[Sinistrainrete] Javier Balsa: Sulla relazione tra classe ed egemonia

Rassegan del 09/02/2023

 

Javier Balsa: Sulla relazione tra classe ed egemonia

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Sulla relazione tra classe ed egemonia1

di Javier Balsa*

10«La fede nei concetti solidi, da un lato, e nella certezza delle cose reali, dall’altro, sono all’origine delle posizioni antidialettiche più inveterate»2.

Nell’ambito dell’analisi politica, c’è una domanda che mi preoccupa da molto tempo: perché negli ultimi decenni c’è stato un abbandono degli approcci classisti, anche da parte degli analisti e delle analiste di “sinistra”? Pochi sembrano ricordare la formulazione di Karl Marx secondo cui, nonostante «a prima vista» le controversie politiche nella Francia di metà Ottocento sembrassero una lotta tra monarchici e repubblicani, tra la reazione ed «i “diritti eterni dell’uomo”», «se si considerano la situazione e i partiti più da vicino, questa apparenza superficiale, che nasconde la lotta di classe e la peculiare fisionomia di questo periodo, scompare.. .»3.

Due sono le cause relativamente riconosciute di questa dimenticanza’. la progressiva riduzione dell’incidenza diretta dell’appartenenza di classe sul comportamento politico, e la crisi dello stesso progetto socialista, che ha fatto perdere la fiducia che la classe operaia fosse la classe dirigente di un processo anticapitalista4. Tuttavia, credo che ci sia una terza causa: la stessa complessità della disputa per l’egemonia è ciò che rende difficile leggere la lotta politica in termini di lotta di classe; difficoltà che è stata aggravata dall’abbandono di una prospettiva dialettica.

Due fattori influenzano questa difficoltà a collegare egemonia e classi. Da un lato, la stessa lotta per l’egemonia contiene una componente universalistica e una discorsività retorica che, intenzionalmente, tendono a non spiegare le sue basi di classe. E, d’altra parte, lo scarso sviluppo di una teoria sistematica dell’egemonia ha generato un deficit concettuale per affrontare il rapporto tra classe e lotta per l’egemonia.

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Jamal Zakout: La resistenza deve unirsi

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La resistenza deve unirsi

Pas Liguori intervista Jamal Zakout

Di fronte all’escalation dell’avanzata politica dell’estrema destra, di quella territoriale delle colonie e della violenza del regime israeIl-muro-a-Bilin.jpgliano di Apartheid, noi Palestinesi non possiamo più permetterci di restare divisi. Unità non vuol dire essere gli uni copia dell’altro, abbiamo bisogno delle nostre diversità per tradurle in potenza e non in debolezza. In questa ampia intervista di Pasquale Liguori, illustrata dalle sue splendide foto, Jamal Zakout – uno dei leader della prima Intifada, scrittore e presidente di un importante centro di studi e ricerche politiche a Ramallah – analizza in profondità le ragioni e le complicità che segnano la continuità e la ferocia dell’aggressione israeliana sul suo popolo. Il punto di vista che esprime, tuttavia, non è affatto reticente sulle debolezze politiche e i gravi errori storici che la classe politica palestinese ha compiuto per decenni, e continua a compiere, convinta, nella migliore delle ipotesi, che la perenne subalternità alla potenza occupante e ai suoi alleati e protettori avrebbe portato a una riduzione delle violenze e a un allargamento dei diritti. D’altra parte, l’alternativa politica prospettata da Hamas, con l’accusa di tradimento e la resistenza fino al martirio, non ha mai prodotto risultati migliori. Entrambe le strategie, dice Zakout, hanno marginalizzato la profondità della prima Intifada, il movimento e il potere popolare palestinese, cioè la base collettiva per la costruzione di un futuro. Oggi più che mai, il primo passo è quello di una vera ricostruzione dell’unità di popolo, finalmente libera da interessi di fazione, logiche politiciste di potere e corruzione, ma serve un radicale e profondo cambiamento di rotta e cultura politica

Ho conosciuto Jamal Zakout nel corso di un recente viaggio politico in Cisgiordania organizzato da Assopace Palestina presieduta da Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento Europeo.

