alle proteste di piazza, organizzate dal movimento di “resistenza” Optor, direttamente finanziato da organizzazioni Statunitensi e addestrato dall’Albert Einstein Institution (fondata dallo stesso Sharp). A questo punto, diventata ufficialmente una tecnica moderna di “soft war” collaudata ed approvata, fu esportata ovunque nel mondo con una maggiore intensità durante i mandati di Obama, dai tentati “soft golpe” dell’America Latina alle cosiddette “primavere arabe” in Africa settentrionale e in Medio Oriente, tutte accomunate da due cose: lo scopo di rovesciare qualsiasi governo che avesse intenzioni discordanti da quelle nord atlantiche e i tragici risvolti per le popolazioni locali. Anche se ben poco viene raccontato al riguardo dai canali d’informazione, si contano oltre 20 casi di “rivoluzioni colorate” con conseguenze tragiche che spesso non rimangono circoscritte al paese vittima, ma si estendono toccando anche i nostri interessi. Ad esempio la sanguinosa vicenda ucraina degenerata in una guerra civile tra est e ovest del paese, della quale a noi è arrivata come unica falsa notizia “Putin ha invaso la Crimea”, è stata causa delle sanzioni contro la Federazione Russa con conseguenti indicibili danni alla nostra economia, nello specifico al settore alimentare. Ma vediamo di capire e dare un nome a chi concretamente organizza queste rivolte. Esistono più di 300 organizzazioni dedite a questo scopo ma in questa sede ci si limiterà a citare le più influenti. National Endowment for Democracy (NED), United States Agency for International Development (USAID), Human Right Watch, International Republican Institute (IRI), Center for Applied Nonviolent ad Strategies (CANVAS), National Democratic Institute for International Affair (NDI), Freedom House (FH), Albert Einstein Institution, Alliance of Youth Movements, Centro Internazionale per l’Iniziativa Privata (CIPE), Centro Americano per la Solidarietà sul Lavoro (ACILS), Fondazione Carnegie per la Pace Internazionale ed ultimo ma non meno importante l’Open Society Institute (OSI) del magnate George Soros. Tutte queste organizzazioni “esportatrici di democrazia” sono finanziate con svariate decine di milioni di dollari dal bilancio di Stato americano e da fondi d’investimento privati. Consacrazione intellettuale a tutto ciò fu data da Paul Wolfowitz: “per indebolire la Russia si devono spezzare i suoi legami politici, economici, energetici con l’Europa e il Medio Oriente attraverso la democratizzazione degli stati ponte come le ex repubbliche dell’Unione Sovietica”, da Zbigniew Brzezinski : “l’Ucraina deve essere pronta per un serio confronto con la NATO” ed infine dal fanatico dell’esportazione della democrazia Bernard-Henri Lévy. Bisogna anzitutto prendere atto di chi siano gli organizzatori del caos globale così da poterli riconoscere quando durante la prossima “rivolta colorata” i media ne decanteranno le nobili azioni.

Di Luca Pinasco – 06/03/2018

da: www.ilmediterraneo.org

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