“Da quando chi pretende il lavoro è fascista?”

Si va verso i due anni di pandemia. Un periodo di sospensione della realtà fatto di chiusure e di incertezze appesantite da restrizioni socio-politiche contraddittorie: e sia, la ricerca scientifica segue l’evoluzione del virus, scopre nuovi strumenti di contrasto al Covid rendendo obsoleti i vecchi.

In ogni caso è vietato sbagliare. Lo dicono la politica, il più preparato degli analisti e il più stupido degli opinionisti televisivi in questa fiera della vanità tra chi si mostra più rispettoso dei diktat del momento. Per strada le saracinesche si abbassano. Si formano file chilometriche per un pasto alla Caritas o al banco dei pegni. Il tutto mescolato a dieci anni di crisi economica da cui l’Italia non si è mai veramente ripresa, immersa com’era in un vortice di austerità e disillusione.

Durante il decennio seguito alla Grande Recessione avevano già chiuso più di 178 mila tra botteghe e negozi¹, morte di crisi o di concorrenza con le grandi attività. Nello stesso periodo 816 mila italiani – la maggioranza dei quali con un’istruzione medio-alta –  emigravano all’estero² e il numero di minori in condizioni di povertà assoluta superava il traguardo del milione³, con differenze regionali a dir poco inquietanti. Durante il primo anno di pandemia hanno chiuso 390 mila imprese.

Il quadro che emerge desolante è quello di un depauperamento ininterrotto della popolazione e di un declassamento del ceto medio. Un fenomeno tipico delle democrazie occidentali e non solo italiano. A questo punto penso che elaborare un’analisi socio-politica dell’Italia imbastardita di oggi partendo da questo contesto sia un’operazione utile per evitare i facili moralismi dopo i fatti drammatici degli ultimi giorni.

In una cornice di negazione di ogni spazio critico riguardo alle misure politiche – non a quelle scientifiche – di lotta al Covid, di impoverimento generale del Paese, di vuoto totale delle rappresentanze politiche, capita – finché sarà possibile, certo – che la gente scenda in strada a protestare.

Ed è in assoluta malafede che si è voluto vedere nel manifestante di Napoli un agitatore camorrista, nel “no vax” un assassino, nel “no pass” un fascista, nel non vaccinato un “evasore” da annichilire socialmente (fra pochi giorni 3 milioni di lavoratori saranno a rischio sospensione dello stipendio), in una lotta di tutti contro tutti impensabile fino a pochi mesi fa. 10 mila persone scendono in Piazza del Popolo a protestare per il diritto a lavoro. Quanta disonestà intellettuale serve per spacciarli tutti come fascisti?

Un clima, questo, di bigottismo generale che non lascia spazio ad alcuna forma di riflessione né di dubbio. La tendenza generale è confondere le idee, mescolare le etichette, banalizzare le sfumature, ridicolizzare le complessità. La sola offerta del potere al disagio sociale, sotto questo punto di vista, è la forca come unica soluzione.

Lorenzo Ferrazzano

12 Ottobre 2021

 

Fonti:

¹ http://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2019/11/consumi-negozi-artigiani-09.11.2019.pdf

² https://www.istat.it/it/files/2019/12/REPORT_migrazioni_2018.pdf

³ https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/x-atlante-dellinfanzia-rischio-il-tempo-dei-bambini_2.pdf

Da quando chi pretende il lavoro è fascista? – OP-ED – L’Antidiplomatico (lantidiplomatico.it)

 

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