Jamal è stato uno dei leader della prima Intifada. Uomo politico e scrittore, è presidente del Centro Studi e Ricerche politologiche ARD in Ramallah. Zakout ha ricoperto il ruolo di consigliere senior dell’ex primo ministro palestinese Fayyad ed è stato protagonista in vari organismi del panorama politico palestinese.

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Andrea Sartori: Humanities in distress

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Humanities in distress

di Andrea Sartori

humanitiesL’appello di Serenella Iovino rivolto alla sinistra a fare “qualcosa di darwiniano” (“la Repubblica”, 31 ottobre, 2022), può valere tanto per l’Italia quanto per il Paese che l’8 novembre s’appresta a delle elezioni di midterm, le quali si preannunciano problematiche per i dem e in generale per la cultura liberal d’oltreoceano.

Iovino, è ovvio, non ha in mente l’immagine di Charles Darwin pressoché caricaturale, che del naturalista britannico è spesso propagandata da chi lo elegge a teorico della brutale legge del più forte. Chi s’assesta su tale posizione, infatti, omette di considerare che il realismo darwiniano è reso umano da un impianto teorico anti-dogmatico e dalla fortuità delle variazioni dei caratteri, da un radicale scetticismo nei confronti dell’assolutismo filosofico e della mitologia dell’origine, e dalla propensione ad accogliere nel metodo dell’indagine scientifica l’imprevedibilità dell’accostamento metaforico e la creatività (anche letteraria) dell’analogia. Si pensi ad esempio, a quel che nel primo decennio del ventesimo secolo scriveva di Darwin un campione della pedagogia democratica americana come John Dewey (The Influence of Darwinism on Philosophy and Other Essays, New York, H. Holt and Co., 1910).

Iovino, d’altra parte, non cessa di ricordare che per l’autore de On the Origin of Species (1859) l’evoluzione è un problema di competizione e, insieme, di cooperazione (o di “alberi”, per stare sempre a Darwin, ma anche di reti e networks di spessore, per rifarsi invece alle riflessioni di Joseph A. Buttigieg concernenti la scrittura dei Quaderni di Antonio Gramsci; si veda Gramsci’s Method, “boundary”, 17, 2, 1990, 65).

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Caitlin Johnstone: Nuove prove sul sabotaggio dell’Occidente per la pace in Ucraina

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Nuove prove sul sabotaggio dell’Occidente per la pace in Ucraina

di Caitlin Johnstone

Alcuni giorni dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il New York Times aveva riferito che “il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto al primo ministro israeliano, Naftali Bennett, di mediare i negoziati a Gerusalemme tra Ucraina e Russia”. In una recente intervista, Bennett ha fatto alcuni commenti molto interessanti su ciò che è accaduto durante quei negoziati nei primi giorni della guerra.

In un nuovo articolo intitolato “L’ex primo ministro israeliano Bennett afferma che gli Stati Uniti hanno ‘bloccato’ i suoi tentativi di un accordo di pace tra Russia e Ucraina “, Dave DeCamp di Antiwar scrive quanto segue:

L’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett ha dichiarato sabato in un’intervista pubblicata sul suo canale YouTube che gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali hanno “bloccato” i suoi sforzi di mediazione tra Russia e Ucraina per porre fine alla guerra nei suoi primi giorni.

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Davide Miccione: La verità, vi prego, sul Novecento

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La verità, vi prego, sul Novecento

di Davide Miccione

Da qualche tempo è di moda brandire il Novecento come pietra di paragone negativa. Accade senza dare troppe spiegazioni, quasi si ammiccasse a un pubblico che già si sa sintonizzato e complice. A volte basta un breve accenno, quasi si dicesse “… ci siamo capiti non è vero?”. Fa così, ad esempio, l’ex ministro del governo degli ottimati Patrizio Bianchi in un libro dal titolo Nello specchio della scuola uscito nel 2020 quasi a far da manifesto a quella stagione da ministro che, con il senno di poi (ma in fondo anche con quello di prima), non ha lasciato significativa immagine di sé. Il libro di Bianchi, debole, perfino imbarazzante per la sua pochezza in alcuni punti, è però per altri versi illuminante. I libri scadenti infatti, diversamente dai libri dei grandi autori, riescono a rivelare profondamente lo spirito del tempo proprio perché ad essi non fa velo né il genio né la profonda riflessione. Si soffermano con facilità sui luoghi comuni e sovente vi ricorrono, cercano formule con cui superare i limiti di scrittura e di teoresi e imprimersi nella mente del lettore incontrandosi con lui a bassa quota.

