Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università – 07/01/2025
Obbligo iscrizione liste leva Comuni: quale guerra stiamo preparando?
Sono arrivate all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università numerose segnalazioni di bandi comunali disseminati sul territorio nazionale in cui si provvede ad aggiornare le liste del servizio di leva: a Vaglia (FI), a Trevignano Romano (RM), ma anche a Catania, a Siracusa e in tante altre città e paesi di cui sono arrivati in redazione i bandi in pdf.
A livello giuridico, anche se il servizio di leva obbligatorio è stato sospeso, corre l’obbligo di iscrizione nelle liste di leva comunale di tutti gli idonei, in cui vanno inseriti i nomi proprio di chi si trova a compiere 18 anni. Fino al 2004, infatti, tutti i ragazzi al raggiungimento dei 18 anni di età dovevano rispondere al servizio di leva obbligatoria, ma dal 2005 nasce l’esercito professionale e così la leva obbligatoria viene momentaneamente sospesa fino a nuove disposizioni.
Potrebbe verificarsi in ogni caso il ripristino dell’esercito non professionale mediante apposito decreto del Presidente della Repubblica dopo deliberazione del CdM, in un particolare caso, cioè qualora il personale in servizio e professionale non fosse sufficiente. Il relativo chiarimento si lega all’art. 1929 del Codice dell’ordinamento militare mediante il quale il governo si metterebbe al riparo con una eventuale convocazione dello stato di guerra (art.78 Costituzione) in relazione all’appartenenza ad una organizzazione internazionale (ONU o NATO) e così si giustificherebbe l’aumento del numero delle Forze Armate e il reclutamento obbligatorio.
In realtà, la procedura amministrativa che è stata segnalata è obbligatoria e devono sottostarvi tutti gli enti locali, procedendo alla verifica dell’iscrizione nelle liste della leva di tutti i giovani a partire dal compimento dei 17 anni di età, infatti dal gennaio 2025 è partito il bando per i nati nel 2008. A ben vedere, l’istituzione dell’obbligo a compilare le liste di leva e ad aggiornarle annualmente con i nominativi dei ragazzi che via via si avvicinano alla maggiore età è arrivata proprio quando è stata eliminata la leva obbligatoria, ma nei fatti la questione era rimasta sottotraccia e gli uffici preposti negli enti locali sono stati progressivamente svuotati.
Ora, per iniziativa del governo, torna in auge la necessità di aggiornare le liste e di diffondere la notizia a scopi propagandistici. Si dice che non serva a fini di reclutamento, ma la tempistica dovrebbe invece indurre a una seria riflessione, alla quale l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università non può sottrarsi.
La situazione geopolitica internazionale induce a riflettere su quanto accade, dal momento che ci troviamo in una condizione in cui il nostro Paese, in accordo a richieste dell’EU e della NATO, va potenziando la sua spesa e tutto il complesso militare. Con queste premesse non è escluso che il governo possa far valere anche in tempi di pace il codice di ordinamento militare (leggi qui).
Da qualche tempo, infatti, si è cominciato a parlare del ripristino della leva obbligatoria per tutti i giovani, così come si è parlato di mini-naja. La motivazione addotta è la minaccia planetaria determinata dalla guerra in Ucraina, in linea con le dichiarazioni del Ministero della difesa, che invoca la tempestiva presenza dei militari italiani in tutti gli scenari internazionali dove siano minacciati gli interessi economici e strategici del Paese e delle alleanze di cui fa parte.
Tutto ciò dovrebbe indurre a qualche riflessione sulla nascita di un esercito di riserva proprio sul modello israeliano, un vero e proprio popolo in armi per difendere gli interessi nevralgici del grande complesso economico e finanziario internazionale.
