«Essenzialmente, in futuro, il lavoro fisico sarà una scelta. Questo è il motivo per cui penso che sarà necessario un reddito di base universale», parola di Elon Musk. Da anni il numero uno di Tesla, la più grande fabbrica di auto elettriche al mondo, ripete questi concetti. Visitai lo stabilimento Tesla di Palo Alto nel 2018. Alcuni giorni prima Musk aveva annunciato il licenziamento del 9% dei quasi 40.000 dipendenti dell’azienda. In Tesla c’erano i più grandi e moderni robot che io avessi mai visto. Ebbi la sensazione che fossero gli operai ad aiutare i robot a lavorare, non il contrario. Al di là del personaggio Musk in sé e che piaccia o meno l’auomatizzazione è un processo irreversibile che allontanerà sempre più la piena occupazione e questo, ovviamente, avverrà maggiormente nei Paesi più industrializzati. Musk ritiene che la sola risposta all’aumento della disoccupazione provocato da tale processo sia un reddito universale. Io su questo punto la penso come lui. Tuttavia le resistenze sono molte. Ancor di più nel nostro Paese, basti osservare la campagna denigratoria verso il reddito di cittadinanza che politicanti strapagati con denaro pubblico stanno portando avanti in vista delle prossime elezioni politiche per guadagnarsi qualche voto in più sulla pelle dei più deboli. E la mafia ringrazia. Sì, la mafia ringrazia.
Nel febbraio del 2020 la Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha intercettato una conversazione tra il boss Giuseppe Incontrera e Andrea Damiano, arrestato per mafia alcuni giorni fa. «E con questa minchia di cittadinanza peggio è!». Queste sono state le parole che Incontrera ha utilizzato per descrivere la difficoltà a reclutare giovani spacciatori. Basterebbe questo – in uno dei Paesi più colpiti al mondo dal crimine organizzato – per comprendere la bontà di uno strumento necessario a far fronte al dramma sociale, necessario ancor di più oggi che l’automatismo allontana la piena occupazione e necessario ad ostacolare il voto di scambio in un Paese dove c’è chi vende il proprio voto in cambio di un buono benzina. E invece no. Il principale nemico da abbattere non è la mafia, non sono i conflitti di intemafia, ressi, non sono le porte girevoli tra politica e finanza, non è la corruzione, non sono le “maxi-consulenze” assegnate da chi è al potere ai propri amici, nella speranza che questi restituiscano il favore in tempi di vacche magre elettorali. Il nemico principale è il reddito di cittadinanza. Mentre nel mondo si parla di reddito universale, i Renzi e le Meloni descrivono qualche centinaia di euro percepiti da persone in estrema sofferenza, uno spreco o «metadone di Stato».
Ciò che indigna particolarmente è che i protagonisti della crociata contro uno strumento presente in quasi tutta Europa siano i politici, in particolare i parlamentari. Ebbene quello del parlamentare (posto che per me dovrebbe essere un servizio alla collettività da compiere in un tempo limitato, non un mestiere permanente) è l’unico posto di lavoro che ti garantisce lo stipendio anche in caso di assenze prolungate. Sì, agli assenteisti cronici viene decurtata una parte degli emolumenti ma il grosso se lo intascano. I parlamentari hanno ogni forma di benefit possibile ed immaginabile. Hanno viaggi pagati su tutto il territorio nazionale. Treni, aerei e navi, anche in prima classe. E sia chiaro, non gli vengono rimborsati soltanto i viaggi di lavoro, quelli istituzionali o, banalmente gli spostamenti da casa al Parlamento o dal Parlamento a casa. No, ogni viaggio che decidono di effettuare, anche viaggi di piacere, vacanze, fughe dalle o dagli amanti, spostamenti verso resort di lusso, località balneari o termali, baite di montagne o idilliache calette, vengono regolarmente pagati dalla Camera dei Deputati o dal Senato della Repubblica. Dunque, da noi cittadini. Non vi è alcun controllo. I parlamentari non sono tenuti a dimostrare che quel viaggio in business class abbia a che fare con l’esercizio del proprio mandato. Fino alla scorsa legislatura (tale porcata venne abolita dal Movimento 5 Stelle quando il Movimento 5 Stelle si comportava da Movimento 5 Stelle) Camera e Senato pagavano le spese di viaggio (1000 euro all’anno per tutta la vita) anche agli ex-parlamentari.
Costoro hanno mai chiesto al proprio partito di rifiutare i bonifici relativi ai rimborsi elettorali, il famigerato finanziamento pubblico alla politica bocciato dal popolo italiano con il referendum del 1993? I quasi 2,5 miliardi di euro intascati dai partiti in barba alla volontà popolare non erano metadone di Stato? Per non parlare della campagna denigratoria che molti giornali – alcuni, tra l’altro, tenuti in vita esclusivamente dal finanziamento pubblico all’editoria – portano avanti contro i percettori del reddito. Ogni giorno scovano un delinquente che non ne ha diritto, un evasore con il Ferrari che lo percepisce, un ex-brigatista che magari ha scontato la sua pena e con il reddito ci campa. Per costoro i conflitti di interessi degli editori o, addirittura i reati, dei loro padroni, non contano. Conta il truffatore del reddito. Sia chiaro, chi percepisce il reddito senza averne diritto deve vedersela con la legge. Servono più controlli? Facciano più controlli. Ma voler abolire una norma che ha tenuto in piedi un pezzo di Paese durante la pandemia perché c’è qualcuno che se ne approfitta è da vigliacchi. È da natiche al caldo con lo champagne in fresco che non capiscono nulla della sofferenza di centinaia di migliaia, probabilmente milioni di italiani. Esistono i falsi invalidi d’altro canto. Si tratta di mascalzoni che fingono per intascarsi un po’ di denaro dello Stato. Qualcuno si è mai sognato di chiedere l’abolizione delle pensioni di invalidità per la presenza di qualche falso cieco? Qualcuno ha mai proposto la soppressione del trasporto pubblico visto che c’è gente che sale sui bus senza il biglietto?
La verità è che oggi proporre l’abolizione del reddito significa strizzar l’occhio a Confindustria. E c’è chi ritiene impossibile arrivare al potere senza baciare la pantofola dei grandi industriali italiani. «Il reddito di cittadinanza è disincentivo al lavoro» tuonava, alcuni mesi fa, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. La paghe da fame sono il vero disincentivo. Poi, sia chiaro, migliorare lo strumento, intervenire su quel che non funziona, “fare il tagliando” ad una misura che non c’è mai stata nella storia repubblicana è più che legittimo. Direi doveroso. Ma mettere in discussione lo strumento stesso è indecente.
Nel 2005 il 3,3% della popolazione italiana aveva serie difficoltà ad arrivare a fine mese. Oggi la percentuale è triplicata. Da 1,9 milioni di italiani siamo passati a 5,6. Una tragedia immane. La forbice tra ricchi e poveri si è allargata in modo esponenziale. L’inflazione colpisce chi ha poco, così come il caro vita. I conflitti di interessi hanno permesso un accentramento di potere, denaro e appalti in poche mani. La natalità è ai minimi storici. Sempre meno figli, sempre meno case di proprietà, sempre più instabilità economica, sociale e psicologica. Oggi i poveri non sono più soltanto i disoccupati. Oggi può essere povero anche colui che ha un lavoro stabile. Ma il problema è il reddito di cittadinanza per quei politici che ignorano il mondo reale a causa della loro manchevole visione. Aveva ragione Eduardo Galeano. C’è gente così povera, ma così povera, da avere soltanto i soldi.
Alessandro Di Battista
05/08/2022