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Felix: Verso l’anniversario dell’operazione militare speciale russa in Ucraina

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Verso l’anniversario dell’operazione militare speciale russa in Ucraina

di Felix*

L’intervento russo contro il progetto nazifascista ucraino di “soluzione finale” contro il popolo del Donbass e le posizioni sbagliate del Presidente dell’ANPI

Con l’avvicinarsi della data dell’anniversario dell’avvio della operazione militare speciale della Federazione Russa in Ucraina, il 24 febbraio, prendono corpo, anche nel nostro Paese, iniziative volte a condannarne la natura, le motivazioni e gli obiettivi, chiamando alla mobilitazione per una sua immediata cessazione.

Purtroppo, in tale cimento, non troviamo soltanto impegnate forze politiche, sociali e culturali classicamente reazionarie che sostengono, attualmente, l’operato del governo Meloni, ma anche forze sinceramente democratiche, impegnate a difendere le origini della Repubblica italiana, come nata dalla Resistenza.

È il caso dell’Anpi (Associazione italiana partigiani d’Italia) che, in una lettera del suo Presidente, Gianfranco Pagliarulo, pubblicata sul quotidiano “Avvenire”, e rivolta ai propri iscritti e ad una più vasta opinione pubblica democratica, invita, per i giorni 24/26 febbraio, a mobilitarsi per esprimere la propria condanna della suddetta operazione militare che sarebbe all’origine della guerra attuale fra Ucraina e Russia.

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Marco Cattaneo: La Moneta Fiscale è più viva che mai

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La Moneta Fiscale è più viva che mai

di Marco Cattaneo

Lo scorso 1° febbraio, Eurostat ha pubblicato l’edizione aggiornata del Manual on Government Deficit and Debt (MGDD), e molti commentatori l’hanno interpretata come una campana a morto per la Moneta Fiscale.

Le edizioni precedenti del MGDD contenevano un concetto molto semplice e chiaro: concorrevano alla determinazione del deficit e del debito pubblico i crediti verso l’erario che, se non utilizzati dal titolare per compensare (quindi per ridurre, o azzerare) il pagamento di tributi, dovevano comunque essere rimborsati cash dalla pubblica amministrazione. Si parla dei cosiddetti payable tax credits, e il concetto appare evidente dalla denominazione stessa.

I crediti utilizzabili in compensazione ma senza diritto al rimborso cash erano invece non payable tax credits, e non concorrevano al deficit e al debito pubblico.

Il nuovo MGDD invece introduce un nuovo concetto. Con una capriola semantica e logica degna di miglior causa, afferma che vanno considerati payable tax credits quelli che hanno elevata probabilità di essere effettivamente utilizzati, anche se non danno diritto a rimborso, mentre i non payable tax credits sono solo quelli che, oltre a non essere rimborsabili, hanno significative possibilità di scadere senza che nessuno li utilizzi.

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Enrico Tomaselli: Lezioni di guerra

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Lezioni di guerra

di Enrico Tomaselli

Ogni guerra non è soltanto il tentativo di risolvere ‘manu militari’ un conflitto, ma anche molto altro. È un test di verifica, che dice di come una nazione affronta e risolve le controversie internazionali, è un banco di prova per sistemi d’arma, dalla cui prova sul campo deriverà o meno il successo ‘di mercato’. Ma è soprattutto il terreno su cui le dottrine militari, le tattiche di combattimento degli eserciti, subiscono il vaglio implacabile della prova del fuoco, e da cui scaturiscono poi le ‘evoluzioni’ successive dell’antica arte della guerra. E come sempre, c’è chi impara la lezione e chi no.