Non solo, rileviamo anche due chicche di ignoranza normativa e di puro patriarcato in spirito militarista: nel comune toscano di Vaglia (FI), ad esempio, per chi omettesse l’iscrizione all’albo su fa riferimento all’art. 130 del DPR 247 del 1967, che è stato abrogato dal DLgs 66 del 2010. Nel bando di Trevignano Romano, invece, sembra non si siano accorti dell’abolizione del pater familias con la riforma del diritto di famiglia del 1975 dal momento che si ripete ossessivamente, “maschiamente” «il padre o, in mancanza del padre, la madre o il tutore», quando, invece, si dovrebbe far riferimento indistintamente ad uno dei due genitori senza alcuna priorità.
Siamo, allora, sicuri di non essere davanti a una società che si sta preparando, passo dopo passo, per decretazione e con una martellante propaganda retorica militaristica alla guerra?
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
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Di OsservatorioNOMS il 7 gennaio 2025
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Abbiamo visitato il museo della guerra (definita “bianca”) di Vermiglio, uno dei tanti presenti nelle Valli trentine che furono attraversate dalle immani e inutili stragi del primo conflitto mondiale. Questo grazioso paesino trentino di circa 1800 anime, posto a 1200 mt s.l.m. in Val di Sole, è balzato agli onori della cronaca per essere stato rappresentato nell’omonimo (e bellissimo) film Leone d’argento a Venezia e candidato agli Oscar nella short list insieme ad altre 14 pellicole.
Il film rappresenta storie di vita reali, sul finire del secondo conflitto, comprese quella del maestro elementare Cesare e di due disertori, nascosti in un maso nei pressi del paese, tra gli slanci solidali di alcuni e l’ostracismo di altri. Il film, come il recente “Campo di battaglia” di Gianni Amelio, mette in scena criticamente la grande guerra, ma senza mai renderla protagonista in modo diretto, evidente, o didascalico; al tempo stesso, “Vermiglio”, attraverso le parole di Cesare, smonta la retorica bellicistica dall’interno, nel suo motore principale, la propaganda e il manicheismo populista di un tempo che è poi lo stesso di oggi, rivisto e corretto.
«Forse, se fossero tutti vigliacchi, non ci sarebbero più guerre. La vigliaccheria è un concetto relativo»: questa è la frase nuda e cruda ed efficace del maestro Cesare a chi criticava il comportamento dei disertori e indirettamente di chi li copriva. Vermiglio era anche il paese di frontiera con l’impero austro-ungarico che nei pressi del Passo del Tonale aveva edificato diverse sistemi di fortificazione tra cui il tristemente noto forte “Strino”.
Il fronte di guerra per la conquista delle cosiddette terre irredente, recentemente inglobate nel percorso risorgimentale, fu altrettanto cruento e difficile, sul piano delle condizioni di vita sul campo di quello combattuto sul Carso. Ci saremmo quindi aspettati che la rete dei musei della guerra, accanto ai numerosi reperti bellici e della dura vita di trincea, alle rappresentazioni con tanto di filmati “immersivi” e antichi cinegiornali dell’Istituto Luce sulle pessime condizioni di vita che il governo corrotto dell’epoca faceva patire ai propri militi eroici (vedi carne da cannone), testimoniasse anche un solo cenno di “cedimento”, di tentazione di diserzione: non una lettera dal fronte o una statistica, nessun cenno alle decimazioni o ai tribunali militari con i loro processi sommari, o ai morti nelle retrovie per il “fuoco amico” dei Carabinieri, contro chi girava le spalle al nemico. Il sito ufficiale della Provincia Autonoma di Trento, d’altro canto, ci ricorda che i musei, si limitano a «(…) custodire materiali e immagini che ricordano una vicenda che ha segnato in modo profondo il territorio, la popolazione e il paesaggio. La loro presenza diffusa sul territorio attesta l’interesse che la storia della Prima guerra mondiale ha conservato in Trentino nel corso del tempo».
