“Un sabotaggio alla rete elettrica nazionale, uno dei peggiori, che ha lasciato senza luce diversi stati del paese. Quando, dopo un lavoro incessante, la situazione si stava progressivamente risolvendo, è arrivato un altro attacco, questa volta al sistema delle comunicazioni”.
Sabotaggio elettrico. La guerra non convenzionale contro il socialismo bolivariano
di Geraldina Colotti
Siamo in una sala del Ministero delle Comunas e dei Movimenti sociali, dove si svolge un dibattito dal titolo “Decreto Obama vs dia del antimperialismo”. Si attende l’arrivo della ministra Blanca Eekhout. Con noi ci sono Romain Migus (Francia), Guillermo Orrego (Perù), Alcides Martinez (Commissione Agitazione e propaganda del PSUV) e Vladimir Castillo, responsabile esteri del ministero. Verso le 17, se ne va la luce. Il dibattito termina in una Caracas immersa nell’oscurità, rotta solo dai fari delle auto e dalle pile dei cellulari di chi cerca di rientrare in fretta.
In serata, il ministro della Comunicazione, Jorge Rodriguez, conferma il sospetto generale: si è trattato di un sabotaggio alla rete elettrica nazionale, uno dei peggiori, che ha lasciato senza luce diversi stati del paese. Quando, dopo un lavoro incessante, la situazione si stava progressivamente risolvendo, è arrivato un altro attacco, questa volta al sistema delle comunicazioni.
Un sabotaggio interno, evidentemente. Alcuni testimoni hanno descritto tentativi di “guarimbas” nella capitale, ma senza conseguenze. Di sicuro la paralisi del metro ha sabotato la marcia delle donne, preparata da una partecipata assemblea organizzata da Unamujer. Il presidente Maduro ha decretato un giorno di sospensione da scuola e il governo ha denunciato l’intervento degli Stati Uniti, che si è espresso tempestivamente sul sabotaggio, dando mostra di essere perfettamente al corrente del piano destabilizzante: “Non c’è da mangiare, non ci sono medicine, e ora senza luce… presto senza Maduro”, ha scritto in twitter il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, e il senatore Marco Rubio ha rincarato la dose.
Dopo aver fallito l’attacco militare alla frontiera con la Colombia, mascherato da “aiuto umanitario”, ora è la volta di quello tecnologico. L’autonominato “presidente a interim”, Juan Guaidó continua il suo lavoro per conto terzi. Ieri si è riunito con i funzionari di alcuni ministeri che remano dall’interno contro il governo e con i quali sta tentando di lanciare uno sciopero per domani 9 marzo. Tutte le categorie di lavoratori gli hanno risposto picche, riconfermando fiducia piena al presidente legittimo Nicolas Maduro.
“Quelli che seguono l’autoproclamato non hanno forza per muovere i lavoratori”, ha detto il ministro del Lavoro Eduardo Piñate, che è anche fondatore della Centrale Socialista, durante una riunione delle organizzazioni sindacali.
La prova – ha aggiunto – è che “da quando il presidente Maduro ha annunciato il piano di Recupero, Crescita e Prosperità economica, nell’agosto 2018, hanno tentato varie volte di paralizzare il paese ma non hanno potuto farlo”.
Il 6 di marzo, durante un incontro con i lavoratori del Complesso siderurgico di Guayana, nello stato di Bolivar, Maduro ha sollecitato la “massima produttività”, promettendo di rinnovare quelle convenzioni collettive che ancora rimangono da approvare. In quell’occasione, il presidente ha parlato da ex sindacalista, ribadendo l’importanza e l’orgoglio di appartenere alla classe operaia, cosciente del ruolo portante dei lavoratori nella costruzione del socialismo. Intanto, è stato deciso un nuovo aumento di salari e pensioni.
Il governo bolivariano ha decretato il 9 giornata antimperialista, per ricordare lo stesso giorno del 2015, quando Obama ha imposto sanzioni al Venezuela, dichiarando il paese “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti”. Sanzioni che Trump ha rinnovato per un altro anno, sparando di rafforzare l’azione destabilizzante del suo burattino Juaidó. Un asse portante della guerra non convenzionale librata contro il socialismo bolivariano, che ha come bersaglio principale il popolo che non vuole piegare la testa.
In un manuale declassificato dalla Cia, elaborato dall’Air Force Institute Of Technology si descrivono in dettaglio le numerose forme di sabotaggio da impiegare in questo tipo di guerra: con pochi uomini infiltrati nei posti giusti, si possono mettere fuori uso sistemi informatici, installazioni industriali e servizi pubblici. E quegli stessi infiltrati – dice il manuale – possono poi anche essere impiegati come falsi testimoni da esibire all’ONU per dimostrare il fallimento del “regime” in tutti i settori e giustificare l’intervento armato.
Tra ieri e oggi, sulle reti sociali più accreditate, sono arrivate denunce dei cittadini, secondo le quali addetti della impresa statale di comunicazioni CANTV si sarebbero recati nei quartieri e, senza esibire nome e tesserino, con il pretesto di ispezionare le centraline abbiano rubato materiale tecnico difficilmente reperibile per via delle sanzioni USA.
La guerra contro il Venezuela sta passando a questa seconda fase, quella dell’attacco tecnologico per isolare la popolazione e debilitarne il morale. Ma basta guardare le immagini che giungono da ogni parte del paese per capire quanto, a sei anni dalla morte di Chavez, il socialismo bolivariano sia forse un po’ ammaccato, ma più vivo che mai. Dal Cuartel de la Montaña, dove riposano i resti di Chavez fino all’ultimo avamposto di frontiera, sta risuonando un’unica consegna: “Leales siempre, traidores nunca”: leali sempre, traditori mai.