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Alla fine, i contorni della triste sceneggiata si sono delineati con sufficiente chiarezza. Benché gli USA ne dispongano a migliaia, i 31 MBT (main battle tank) M1A2 Abrams promessi all’Ucraina, verranno forniti nell’ambito di un progetto di costruzione apposita (privi della protezione in uranio impoverito), e quindi la consegna avverrà non prima della fine dell’anno in corso, se non nel 2024. La messa in scena – persino ridicola nel suo velocissimo sviluppo – si era resa necessaria perché Scholz, già sottoposto a fortissime pressioni da parte sia di membri del suo governo che di alleati europei, chiedeva che l’invio degli MBT Leopard 2 tedeschi avvenisse contestualmente a quello di MBT americani. Ovviamente, alla fine i carri tedeschi andranno subito, quelli made in USA forse tra un anno…

Ma la questione vera, qui, è duplice; a prescindere dalla sfacciata manovra americana, che punta a svuotare gli eserciti europei per poi rimpinguarli nuovamente con commesse all’industria militare USA, qual è l’impatto che questi carri potranno avere sul conflitto, e perché gli USA non hanno alcuna voglia di inviare i propri Abrams?

Cominciamo col dire che il Leopard è un carro concepito negli anni 80, che a suo tempo ha avuto un grande successo commerciale (l’hanno acquistato molti paesi NATO), ma che non solo risulta oggi assai datato, rispetto agli ultimi MBT russi come il T-90 Proriv ed il T-14 Armata, ma ha anche dato scarsa prova di sé sul campo di battaglia.

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Carmelo Buscema: Marx, la tendenza tendenziosa e l’antimperialismo dei lupi/agnelli (prima parte)

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Marx, la tendenza tendenziosa e l’antimperialismo dei lupi/agnelli (prima parte)

A proposito de La guerra capitalista (Mimesis, 2022)

di Carmelo Buscema

Carmelo Buscema è ricercatore di sociologia dei fenomeni politici presso l’Università della Calabria, dove insegna Geopolitica e Rapporti internazionali e si occupa di neoliberismo e processi di finanziarizzazione. Il testo che segue è una critica al lavoro di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli, La guerra capitalista (Mimesis, 2022), volume che abbiamo discusso in questa sezione (vedi: https://www.machina-deriveapprodi.com/post/la-guerra-capitalista) e del quale seguiamo il vivace dibattito che le tesi lì espresse stanno suscitando.

0e99dc 657b1a94f4404a91a3391e5096088d0bmv2Life on Marx?

Dal parapetto affacciato sullo spettacolo della fine della storia, nel 1990 David Bowie cantava la famosa canzone sulla ragazza dai capelli color topo, che per sfogare la tristezza del suo sogno manifestamente infranto – come il nostro –, camminava verso la consolazione di uno schermo cinematografico argentato. Ma il film dato era di una noia mortale, e a lei risultava esasperante lo stupido entusiasmo per quel freakest best selling show, dei ciechi spettatori vocianti al suo fianco. Is there life on Mars? – allora si chiedeva, desolata, la ragazza, alla ricerca di una speranza più lontana da sperare.

Se l’autore della monumentale opera di cui «Il Capitale» è la summa, fosse un pianeta – e Karl Marx è un intero pianeta, conosciuto e da esplorare– formuleremmo alla stessa maniera, oggi, la nostra inquietudine al cospetto dello spaventoso «destino da carne industriale e da cannone» che ci aspetta: c’è (ancora) vita su Marx?

 

Arrivano i vostri! (Rimpiazzano i nostri)

Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli arricchiscono di molti rilevanti contributi il loro recente libro «La guerra capitalista.

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Giorgio Agamben: L’Impero europeo

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L’Impero europeo

di Giorgio Agamben

Milosz ha osservato una volta che la condizione degli scrittori dell’«altra Europa» (così chiama la Mitteleuropa) era «appena immaginabile» per i cittadini degli stati dell’Europa occidentale. Parte di questa eterogeneità veniva dalla mancanza di stati nazionali e dalla presenza in loro luogo, per secoli fino alla fine della Prima guerra mondiale, dell’Impero asburgico. Per noi che siamo nati in uno stato nazionale e non distinguiamo l’essere italiano dall’essere cittadino italiano, non è facile immaginare una situazione in cui essere italiano, ungherese, ceco o ruteno non significava un’identità statuale. Il rapporto col luogo e con la lingua dei cittadini per i cittadini dell’impero era certamente diverso e più intenso, libero com’era da ogni implicazione giuridica e da ogni connotazione nazionale. L’esistenza di una realtà come l’impero asburgico era possibile solo su questa base.