Eppure il fenomeno non fu assolutamente trascurabile in termini di numeri assoluti e percentuali. In occasione del primo centenario dall’inizio della prima guerra mondiale, infatti, uno storico certamente non particolarmente progressista o anti-militarista come Alberto Monticone, affermava su Avvenire : «(…) le denunce all’autorità giudiziaria per reati commessi furono ben 870.000, delle quali 470.000 per mancanza alla chiamata e 400.000 per diserzione dal corpo o per altri reati commessi sotto le armi. Circa 370.000 furono i renitenti alla leva che si trovavano all’estero e che non erano rientrati, perché ormai inseriti in quelle nazioni, pur mantenendo legami con la patria, mentre un certo numero di emigrati tornò e indossò l’uniforme. I processati per diserzione furono esattamente 189.425, dei quali 101.665 condannati a pene varie a seconda della gravità del reato». Tra queste pene c’era anche la condanna a morte per fucilazione.
Unico elemento educativo nel segno della pace, a parte quello pedagogicamente distorto del fattore deterrente degli “orrori delle guerre”, è l’enfasi posta alla cosiddetta tregua di Natale, durata il tempo di una notte, in cui militari italiani e austriaci si strinsero la mano nel nome di una fede cristiana che li univa. Su questo evento, il Museo di Vermiglio, ma probabilmente anche altri, organizza degli incontri culturali condotti da una storica mentre in un paesino poco distante, Ossana, all’interno del castello di San Michele, recentemente restaurato, è stato allestito una sorta di presepe dedicato all’evento con tanto di effetti audio per ricreare l’atmosfera di quell’effimero abbraccio fraterno fra «persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono ma che non si uccidono» (Pablo Neruda). Questa frase famosa di Neruda è confermata dalle migliaia di cittadini trentini di etnia italiana inviata dall’impero austroungarico sul fronte russo proprio per il timore di ammutinamenti mentre la Russia sfruttò a proprio vantaggio l’italianità dei soldati caduti nelle loro mani per spaccare il fronte austriaco proponendo loro, tramite accordi con l’Italia, di liberarli in cambio dell’acquisizione della cittadinanza italiana.
L’enfasi della rappresentazione della cosiddetta “tregua di Natale”, però, finisce per offuscare questi aspetti scomodi per la retorica bellicistica e il fenomeno della diserzione e della renitenza alla leva.
Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
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Di OsservatorioNOMS il 6 gennaio 2025
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L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università rilancia le parole del M. I. R. apparse sulla rivista Pressenza (clicca qui) «in relazione alla manifestazione “Le ali della pace” – Incontro con gli studenti, prevista per 24 gennaio p.v. presso il Comando dell’Aeronautica Militare di Capodichino “Ugo Niutta” di Napoli».
L’Osservatorio da oltre due anni si oppone alla pericolosa deriva culturale che sta progressivamente sdoganando la sostituzione della classe docente con una nuova figura di educatori in mimetica e la consegna delle nostre aule scolastiche a un sistema di propaganda militarista oramai sempre più pressante.
Per tale motivo ci appelliamo a tutte le persone e alle associazioni che condividono con noi una profonda preoccupazione per quanto sta avvenendo nelle scuole perché supportino il quotidiano lavoro dell’Osservatorio visitando il nostro sito (https://osservatorionomilscuola.com/) e contattandoci (https://osservatorionomilscuola.com/contatti/) affinché si possa creare una rete quanto più capillarmente diffusa a livello nazionale.
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
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Di OsservatorioNOMS il 6 gennaio 2025
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Citando come fonte il Corriere del Mezzogiorno, la testata Orizzonte Scuola (leggi qui) riporta l’annuncio da parte del capo della Polizia Vittorio Pisani di un piano di reclutamento straordinario per i prossimi quattro anni destinato a 20.000 giovani.
