Sardine: la ‘rivoluzione’ che piace alla gente ‘per bene’

Fare le pulci alle sardine è diventato uno sport nazionale, da destra come da sinistra. Da sinistra perchè si cerca di giudicare il tasso di rivoluzionarietà espresso dal movimento. Da destra perchè si ha non solo il dubbio, ma la certezza che il fenomeno sia stato partorito da un PD travestito da sardina.

La sinistra, i radikalen per intenderci, cerca in questo modo di giustificare la propria debolezza attaccando un nuovo movimento che minaccia la sua visibilità, senza però darne un giudizio oggettivo. A destra, ovviamente, si attaccano le sardine perchè esprimono, almeno questo, una chiara avversione al salvinismo.

Fatte queste considerazioni preliminari, occorre andare alla sostanza delle cose e capire che cosa è successo veramente.

La partenza è stata molto chiara. In una regione come l’Emilia Romagna assediata dalle truppe salviniane e con il serio pericolo per il PD di venir estromesso dal governo della sua storica roccaforte, le sardine hanno rappresentato un sussulto che esprimeva la forte preoccupazione di settori democratici, in senso più culturale che direttamente politico, di essere governati dalle orde leghiste. Da questo punto di vista dunque la piazza di Bologna, con tutti i suoi limiti, rappresentava un atto autentico di rifiuto del salvinismo. Questo non aveva ovviamente nessun carattere ‘rivoluzionario’, anzi il suo modo di esprimersi andava in tutt’altra direzione.

Come mai a Bologna il movimento antisalviniano non si è espresso direttamente con le bandiere del PD? La risposta è che il partito non avrebbe entusiasmato la sua stessa area di riferimento e avrebbe inoltre limitato la partecipazione della gente che non vi si riconosce direttamente. Il simbolo mediatico delle sardine ha fatto il resto, e certamente il PD ci ha messo del suo nel mobilitare la piazza.

L’estensione del movimento fuori dell’Emilia-Romagna, pur non direttamente legata a questioni elettorali, ha sostanzialmente ricalcato le motivazioni antisalviniane dei bolognesi e, anche se in misura più limitata e a macchia di leopardo, ha seguito lo stesso schema fino alla manifestazione di Roma a piazza San Giovanni. E ora?

Pensare che le sardine possano avere un ruolo diverso da quello che fino ad oggi hanno avuto è fuori luogo. Non solo perchè l’espressione organizzativa che si sono date sta dentro una logica movimentista che sa di provvisorio, ma anche perchè il programma che vanno definendo è pieno di ovvietà e non coglie nessuno dei nodi politici che sono sul tappeto. Quelli che sono scesi in piazza in cerca di novità per uscire da una situazione difficile resteranno perciò delusi. Il modo movimentista e fantasioso non ha la possibilità di modificare i rapporti di forza, anzi, passata la fase della curiosità, viene alla luce con evidenza che gli organi di informazione sono ben felici che si eviti di descrivere i punti dello scontro politico reale per far credere che ‘un altro mondo è possibile’, quello del buonismo che stabilizza il regime esistente. Parlar male delle sardine è come parlar male di Garibaldi quindi, senza impiantare le solite polemiche per mettere in evidenza chi sia più ‘rivoluzionario’, basta vederci chiaro e non scambiare una pecora per un elefante.

Facciamo come le sardine, non abbocchiamo.

Aginform
17 dicembre 2019

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