È bene non dimenticarlo quando vediamo oggi che l’Europa, che si è costituita come un patto fra stati nazionali, non solo non ha né ha mai avuto alcuna realtà al di fuori della moneta e dell’economia, ma è oggi ridotta a un fantasma, di fatto integralmente assoggettato agli interessi militari di una potenza ed essa estranea.

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Giuseppe Masala: I Sonnambuli di oggi

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I Sonnambuli di oggi

di Giuseppe Masala

Nell’Europa prebellica, è possibile trovare riflessioni così disinvolte pressoché ovunque. In questo senso, i protagonisti del 1914 erano dei sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere, tormentati dagli incubima ciechi di fronte alla realtà dell’orroreche stavano per portare nel mondo.

Cristopher Clarke, I Sonnambuli

La Storia non si ripete, ma fa dannatamente rima. Infatti a ben vedere da almeno un paio d’anni i paesi appartenenti alla Nato ricalcano il comportamento dei governanti europei quando, all’inizio del ‘900, iniziarono la terribile Marcia dei Sonnambuli che nel corso di qualche lustro portò alla Grande Guerra. Si, proprio quella Prima Guerra Mondiale che molti storici considerano probabilmente la madre di tutte le altre guerre europee, compresa questa che vede contrapposte Ucraina e Russia.

Allora come ora tutti i governanti fanno dichiarazioni pubbliche nelle quali si impegnano in favore della pace mentre nel retrobottega ordiscono alleanze possibili per poter scatenare una guerra di vaste proporzioni.

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Piccole Note: Non solo Ucraina: le macellerie che l’Occidente volutamente ignora

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Non solo Ucraina: le macellerie che l’Occidente volutamente ignora

di Piccole Note

Mentre i mezzi di informazione ci bombardano quotidianamente con le cronache della guerra ucraina, dipingendo i russi come criminali che attentano alla libertà e alla sicurezza dei buoni, cioè dell’Occidente, nulla si dice di altre macellerie, che raccontano altre verità, cioè che i crociati che vogliono salvare il mondo dai cattivi non sono poi così buoni come si presentano. Per fortuna, a volte le informazioni scappano dalla maglia della censura e alcune di queste pecche emergono.

Iniziamo dallo Yemen, la guerra dimenticata, nella quale una coalizione a guida saudita, supportata dagli Usa, sta conducendo una guerra feroce per porre fine alla ribellione degli Houti, i quali hanno rovesciato il regime sanguinario pregresso, filo-saudita e filo-occidentale.

 

La guerra in Yemen e i profitti Usa

La guerra attuale è iniziata nel 2015, ma anche prima lo Yemen era preda di convulsioni violentissime, con gli Usa che vi hanno condotto incessanti campagne anti-terrorismo.

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Aginform: Il nemico è in casa e bisogna combatterlo

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Il nemico è in casa e bisogna combatterlo

di Aginform

Riprendiamo le parole che seguono per il sito italiano del Saker1, perchè ci portano a una riflessione drammatica.

«Come sappiamo avere mille facce – scrive ‘Sascha Picciotto’ – possiamo altrettanto stupidamente svuotare i nostri arsenali facendo spazio a nuove armi e nuove consegne, nuove produzioni e nuove avventure per quelle munizioni prodotte altrove ma non da noi e sicuramente non ai nostri prezzi e non “grazie” alla nostra manodopera. L’intero ciclo industriale in caso di guerra andrà trasferito guarda caso oltre-oceano, assicurando un’eventuale impossibilità di interruzione nella produttività. Le industrie tedesche sono demilitarizzabili anche dal territorio russo. Lo stesso si può dire di quelle francesi o inglesi, o italiane. Qualcuno sta giocando con le nostre vite, e le sta impegnando in questa avventura, chiunque sia complice di tutto ciò non si discosta facilmente dall’aggettivo “traditore”. E cosa c’è di peggio di una persona o un gruppo di persone che “per il tuo bene” distrugge la tua economia, la tua autonomia e ti manda a morire all’estero per interessi di altri? Ieri era l’Iraq, poi l’Afghanistan, oggi sono gli ucraini accompagnati per mano dai nostri mercenari, domani chissà.

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