Parole importanti da parte di Pisani, che spiegano i motivi per cui, davanti ai numeri insufficienti garantiti all’attuale turn-over, «la Polizia punta sui giovani, con l’obiettivo di ampliare il bacino delle vocazioni attraverso percorsi formativi specifici, a partire dalle scuole superiori” al termine dei quali “i nuovi agenti […] dovranno imparare a relazionarsi con i cittadini con rispetto e attenzione, supportandoli nelle loro necessità». Parole che confermano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, come l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università abbia visto giusto nel segnalare una costante invasione di campo secondo strategie che hanno finito con il trasformare le nostre aule in un “bacino delle vocazioni”, ovvero in una specie di ufficio di collocamento a disposizione delle forze armate e di polizia.
Tuttavia, l’esplicito tentativo di allargare il potenziale bacino dei futuri uomini e donne in divisa, affinché possa essere soddisfatto il bisogno di personale, non è la sola modalità con cui le forze di polizia si relazionano con le istituzioni scolastiche. Registriamo infatti come Osservatorio un costante lavoro volto a permettere al corpo di Polizia di penetrare a fondo nelle scuole attraverso tutta una serie di “offerte formative” che nel tempo si incistano all’interno delle quotidiane attività didattiche o creano un rapporto di familiarità con alunni e alunne sin dalla più tenera età.
È questo il caso dell’iniziativa di presentazione dell’agenda scolastica “Il Mio Diario” (leggi qui), presentata nel maggio 2024 «a Civitanova Marche, presso la Marche International School, alla presenza del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi» e destinata ad accompagnare «50mila alunni di quarta elementare di scuole pubbliche e paritarie delle province di Agrigento, Alessandria, Avellino, Catanzaro, Cremona, Foggia, Macerata, Parma, Perugia, Prato, Treviso e Trieste». Attraverso le avventure dei supereroi della legalità Vis e Musa l’agenda, frutto della collaborazione tra Polizia di Stato e Ministero dell’Istruzione e del Merito e con il sostegno del ministero dell’Economia e delle Finanze, concorre «a riproporre nelle scuole l’educazione civica, precondizione di tante situazioni che le Forze di polizia devono risolvere nell’attività quotidiana, perché significa concorrere all’educazione dei ragazzi ai valori fondamentali che sono stati declinati: l’amicizia, la solidarietà, il rispetto per il prossimo», ha detto il titolare del Viminale intervenendo all’evento e «si propone in effetti come un vero e proprio strumento di supporto alla didattica, con l’obiettivo di avvicinare in modo semplice e coinvolgente i giovanissimi cittadini ai valori della convivenza civile e del rispetto delle regole».
Sarebbe lungo l’elenco di queste “proposte formative” che spaziano dagli incontri sul bullismo e cyberbullismo (qui per uno dei tanti esempi) a giornate dedicate alla lotta contro le violenze di genere (si veda ad esempio qui e qui) che, più che un ipotetico arricchimento dell’offerta formativa sembrano indicare una progressiva delega della funzione della scuola pubblica come luogo di crescita umana e culturale di studenti e studentesse ad altri apparati dello Stato.
Attraverso una serie di protocolli tra il dicastero dell’Istruzione e altri ministeri (l’Osservatorio aveva già scritto sull’ultima intesa tra MIM e Ministero dell’Interno) si sta normalizzando uno slittamento di queste funzioni a tutto vantaggio delle nuove figure professionali dell’educazione in divisa, e si sta in definitiva certificando la demolizione di un’intera classe di lavoratori e lavoratrici. Si tratta a nostro avviso di una vera e propria deriva culturale cui tutto il corpo docente è chiamato ad opporsi, nella difesa non solo della propria professionalità, ma anche di una scuola finalmente affrancata da ogni ingerenza esterna.
Come Osservatorio invitiamo pertanto genitori e genitrici, studenti e studentesse e personale scolastico tutto a contattarci https://osservatorionomilscuola.com/contatti/ e a visitare il nostro sito dove si può trovare un vademecum (clicca qui) utilizzabile per opporsi alle attività che vengono proposte nelle istituzioni scolastiche da parte delle forze armate.
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
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