Fulvio Grimaldi: “Serbi, palestinesi dei Balcani”

Fulvio Grimaldi – 31/12/2023

MONDOCANE: Belgrado, ancora una volta “Target” — — SERBI, PALESTINESI DEI BALCANI 

Belgrado, ancora una volta “Target”

SERBI, PALESTINESI DEI BALCANI

 

Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

 

Target! Ricordate, voi che avete più di trent’anni, o che avete studiato un po’ di storia pur avendone di meno, o che vi siete fatti una coscienza politica enumerando le guerre che USA e NATO hanno fatto contro varia umanità? Beh, una di queste guerre contro innocenti, come sempre, l’hanno fatte contro la Serbia nel 1991. A completare la festa che avevano fatto all’intera Jugoslavia nei dieci anni precedenti. A tale festa, di devastazione e sterminio, abbiamo partecipato anche a noi, con tanto di bombardamenti a tappeto su tutta la Serbia, al comando del premier Massimo D’Alema e del suo vice, Sergio Mattarella, che poi, visto che da parecchio ci va tutto storto, l’hanno pure fatto bi-presidente della Repubblica, con tutto ciò che ne è derivato.

Dunque “Target”. Sulla guerra alla Serbia del 1999, 78 giorni di bombardamenti a tappeto su una nazione pacifica e democratica, vincitrice da sola degli invasori nazisti, ci ho fatto due documentari: “Il popolo invisibile”” e “Serbi da morire”. Se volete sapere cos’è “Target” nel secondo docufilm troverete una scena che per me è di quelle che più rivelano la nobiltà, anzi l’eroismo, di una gente. C’è un ponte a Belgrado, in centro, che supera il fiume Sava. La Nato, cioè noi, bombardava con particolare diletto le vie di comunicazione, ponti sulla Sava e sul Danubio per primi.

A Novi Sad li aveva distrutti tutti, tutti bellissimi. A Belgrado l’obiettivo era il Ponte Branko, fondamentale per spaccare la città e il paese. Ho detto obiettivo? Ho detto “target”: obiettivo, o bersaglio, in inglese. Target erano per i piloti NATO tutti i serbi, 7 milioni bambini compresi, con tanto di case, scuole, ospedali, chiese, treni, centri culturali e sportivi… E ovviamente i ponti. E soprattutto il Ponte Branko, iconico, cruciale.

Ebbene, nel mio filmato si vedono donne, uomini, ragazzi, allineati in piedi lungo l’intero Ponte Branko. Ci venivano di sera, dopo il lavoro e ci restavano fino a notte inoltrata, tempo di semina NATO. Di bombe. Sui ponti. E tutti cantavano l’inno nazionale e tutti avevano sul davanti una pettorina che diceva, appunto, “TARGET”, con tanto di disegno di un bersaglio da tiro a segno. Una parola sola, che però ne conteneva alcune altre, bastava saper leggere: “Vigliacco, vuoi colpire la Serbia? Eccomi qua, colpisci me, non provare a farmi paura!””.

Questo era nel 1999. Nel corso della distruzione della Jugoslavia (Germania, Woytila, USA, Nato) avevano già massacrato i serbi delle Krajine in Croazia, sradicandone e cacciandone 250.000. Almeno altrettanti erano stati espulsi, su ordine USA, dal Kosovo, provincia serba storica, pulita etnicamente dalla minoranza albanese diventata maggioranza per immigrazione dall’Albania. Mattanza affidata a una milizia, UCK, comandata da tale Hashim Thaci. Uomo dalla commendevole biografia. Presidente del Kosovo, dopo un’autoproclamata indipendenza benedetta dagli USA e dall’UE, Thaci viene processato dal tribunale dell’Aja e condannato per crimini di guerra e contro l’umanità: assassinii di massa, traffico di droga e di organi. Condanna condivisibile da tutti i miliziani dell’UCK. Solo che, forse, all’Aja non c’era abbastanza posto.

In Kosovo restano, resistono, 100.000 serbi, rinchiusi nel Nord del paese e vessati incessantemente dalla polizia albanese e, quando non basta, dalla KFOR. Che sarebbe l’ONU vestita da Kosovo. Ultimamente bastonati e sparati nel maggio scorso, quando il presidente serbo Alexander Vucic si è visto costretto a mandare truppe al confine, per far capire ad albanesi e KFOR che può bastare.

Per farla breve, la Serbia è tornata “target”. Nei Balcani occidentali e orientali tutti normalizzati e dentro UE e NATO, o in procinto di entrarci, resta questo cuneo serbo, che rifiuta le sanzioni alla Russia, non esegue standing ovations all’UE (pur disposta a entrarci, ma alle sue condizioni e non a quelle di Bruxelles (fine dell’amicizia con Russia e Cina e, ovviamente austerity e sanzioni a Mosca). Insomma quel dannato Vucic non ci sta. Addirittura non riconosce che il Kosovo, strappato alla Serbia per farci il traffico di narcotici e Bondsteel, la più grande base militare USA d’Europa), sia indipendente (per 100 Stati su 193) e perseguiti i serbi che vi ci resistono.

Hanno provato con l’ircocervo della Bosnia-Erzegovina, un costrutto abnorme voluto dagli USA nel 1995 e che vorrebbe essere una federazione tra serbi e croati-musulmani e non è che un focolaio di conflitti continuamente attizzati per attaccare e far esplodere quanto resta di Balcani disobbedienti. Hanno provato con l’oppressione dei serbi in Kosovo. Ora ricorrono allo strumento più collaudato: la rivoluzione colorata.

L’innesco è quello di quasi tutte le manovre di regime change: elezioni e, dunque, brogli. Tipo Teheran, tipo Algeria, tipo Egitto, tipo Libano, tipo USA (Capitol Hill)… Il buffo e il rivelatore è, stavolta, la troppa foga: media e politici di opposizione e, addirittura, media presstitute occidentali si sono sbilanciati. Di brogli avevano giurato che ne sarebbero stati fatti addirittura PRIMA delle elezioni legislative. Poi le ha vinte il Partito Progressista di Vucic in coalizione con socialisti e altri patrioti, con un numero di voti doppio rispetto ai filo-occidentali della “Serbia contro la violenza”. E hanno scatenato la piazza. Come contro Milosevic e i serbi, già allora palestinesi dei Balcani, non ridotti alla ragione nemmeno dai bombardamenti all’uranio impoverito. (per più dettagli vedi la trasmissione)

E’ un deja vu. Tutto come nel 2001, mancanza di fantasia: stessi capimastri, stesse maestranze, stesse manovalanze. E, come risulta dai pubblici bilanci, stessi ufficiali pagatori: USAID, NED, Dipartimento di Stato, Open Society di Soros e governo tedesco. E’ tutto scritto e ammesso, o vantato, nei resoconti del Centro di Studi Democratici, capofila di tre ONG analoghe. Manca solo Otpor che, avendo fatto il giro delle sette chiese colorate, è un tantino sputtanata.

Di nuovo Target, di nuovo palestinesi dei Balcani. Dovremmo dargli lo stesso appoggio e lo stesso affetto che diamo ai combattenti e alle vittime di Gaza. Prima che sia troppo tardi. Sia può essere palestinesi e serbi insieme. Proletari contro l’èlite.

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